Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
rdine rigetto.
Svolgimento del processo
p. 1. Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza del 10 maggio 2010, ha accolto l’appello proposto dall’Enel Distribuzione s.p.a. ed in riforma della sentenza n. 1418 del 2008 del Giudice di Pace di Badolato, ria rigettato la domanda proposta nell’aprile 2008 da L.M., per ottenere il risarcimento del danno da inadempimento del contratto di somministrazione dell’energia elettrica corrente con detta s.p.a. nella misura di Euro 1,00, rappresentante l’importo pagato per il costo del pagamento di una bolletta tramite il servizio postale.
L’inadempimento dell’Enel era stato individuato adducendosi: che con la Delib. 28 dicembre 1999 n. 200, art. 6, comma 4 l’Autorità per L’Energia Elettrica ed il Gas (A.E.E.G) aveva imposto agli esercenti il servizio di distribuzione e vendita dell’energia elettrica e, quindi, all’Enel, di offrire al cliente almeno una modalità gratuita di pagamento della bolletta; che l’Enel non aveva ottemperato e, in ragione dell’inadempimento l’A.E.E.G., aveva – con Delib. n. 72 del 2004 – diffidato inutilmente l’Enel ad adempiere all’obbligo e la deliberazione era stata ritenuta valida dal T.a.r. Lombardia con sentenza del 9 novembre 2005, n. 3948. 2. Il Giudice di Pace di Badolato aveva accolto la domanda nel presupposto che l’art. 6, comma 4, avesse integrato il contratto di fornitura ai sensi dell’art. 1339 c.c. e che, non avendo l’Enel predisposto una modalità di assicurazione del pagamento gratuito, bensì quella tramite pagamento presso le Poste, l’utente era risultato gravato indebitamente del costo del pagamento richiesto dalle stesse.
L’appello dell’Enel si era articolato sia nel sostenere che l’art. 6, comma, 4, non aveva avuto efficacia integrativa del contratto ai sensi dell’art. 1339 c.c., sia, gradatamente, nel senso che il danno da inadempimento lamentato dall’utente non sarebbe stato configurabile, giacchè se fosse stata assicurata una modalità di pagamento gratuito – come lo era stata prevedendosi, a far tempo dal 2004 (e siccome si dava atto – a dire dell’Enel – nella Delib. n. 72 del 2004 dell’A.E.G.G.) la possibilità di pagare presso lo sportello dell’Enel esistente nel capoluogo di provincia – l’utente, dovendosi recare presso di esso, avrebbe dovuto sopportare spese ben maggiori di quelle del costo del bollettino postale.
3. Il Tribunale di Catanzaro ha accolto l’appello dell’Enel quanto al primo motivo, ritenendo che non avesse avuto luogo l’integrazione del contratto ai sensi dell’art. 1339 c.c. per effetto dell’art. 6, comma 4, citato, dovendosi riconoscere alla prescrizione di cui a quest’ultimo effetto soltanto nel rapporto diretto autoritativo fra l’A.E.G.G. e l’Enel, di modo che l’inottemperanza da parte di quest’ultimo avrebbe potuto giustificare solo l’irrogazione di sanzioni da parte dell’A.E.G.G., ma non consentire, per non essere stato integrato il contratto, l’azione di risarcimento danni per inadempimento.
3.1. In sintesi, la motivazione si articola con i seguenti passaggi:
dopo una premessa, intesa a richiamare la norma dell’art. 1196 c.c., là dove prevede che le spese del pagamento sono a carico del debitore, si precisa che, atteso il contenuto dispositivo della norma, ne è possibile la deroga per effetto di accordo della parti.
Si osserva, quindi, che una deroga può avvenire anche per effetto di eventuali previsioni di legge a norma dell’art. 1339 c.c. dispositive in senso diverso. Si avverte che il riferimento alla "legge" nella norma ora detta va relativizzato, potendo ricomprendere oltre la legge in senso sostanziale, i regolamenti normativi e ministeriali ed i provvedimenti amministrativi in tema di tariffe, purchè – in ossequio al principio di legalità, di cui all’art. 97 Cost. – sulla base di una norma di legge attributiva del relativo potere. Dopo di che, premesso il richiamo ai poteri attribuiti dalla L. n. 481 del 1995, art. 12, comma 2 all’A.E.G.G., particolarmente nelle lettere e) ed h), nonchè ai commi 36 e 37 del detto articolo 12, si osserva che: 1. il concessionario del servizio pubblico di erogazione di energia elettrica ha l’obbligo di predisporre un regolamento di servizio contenente le condizioni generali del contratto di somministrazione; 2. tale regolamento di servizio conforma il proprio contenuto alla convenzione di servizio ovvero al contratto di programma stipulato tra l’amministrazione pubblica concedente ed il medesimo concessionario; 3. esso è altresì integrato dalle determinazioni dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas in materia di prestazione de servizio pubblico. Di seguito, tuttavia, si sostiene che il potere integrativo dell’amministrazione ha comunque un ambito oggettivo di applicazione limitato alla produzione ed all’erogazione del servizio, cioè alla prestazione spettante al concedente, mentre non si estenderebbe, invece, alle modalità di adempimento della prestazione dell’utente, per quanto le tariffe vengano invece determinate autoritativamente.
