Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
D.D.A., dipendente della Arin (Azienda Risorse Idriche di Napoli) con la qualifica di meccanico elettricista, ha chiesto il riconoscimento del diritto alla qualifica di quarto livello di cui alla classificazione del personale prevista dal Regolamento organico applicato dall’Arin. Il Tribunale di Napoli ha accolto la domanda dichiarando il diritto alla qualifica superiore a far data dal 23.3.1984 e condannando la Arin al pagamento delle differenze retributive a decorrere dal 23.3.1989, Tale decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Napoli, che, accogliendo sul punto l’appello della Arin, ha ritenuto che la domanda fosse in parte preclusa per effetto del giudicato costituito da una precedente sentenza intervenuta tra le stesse parti in data 30.1.1991, sentenza con la quale era stata respinta la domanda del lavoratore sul presupposto della inapplicabilità del ccnl sul quale si fondava la pretesa del ricorrente, ed ha quindi accolto la domanda limitatamente al periodo dal 31.1.1991 fino alla data di cessazione del rapporto.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione D.D.A. affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso la Arin. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo si denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, chiedendo a questa Corte di stabilire, "in tema di giudicato qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto ed uno dei due giudizi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, se l’accertamento compiuto in ordine alla disciplina giuridica che regola il rapporto, preclude il riesame dello stesso rapporto anche se il successivo giudizio muova dalla soluzione di diritto risolta con il precedente giudizio"; "se, proposta domanda volta ad ottenere l’inquadramento professionale in una delle classi previste dalla declaratoria di un ccnl e rigettata la domanda sul presupposto che il ccnl invocato non disciplina il rapporto di lavoro in questione, perchè disciplinato da un regolamento aziendale, il giudicato formatosi su tale questione impedisce la proposizione di un successivo giudizio con il quale il lavoratore chiede l’inquadramento in un livello professionale proprio della classificazione del personale del regolamento aziendale, che la sentenza passata in giudicato ha riconosciuto come disciplinante il rapporto di lavoro"; "se un’eccezione di giudicato sollevata nel corso di un giudizio imponga al giudice di merito di accertare se esista identità di "petitum" e di "causa petendi" fra la causa precedentemente proposta, conclusasi con sentenza passata in giudicato, e la causa successivamente proposta"; "in particolare …se il giudice di merito debba accertare il concreto verificarsi fra i due giudizi del bis in idem, ovvero di pronunce in contrasto fra di loro"; "se il principio secondo il quale il "giudicato copre il dedotto e il deducibile abbia efficacia omnia preclusiva, anche nell’ipotesi di sentenza dichiarativa di rigetto, che non abbia accertato, nè statuito in ordine all’esistenza e alla qualificazione del rapporto". 2.- Con il secondo motivo si deduce vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, relativamente alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto che gli effetti preclusivi del giudicato si estendessero fino alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado (del precedente giudizio), e non solo fino alla data della domanda giudiziale.
3.- I quesiti formulati in chiusura del primo motivo di ricorso devono trovare risposta nei principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, a cui il Collegio intende dare continuità, secondo i quali il principio secondo cui il giudicato copre sia il dedotto che il deducibile comporta che, con riguardo all’accertamento in concreto della relazione giuridica tra le parti circa un determinato interesse, con un determinato petitum e una determinata causa petendi, non rileva se al giudicato si sia pervenuti in base all’accoglimento di determinate ragioni o argomentazioni o mediante la reiezione di altre, essendo sufficiente l’individuazione dell’interesse e del bene della vita tutelato dalla pronuncia del giudice, il quale non può essere rimesso in discussione in un successivo giudizio, al di fuori dei mezzi di impugnazione riconosciuti nei confronti della sentenza passata in giudicato, e salva la sopravvenienza di fatti e situazioni nuove, verificatesi successivamente al formarsi del giudicato o quanto meno non deducibili dalle parti nel primo giudizio. Tale principio comporta che, in tema di rapporti obbligatori, l’individuazione del diritto coperto dal giudicato, e quindi del bene della vita cui inerisce la pronuncia giudiziale, va correlata allo specifico fatto costitutivo allegato, nell’ambito del quale, però, esso copre tutte le possibili ragioni della sua affermazione o contestazione, anche indipendentemente dalla conoscenza che ne abbia avuto l’interessato, tranne quelle che dipendano da fatti verificatisi successivamente o comunque non deducibili entro il limite temporale rappresentato dal giudizio di merito, ed in conformità con il regime processuale dei mutamenti di domande e delle nuove deduzioni di fatto (cfr. ex plurimis Cass. n. 10279/94, Cass. n. 6148/2000, Cass. n. 5925/2004, Cass. n. 11493/2004, Cass. n. 21069/2004, Cass. n. 17078/2007, Cass. n. 10702/2008, Cass. n. 25893/2008, Cass. n. 15343/2009).