A sostegno di tale assunto si richiamano le norme delle lettere g), i), l), n) e p) dello stesso art. 12, comma 2, per desumerne che i relativi poteri autoritativi sarebbero volti alla verifica del rispetto di standard qualitativi nell’erogazione del servizio pubblico e che solo i poteri di cui alle lettere l) ed n) concernerebbero obblighi gravanti sull’utente, ma senza che le relative potestà pubblicistiche si possano concretizzare nell’integrazione del regolamento di servizio e quindi del contratto individuale di utenza; piuttosto, si risolvono nell’ambito del rapporto di soggezione della società concessionaria alla sorveglianza dell’Autorità regolatrice. A conferma di questo assunto si cita Cons. Stato, sez. 6^, 27.10.2003 n. 6628.
La conclusione è stata che appare corretto interpretare la normativa nel senso che l’effetto integrativo del contratto di utenza si limiti all’ambito oggettivo della prestazione del servizio da parte del concessionario, e non si estenda anche – fatta eccezione per la determinazione delle tariffe – alla prestazione di pagamento da parte dell’utente. In tale diverso ambito, infatti, l’Autorità Garante per l’Energia Elettrica ed il Gas può invero impartire direttive, ma queste esauriscono i loro effetti diretti nell’ambito autoritativi tra la stessa autorità ed il concessionario, quindi, il concessionario dovrà adeguarsi alle direttive impartitegli, potrà essere sanzionato per l’eventuale violazione delle direttive in oggetto, ma non sarà soggetto all’azione di natura contrattuale da parte dell’utente individuale, posto che tali direttive non vanno ad integrare il contratto.
4. Al ricorso ha resistito con controricorso L’Enel Servizio Elettrico s.p.a., sia nella qualità di procuratore speciale dell’Enel Distribuzione s.p.a., sia nella qualità di beneficiaria del ramo di azienda dell’Enel Distribuzione s.p.a. nell’ambito del quale ricade il complesso dei beni e dei rapporti concernenti l’attività di vendita dell’energia elettrica ai clienti finali.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente si osserva che il ricorso è stato sottoscritto da due avvocati, muniti di procura speciale congiunta e disgiunta, di cui uno solo (l’avv. Luigi Maria Maluzzo, ma non l’avv. Francesco Surace) risulta cassazionista; in tale situazione, la sottoscrizione da parte dell’avvocato cassazionista è sufficiente ai fini dell’ammissibilità, sotto il profilo in esame, del ricorso (confronta Cass. n. 15478 del 2008).
1.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione o falsa applicazione di norme di diritto: in particolare articoli 1196 e 1339 del codice civile con riferimento al provvedimento dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas n. 200 del 1999". 1.2. Vi si critica la motivazione della sentenza impugnata con riguardo a pretesi suoi passi, che vengono riportati testualmente fra virgolette, i quali, però, non trovano tutti rispondenza in essa, apparendo taluni riferibili, evidentemente, alla motivazione di una distinta sentenza.
Poichè, però, anche il contenuto sostanziale di quelli che non corrispondono formalmente alla motivazione della sentenza impugnata è aderente a quest’ultima, lammissibilità del motivo sotto il profilo della sua pertinenza alla motivazione non risulta compromessa.
1.3. In sintesi, le argomentazioni con cui il motivo viene illustrato si risolvono ne postulare che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto, in generale, che l’esercizio da parte dell’A.E.G.G. del potere di direttiva di cui alla Delib. n. 200 del 1999, art. 2, comma 12, lett. h) non dia luogo a prescrizioni idonee ad incidere direttamente sul contenuto dei rapporti di utenza fra Enel e clienti e, su questa premessa, si sostiene che, di conseguenza, erroneamente la prescrizione dell’adozione di almeno una modalità gratuita di pagamento delle bollette sia stata ritenuta inidonea – attraverso il rinvio dell’art. 2, comma 12, lett. h), al comma 37 dello stesso articolo – a determinare in prima battuta l’integrazione del regolamento di servizio predisposto dall’Enel e, quindi, del contratto di utenza, bensì soltanto l’obbligo dell’Enel di ottemperare nei confronti dell’A.E.G.G. ed il potere di quest’ultima di applicare le relative sanzioni.
2. Con un secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: avvenuta corresponsione di somme per il pagamento delle bollette ad ENEL. L’illustrazione è svolta assumendo che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto assorbito il motivo di appello relativo alla sussistenza del danno risarcibile, ma avrebbe osservato che – risiedendo il ricorrente L.C. in un paese di provincia e non nel capoluogo, per pagare la bolletta presso gli sportelli convenzionati in Catanzaro, avrebbe in ogni caso sostenuto degli oneri e, quindi, non sarebbe provato il danno.
Il danno, viceversa, sarebbe stato sufficientemente provato, sia attraverso l’esborso sopportato all’atto del pagamento della fattura, sia per il fatto che l’A.E.G.G. aveva riconosciuto l’inadempimento contrattuale dell’Enel alla prescrizione della Delib. n. 200 del 1999, art. 6, comma 4. Inoltre, si sostiene che l’adempimento dell’Enel a tale prescrizione non poteva ritenersi realizzato attraverso la concessione della possibilità di pagare gratuitamente presso lo sportello del capoluogo di provincia, dato che questa modalità esponeva comunque a spese.
3. Con un terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto: in particolare artt. 1175 e 1375 c.c..
Vi si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto assorbito il motivo di appello relativo alla violazione da parte dell’Enel dell’obbligo di informazione circa la modalità gratuita di pagamento, ancorchè si trattasse di circostanza incontestata. La sentenza avrebbe inoltre osservato che nella Delib. n. 55 del 2000 dell’A.E.G.G. non sarebbe esistita alcuna imposizione dell’obbligo di informativa, ma avrebbe trascurato che detto obbligo derivava dagli artt. 1175 e 1375 c.c. 4. Il secondo ed il terzo motivo sono manifestamente inammissibili, sia perchè sarebbero relativi a motivi di appello rimasti assorbiti, che, dunque, ben potrebbero e dovrebbero essere riesaminati nel caso di cassazione della sentenza in accoglimento del primo motivo, sia – gradatamente – perchè nella sentenza non v’è traccia della dichiarazione di assorbimento e nemmeno delle affermazioni che riguardo a detti motivi la sentenza avrebbe fatto (peraltro del tutto ultroneamente, dato l’assorbimento), sia – ancora più gradatamente – perchè nemmeno si indica, in manifesta violazione del principio di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, che costituisce il precipitato normativo del principio di autosufficienza, da chi, come e con quali espressioni i detti motivi sarebbero stati prospettati. Inoltre, quanto alla circostanza oggetto del terzo motivo, cioè della violazione del dovere di informazione, nemmeno si precisa come e dove essa fosse stata dedotta come fatto costitutivo di inadempimento contrattuale originante danno.
5. Il primo motivo è fondato là dove critica la motivazione della sentenza impugnata quanto alla inidoneità della Delib. n. 200 del 1999, art. 6, comma 4 ad integrare il contratto di utenza ai sensi dell’art. 1339 c.c., ma il riconoscimento della erroneità della motivazione con cui il Tribunale è pervenuto a detta conclusione, non può comportare la cassazione della sentenza impugnata, giacchè la conclusione a favore di detta inidoneità e, quindi, il consequenziale dispositivo della sentenza, appaiono conformi a diritto. Di modo che la Corte deve procedere solo alla correzione della motivazione giustificativa della inidoneità, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..
5.1. Prima di dar conto delle ragioni di tale correzione è necessaria una precisazione.
Deve anzitutto ricordarsi e ribadirsi che, nel regime anteriore alle riforme di cui alla L. n. 69 del 2009, L’esercizio da parte della Corte di cassazione del potere d’ufficio di correzione della motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, non è soggetto alla regola di cui al comma 3 del medesimo articolo, che impone alla Corte il dovere di stimolare il contraddittorio delle parti sulle questioni rilevabili d’ufficio che ritenga di porre a fondamento della decisione. (Cass. n. 22283 del 2009).