Pertanto, il giudicato formatosi sulla domanda di riconoscimento di una qualifica superiore ai sensi dell’art. 2103 c.c. ricomprende ogni possibile profilo inerente al fatto costitutivo dedotto, e quindi allo svolgimento di mansioni superiori per il periodo di tempo utile al riconoscimento della superiore qualifica, e si estende quindi ad ogni possibile ragione di fatto che l’attore avrebbe potuto dedurre a sostegno della pretesa, con il risultato di precludere il successivo esperimento di altra domanda tendente al riconoscimento del medesimo diritto, ma in relazione ad altri elementi di fatto che nel primo giudizio avrebbero potuto essere dedotti.
Nel caso di specie – analogo a quello esaminato da Cass. n. 6148/2000 cit. – una volta individuato nel diritto al conseguimento della mansioni superiori – per l’esercizio di fatto delle corrispondenti prestazioni in un determinato arco temporale – il bene della vita di cui si è chiesto l’accertamento giudiziale, deve pertanto ritenersi preclusa -fatta sempre salva la sopravvenienza di fatti e situazioni nuove, verificatesi successivamente al formarsi del giudicato o comunque non deducibili dalle parti nel primo giudizio – la successiva domanda di una qualifica superiore diversa da quella rivendicata in precedenza, seppur avanzata in base ad una diversa norma contrattuale, perchè il fatto costitutivo resta sempre lo stesso.
Nella decisione della causa, la Corte territoriale si è correttamente attenuta a tutti i principi sopra indicati, sicchè le censure espresse nel primo motivo di ricorso devono ritenersi prive di fondamento.
4.- Il secondo motivo, con il quale viene denunciato un vizio di motivazione relativo all’individuazione dell’ambito temporale entro il quale il giudicato spiega i suoi effetti, è inammissibile.
Secondo il ricorrente, infatti, il giudice d’appello avrebbe errato nel ritenere coperto dal giudicato il periodo dal 3.3.1988 al 30.1.1991, giacchè tale periodo non sarebbe stato ricompreso nell’oggetto del primo giudizio. 11 ricorrente, tuttavia, nonostante le diverse affermazioni contenute sia nel ricorso per cassazione che nella memoria ex art. 378 c.p.c., non ha riportato integralmente il contenuto della sentenza pronunciata nel primo giudizio e passata in giudicato, sicchè non è data a questa Corte la possibilità di riscontrare, attraverso quanto riportato nel ricorso per cassazione, l’effettivo ambito temporale entro il quale, nella fattispecie, opera il giudicato, e così la fondatezza delle censure svolte dal ricorrente (unicamente) sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Al riguardo, va rimarcato che nel giudizio di legittimità il ricorrente che deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha l’onere, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di specificare, trascrivendolo integralmente, il testo di quel documento, al fine di consentire alla Corte il vaglio della fondatezza delle censure espresse nel corrispondente motivo di ricorso, stante il divieto per il giudice di legittimità di ricercare negli atti gli elementi fattuali utili per la decisione della controversia, e che, comunque, come è stato ribadito dalla più recente giurisprudenza di legittimità, (cfr. Cass. n. 26627/2006, cui acide Cass. n. 6184/2009 e n. 10537/2010), condivisa dal Collegio, se è vero che l’interpretazione di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, ciò può avvenire, tuttavia, sempre nei limiti in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto del dispositivo e della motivazione, atteso che il solo dispositivo può non essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale. Nella specie, il ricorrente ha riportato nel ricorso per cassazione solo alcuni stralci della sentenza emessa nel primo giudizio (e passata in giudicato) e non ha neppure indicato in quale sede sia stato prodotto e sia rinvenibile il relativo documento (e ciò, come si è detto, nonostante le contrarie affermazioni contenute a pag. 7 del ricorso e alla pag. 1 della memoria di cui all’art. 378 c.p.c.). Di qui l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso.
5.- Il ricorso va, dunque, rigettato.
6.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 20,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.
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