Tale principio conserva la sua validità anche dopo l’introduzione dell’art. 101, comma 2 da parte di detta legge, atteso che l’omologia fra questa nuova previsione generale e quella speciale del terzo comma dell’art. 384 indipendentemente dalla ricostruzione dell’ambito di applicabilità di quest’ultimo e dalla questione della sua coincidenza o meno con la nuova regola generale – comporta la perdurante validità della specialità della previsione dell’art. 384 c.p.c., comma 4 non solo per le ragioni che l’avevano giustificata a fronte della introduzione del detto comma 3, ma anche in ossequio al principio lex posterior generalis non derogai priori speciali. Si vuoi dire, cioè che, anche qualora si credesse che vi sia coincidenza fra la previsione dell’art. 384 c.p.c., comma 3 e quella del nuovo art. 101 c.p.c., comma 2, in ogni caso la norma del comma 4 sarebbe rimasta ferma quale previsione speciale non modificata da quella generale.
Il principio di diritto che viene in rilievo è, pertanto, il seguente; Anche nel regime del ricorso per cassazione di cui alla L. n. 69 del 2009 e, quindi, della introduzione della norma dell’art. 101 c.p.c., comma 2, l’esercizio da parte della Corte di cassazione del potere d’ufficio di correzione della motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, non è soggetto alla regola di cui al comma 3 del medesimo articolo, che impone alla Corte il dovere di stimolare il contraddittorio delle parti sulle questioni rilevabili d’ufficio che ritenga di porre a fondamento della decisione.
5.2. Ciò premesso, si osserva che la motivazione della sentenza impugnata appare erronea, là dove ha interpretato l’art. 2, comma 12, lett. h), nel senso che le deliberazioni adottate dall’A.E.G.G. ai sensi di essa possano svolgere efficacia integrativa dei contratti di utenza individuali, attraverso la mediazione dell’integrazione del regolamento di servizio predisposto dal concessionario, soltanto per quanto attiene alla produzione ed alla erogazione del servizio, intese come relative all’esecuzione della prestazione del concessionario del servizio e non invece quanto alle modalità di esecuzione della prestazione dell’utente, come nella specie la modalità dell’adempimento.
Questa lettura della norma non appare conforme alla sua corretta esegesi sia sul piano letterale sia su quello teleologico.
5.3. Queste le ragioni.
Va premesso che la L. n. 481 del 1995, art. 1, comma 1 (recante:
Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità), prevede, sotto la rubrica Finalità che Le disposizioni della presente legge hanno la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, di seguito denominati servizi nonchè adeguati livelli di qualità nei servizi medesimi in condizioni di economicità e di redditività, assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori, tenuto conto della normativa comunitaria in materia e degli indirizzi di politica generale formulati dal Governo. Il sistema tariffario deve altresì armonizzare gli obiettivi economico- finanziari dei soggetti esercenti il servizio con gli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse.
Il lettore della norma percepisce fra le finalità della legge v’è anche quella di promuovere La tutela degli interessi di utenti e consumatori.
Il successivo art. 2, comma 12, dopo avere previsto che Ciascuna Autorità nel perseguire le finalità di cui all’articolo 1 svolge le seguenti funzioni, che poi provvede ad elencare in una serie di lettere, nella lettera h) dispone che l’A.E.G.G. emana le direttive concernenti la produzione e l’erogazione dei servizi da parte dei soggetti esercenti i servizi medesimi, definendo in particolare i livelli generali di qualità riferiti al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione da garantire all’utente, sentiti i soggetti esercenti il servizio e i rappresentanti degli utenti e dei consumatori, eventualmente differenziandoli per settore e tipo di prestazione: tali determinazioni producono gli effetti di cui al comma 37.
Ora, la struttura di questa norma consente di affermare che dall’esercizio da parte dell’A.EG.G. del potere da essa previsto possa senz’altro derivare una integrazione del contratto di utenza ai sensi dell’art. 1339 c.c. Il punto da chiarire concerne, per un verso la definizione dell’ambito oggettivo di tale possibile integrazione e, per altro verso l’individuazione delle condizioni in presenza delle quali l’esercizio del potere può avere l’effetto integrativo.
Che in astratto l’integrazione possa avvenire si desume dal fatto che il potere di cui alla norma in esame è potere esercitabile attraverso atti di natura certamente amministrativa, qualificabili, allorquando abbiano carattere normativo, cioè idoneità a prescrivere comportamenti ai soggetti esercenti, come regolamenti propri del settore cui appartiene il singolo servizio e cui soprintende la specifica autorità, oppure, se si da rilievo alla limitatezza della platea di detti soggetti ed al loro carattere predefinito in un dato momento, e da tanto si inferisca la mancanza del carattere dell’astratta indeterminatezza dei soggetti destinatati, come atti amministrativi precettivi collettivi, cioè diretti verso soggetti determinati. Poichè tali atti sono emanati sulla base di una previsione di legge, allorchè il loro profilo funzionale ed il loro contenuto possa essere considerato come determinativo di una clausola rispetto al contratto di utenza, l’applicabilità dell’art. 1339 c.c. appare in linea generale giustificata, perchè, quando detta norma allude alle clausole imposte dalla legge non si riferisce soltanto al caso nel quale la legge individui essa stessa direttamente la clausola da inserirsi nel contratto (come sarebbe stato se il Codice avesse richiesto che la clausola sia prevista direttamente o espressamente dalla legge), ma allude anche all’ipotesi in cui la legge preveda che l’individuazione della clausola sia fatta da una fonte normativa da essa autorizzata.
Il che accade nella specie, poichè la previsione di legge dell’art. 2, comma 12, lett. h), nell’attribuire all’autorità e fra queste all’A.E.G.G., il potere di direttiva – se si ritiene che tale potere possa concretarsi nell’individuare clausole dei contratti di utenza – avrebbe appunto l’indicata funzione autorizzatoria, nel senso che la direttiva determinerebbe l’integrazione del contratto in quanto abilitatavi da una previsione di legge.
E’ vero che nella norma non v’è alcun riferimento ai contratti di utenza. Tuttavia, la mancanza di tale riferimento non è affatto decisiva, perchè l’ultimo inciso della norma, prevedendo che le determinazioni dell’autorità producano gli effetti del successivo comma 37, consente che l’integrazione dei contratti di utenza possa avvenire mediatamente.
L’art 2, comma 37 infatti, stabilisce che il soggetto esercente il servizio predispone un regolamento di servizio nel rispetto dei principi di cui alla presente legge e di quanto stabilito negli atti di cui al comma 36. Le determinazioni delle Autorità di cui al comma 12, lett. h), costituiscono modifica o integrazione del regolamento di servizio; è allora chiaro che una integrazione del regolamento di servizio, qualora si concreti nella previsione che il contratto di utenza debba contenere una certa clausola, rappresentando il regolamento di servizio sostanzialmente le condizioni generali di contratto alle quali debbono adeguarsi i contratti di utenza, si risolve in via mediata in una integrazione autoritativa dello stesso contratto.
5.4. Ciò chiarito, riprendendo l’interrogativo su indicato a proposito della necessità di definire il possibile ambito oggettivo della integrabilità dei contratti di utenza per il tramite del potere di cui all’art. 2, comma 12, lett. h), si deve rilevare che l’oggetto di tale potere, là dove (oltre che alla produzione) si riferisce alla erogazione dei servizi, ove venga messo in relazione con la proclamazione della L. n. 481 del 1995, art. 1, comma 1 in ordine alla tutela degli interessi di utenti e consumatori, si presta ad essere riferito all’intero ambito del rapporto di utenza individuale, perchè l’erogazione del servizio, essendo diretta verso gli utenti ed avvenendo sulla base dei rapporti individuali di utenza, è formulazione talmente generale da apparire di per sè idonea a comprendere anche il profilo del contenuto di detti rapporti. L’interesse degli utenti e dei consumatori, infatti, non può non essere tutelato anche con riferimento a quell’aspetto delle modalità di erogazione del servizio che si estrinseca nei rapporti individuali. Nè in senso contrario assume un qualche valore l’espressione con la quale la lett. h) specifica in particolare che le direttive debbono definire i livelli generali di qualità riferibili al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferibili alla singola prestazione da garantire all’utente.
In tal modo si assegna un contenuto minimo necessario alle direttive, ma non si sminuisce il valore onnicomprensivo del riferimento all’erogazione del servizio per come giustificato dall’art. 1, comma 1.
Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale non appare fondata neppure una giustificazione delle lettura restrittiva della lett. h) nel senso – come scrive il Tribunale stesso ch’esso riguarderebbe comunque solo la prestazione del concedente, mentre gli obblighi dell’utente sarebbero considerati dalle lettere l) ed n) dello stesso art. 2, comma 12.
In disparte il rilievo che non è chiaro perchè prescrizioni contenutistiche circa i contratti di utenza, dirette a disciplinare gli obblighi del concedente, non afferiscono almeno indirettamente comunque, cioè anche quando siano dirette a regolare i comportamenti da tenersi da parte dell’utente, alla prestazione del concessionario, posto che ad essa essi si correlano nel sinallagma contrattuale, si osserva che il contenuto delle lettere l) ed n) semmai conferma la lettura estensiva della lettera h).
La lettera l) dispone che l’autorità pubblicizza e diffonde la conoscenza delle condizioni di svolgimento dei servizi al fine di garantire la massima trasparenza, la concorrenzialità dell’offerta e la possibilità di migliori scelte da parte degli utenti intermedi o finali. E la lettera n) che l’autorità verifica la congruità delle misure adottate dai soggetti esercenti il servizio alfine di assicurare la parità di trattamento tra gli utenti, garantire la continuità della prestazione dei servizi, verifìcare periodicamente la qualità e l’efficacia delle prestazioni all’uopo acquisendo anche la valutazione degli utenti, garantire ogni informazione circa le modalità di prestazione dei servizi e i relativi livelli qualitativi, consentire a utenti e consumatori il più agevole accesso agli uffici aperti al pubblico, ridurre il numero degli adempimenti richiesti agli utenti semplificando le procedure per l’erogazione del servìzio, assicurare la sollecita risposta a reclami, istanze e segnalazioni nel rispetto dei livelli qualitativi e tariffarii.
Invero, la previsione della lett. l) pertiene a compiti di diffusione di informazione presso gli utenti e la lett. n) disciplina i poteri di verifica dell’Autorità, ma l’una e l’altra attività nulla hanno a che fare con la possibile determinazione, attraverso le direttive cui allude la lett. h), del contenuto del contratto di utenza attraverso la mediazione dell’intervento sul regolamento di servizio.
5.5. Deve, dunque, affermarsi che l’A.E.G.G. attraverso le direttive previste dall’art. 2, comma 12, lett. h bene può dettare precetti che, in quanto integrano il contenuto del regolamento di servizio cui allude il comma 37 della norma dello stesso art. 12 possono produrre l’integrazione dei contratti di utenza pendenti attraverso la previsione dell’art. 1339 c.c..
A fini di nomofilachia, prima di definire le condizioni in presenza delle quali ciò può avvenire e, quindi, di chiarire se sia avvenuto in concreto con riguardo alla specie che si giudica, il Collegio reputa opportuno formulare una precisazione, che concerne sempre il profilo oggettivo dell’ambito entro il quale le direttive della lett. h) possono svolgere la funzione di integrazione ai sensi dell’art. 1339 c.c. La precisazione è nel senso che, avvenendo l’integrazione con riferimento a rapporti pur sempre espressione della privata autonomia ed articolandosi attraverso manifestazioni normative secondarie regolamentari oppure integranti atti amministrativi precettivi collettivi, sia pure autorizzate dalla previsione di legge, essa può comportare interventi che incidano sui rapporti di utenza in modo derogatorio anche di norme di legge, se del caso dello stesso Codice Civile, che abbiano, però, un contenuto meramente dispositivo, cioè derogabile dalla privata autonomia, mentre deve escludersi che possa giustificare interventi in senso derogatorio di norme previste da disposizioni legislative di contenuto imperativo. Invero, mentre l’intervento sulle norme del primo tipo è pienamente giustificabile perchè incide su previsioni legislative che le stesse parti, con il loro accordo, potrebbero derogare, sì che appare giustificato a maggior ragione che sia l’Autorità preposta al settore a prevedere la deroga, seppure con il limite funzionale e di scopo di cui immediatamente si dirà, viceversa, in presenza di una norma imperativa di legge, il principio di legalità impone di intendere il fenomeno di attribuzione di poteri di disciplina, con fonti di rango secondario o addirittura non aventi nemmeno contenuto normativo, in modo restrittivo. E, dunque, in mancanza di un’espressa attribuzione del potere di deroga alle norme imperative da parte di una norma di legge (o, deve ritenersi, di rango comunitario ad effetti diretti nell’ordinamento interno), come non esercitabile in deroga ad esse.
Solo in questo senso e nei limiti ora detti si intende condividere l’affermazione di Cons. Stato, 6^Sezione, 11 novembre 2008, n. 5622 circa l’esegesi del potere di normazione di cui all’art. 2, comma 12, lett. h), che, invece, quel consesso parrebbe avere inteso come riferita ad ogni norma di legge.
5.6. Sciogliendo la riserva espressa poco sopra, il Collegio ritiene, inoltre, che la stessa possibilità di deroga a norme di legge meramente dispositive sia, però, da restringere sotto il profilo funzionale in senso unidirezionale, cioè sia limitata ad una deroga a favore dell’utente o del consumatore. Lo impone sempre il precetto espresso nell’art. 1, comma 1 della legge di settore in precedenza ricordato circa il necessario indirizzarsi dell’attività dell’Autorità a tutela degli interessi di utenti e consumatori.
Ciò, naturalmente, con l’eccezione che vi sia una norma di legge o di rango comunitario ad efficacia diretta che abiliti anche alla deroga a norme imperative.
Sicchè il principio di diritto che può affermarsi è il seguente:
Il potere normativo secondario (o, secondo una possibile qualificazione alternativa, di emanazione di atti amministrativi precettivi collettivi) dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ai sensi dell’art. 2, comma 2, lettera h), si può concretare anche nella previsione di prescrizioni che, attraverso l’integrazione del regolamento di servizio, di cui al comma 37 dello stesso art. 2, possono in via riflessa integrare, ai sensi dell’art. 1339 c.c., il contenuto dei rapporti di utenza individuali pendenti anche in senso derogatorio di norme di legge, ma alla duplice condizione che queste ultime siano meramente dispositive e, dunque, derogabili dalle stesse parti, e che la deroga venga comunque fatta dall’Autorità a tutela dell’interesse dell’utente o consumatore, restando, invece, esclusa – salvo che una previsione speciale di legge o di una fonte comunitaria ad efficacia diretta – non la consenta – la deroga a norme di legge di contenuto imperativo e la deroga a norme di legge dispositive a sfavore dell’utente e consumatore.
5.7. Può passarsi a questo punto a definire le condizioni in presenza delle quali la normazione o l’atto di esercizio di poteri amministrativi precettivi a contenuto collettivo ai sensi dell’art. 2, comma 12, lett. h), con i limiti indicati, può integrare, attraverso la mediazione dell’integrazione del regolamento di servizi, i contratti di utenza individuale.
Tale definizione deve partire dal dato che il potere di normazione o di amministrazione de qua è qualificato con un’espressione, quella di direttiva, che si presta a comprendere: a) l’imposizione di precetti al destinatario sub specie di indicazione di un risultato da raggiungere, se del caso con o senza assegnazione di un limite di tempo, salva la individuazione da parte di esso del modo con cui pervenire al risultato, ch’egli, dunque, può in sostanza poi scegliere; b) l’imposizione di un precetto specifico che non lasci al destinatario alcuna possibilità di scelta sui tempi e sui modi.
Ebbene, l’idoneità della direttiva a determinare, tramite la mediazione dell’integrazione del regolamento di servizio, l’integrazione dei contratti di utenza per la via dell’art. 1339 c.c. è configurabile soltanto nel secondo caso. Non lo è, invece, nel primo. Soltanto nel secondo caso, l’imposizione di un precetto specifico si può connotare sub specie di clausola, cioè di diretta regolamentazione prima del regolamento di servizio e, quindi, del contratto di utenza. Invero, una clausola, identificando una parte del regolamento contrattuale deve avere di norma un contenuto determinato, cioè specifico ( art. 1346 c.c.). E’ vero che la clausola può avere anche un contenuto determinabile (sempre art. 1346 c.c.), ma allora – ammesso che sia sostenibile un’integrazione ai sensi dell’art. 1339 c.c. di un contratto, attraverso una norma che si limiti a prevedere che debba assicurarsi un risultato, lasciandone però i modi alla determinazione di una delle parti del contratto – l’onere di specificazione si trasferisce almeno al procedimento ed ai contenuti della determinazione.
Ora, la previsione della Delib. n. 200 del 1999, art. 6, comma 4 imponendo all’esercente di offrire al cliente almeno una modalità gratuita di pagamento della bolletta si connotava certamente come prescrizione del tutto inidonea ad integrare una clausola di contenuto determinato. In tanto, la previsione della modalità come concorrente con altre di effetto diverso lasciava al concessionario il potere di individuare questa modalità in concorso con altre e, quindi, lo facultava a prevedere più di una modalità. In secondo luogo, il concessionario era facultato ad individuare gli stessi termini della modalità gratuita.
Nè potrebbe dirsi che la prescrizione integrasse una clausola il cui contenuto era rimesso all’individuazione dello stesso concessionario, sì da integrare una clausola di contenuto determinabile: occorre, infatti, tenere presente che la determinabilità, una volta che la modalità gratuita non veniva prevista come esclusiva, era sostanzialmente insussistente, in quanto l’esercizio del potere di determinazione da parte del concessionario doveva muoversi pur sempre lasciando intatta la previsione del codice civile, di cui alla norma dispositiva sul pagamento, prevista nell’art. 1196 c.c., secondo la quale le spese del pagamento sono a carico del debitore. Previsione questa che implica che il costo dell’attività necessaria al debitore per pagare è di norma a suo carico e che, per essere apprezzata nel suo effettivo significato, dev’essere coordinata anche con quelle sul luogo del pagamento, espresse nell’art. 1182 c.c., e particolarmente con quella sul luogo del pagamento delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro determinate, che il primo inciso del comma 3 della norma, indica nel domicilio del creditore. L’art. 1196, in sostanza, in riferimento a dette obbligazioni, fra le quali rientrano quelle dell’utente relative al pagamento della bolletta (o fattura) (modalità di richiesta del pagamento sostanzialmente prevista come necessaria dall’art. 6, comma 1, della nota deliberazione), comportava che la spesa necessaria all’utente per recarsi a pagare al domicilio del soggetto esercente fosse a carico di lui. Onde, la previsione di una modalità gratuita di pagamento, in mancanza sia di un’espressa deroga all’art. 1196 c.c., sia di una deroga implicita, siccome rivelava la previsione come soltanto una delle modalità (e, quindi, alternativa) di quella gratuita, non poteva certo implicare che l’utente dovesse essere esentato da detta spesa, ma, semmai, poteva giustificare che l’esercente non potesse imporre in caso di pagamento al suo domicilio (o ad uno dei suoi domicili) un addebito ulteriore: la spesa per l’esecuzione del pagamento al detto domicilio e, quindi, il costo dell’attività ed il dispendio di attività per farlo ai sensi dell’art. 1196 c.c. erano a carico dell’utente, stante la mancata deroga a detta norma.
Nel contempo, la mancanza di deroga all’art. 1196 e, quindi, la conservazione dell’onere del debitore di sopportare eventuali costi per l’attività necessaria per adempiere al domicilio dell’esercente, implicava che lo stesso parametro della gratuità dovesse essere valutato comparativamente con il costo di modalità di pagamento che, pur imponendo all’utente un costo, come il pagamento con domiciliazione bancaria o su conto corrente postale, tuttavia, l’avessero esentato dalla spesa necessaria per recarsi presso il domicilio (più o meno lontano) dell’esercente, spesa che poteva essere più o meno rilevante a seconda della sua distanza.
In questa situazione la prescrizione dell’art. 6, comma, 4 non aveva nemmeno un contenuto tale da poter essere mutuato come clausola a contenuto determinabile e, dunque, – anche a voler (problematicamente) concedere che un’integrazione ai sensi dell’art. 1339 c.c. sia possibile da parte di una clausola a contenuto rimesso alla determinazione di una parte – non era idonea a modificare o integrare il regolamento di servizio all’epoca vigente e, quindi, di risulta i contratti di utenza individuali.
5.8. In realtà, una prescrizione come quella in discorso, per la sua indeterminatezza assegnava all’esercente una sorta di obbligo di perseguimento di un risultato con ampi poteri di scelta, salva la valutazione dell’A.E.G.G. circa il raggiungimento del risultato attraverso i poteri di ispezione, accesso ed acquisizione di documentazione e notizie, previsti dall’art. 2, comma 12, lett. g) e quelli di valutazione di reclami, istanze e segnalazioni della successiva lettera m), con conseguente possibilità dell’Autorità all’esito di esercitare il potere previsto dall’art. 2, comma 20, lett. d), cioè di ordinare al soggetto esercente il servizio la cessazione di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti, imponendo, ai sensi del comma 12, lett. g), l’obbligo di corrispondere un indennizzo al soggetto esercente il servizio la cessazione di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti, imponendo, ai sensi del comma 12, lett. g), l’obbligo di corrispondere un indennizzo.
Inoltre, l’A.E.G.G., a parte il potere di intervenire con una prescrizione nuova sufficientemente specifica da produrre l’effetto dell’art. 1339 c.c., avrebbe avuto anche il potere di segnalare all’amministrazione concedente, in sede di parere ai sensi della L. n. 481 del 1995, art. 2, comma 34 l’opportunità all’atto del rinnovo della concessione o di una sua revisione di prevedere nella convenzione o nel contratto di programma di cui al comma 36 la prescrizione.
6. Deve, dunque, sulla base delle complessive considerazioni svolte escludersi che la prescrizione della Delib. dell’A.E.G.G. n. 200 del 1999, art. 6, comma 4 abbia comportato la modifica o integrazione del regolamento di servizio del settore esistente all’epoca della sua adozione e, di riflesso, l’integrazione dei contratti di utenza ai sensi dell’art. 1339 c.c., di modo che l’azione di responsabilità per inadempimento contrattuale esercitata dalla parte attrice risulta priva di fondamento, perchè basata su una clausola contrattuale inesistente, perchè non risultava introdotta nel contratto di utenza.
Il primo motivo è, pertanto, rigettato con la correzione della motivazione della sentenza impugnata emergente dalle svolte considerazioni.
7. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo.
Rigetta il primo motivo. Condanna parte ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro seicento/00, di cui duecento/00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.