Cass. civ. Sez. III, Sent., 18-08-2011, n. 17378 Rivalsa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p.1. L’Azienda Trasporti Milanesi (A.T.M.) s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione contro la s.p.a. AXA Assicurazioni avverso la sentenza del 12 marzo 2009, con la quale la Corte d’Appello di Milano – investita dell’appello avverso la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Milano – in riforma di quest’ultima ed in accoglimento dell’appello della AXA ha riconosciuto fondata l’azione di rivalsa dalla stessa esercitata ai sensi dell’art. 1916 c.c. ed ha condannato essa ricorrente al pagamento della somma corrisposta dalla AXA a M.L., a titolo di indennizzo per il furto della sua autovettura, assicurata presso la stessa AXA, mentre trovavasi parcheggiata nel giugno del 1996 nel parcheggio di (OMISSIS), gestito per conto del Comune di Milano dall’A.T.M.. p.2. Al ricorso ha resistito la AXA con controricorso. p.3. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione

p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione degli artt. 324 e 327 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 359 c.p.c., in relazione all’art. 163 c.p.c., n. 7 e all’art. 164 c.p.c., comma 2 ( art. 350 c.p.c., n. 3).

Vi si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto ammissibile l’appello nonostante che fosse stato proposto con citazione carente della indicazione della data di udienza. Ciò, a seguito di esecuzione di un ordine di rinnovazione dato in applicazione degli artt. 350 e 164 c.p.c..

L’errore della Corte meneghina starebbe nell’avere ritenuto applicabile al giudizio di appello la disciplina dell’art. 164 c.p.c., comma 2, quanto alle nullità relative alla c.d. vocatio in jus, mentre invece essa sarebbe inapplicabile a quel giudizio. Al riguardo vengono citate Cass. sez. un. n. 16 del 2000 e, con specifico riguardo all’ipotesi della mancata indicazione dell’udienza di comparizione, Cass. n. 3809 del 2004. p.1.1. Il motivo è infondato.

In primo luogo l’evocazione di Cass. sez. un. n. 16 del 2000 è fuori luogo, perchè essa si riferì all’art. 164 c.p.c., comma 2, nel testo originario, cioè anteriore alla riforma di cui alla L. n. 353, e successive modifiche, cioè in un testo che non è quello applicabile al giudizio, soggetto appunto alla disciplina dell’attuale art. 164 c.p.c..

In secondo luogo, con riferimento al regime introdotto dalla legge citata Cass. n. 3809 del 2004 risulta ampiamente superata e contraddetta dalla giurisprudenza successiva della Corte.

Si veda Cass. (ord.) n. 22024 del 2009, secondo cui: "La mancanza nella citazione di tutti i requisiti indicati dall’art. 164 cod. proc. civ., comma 1, e, quindi, di tutti gli elementi integranti la vocatio in jus, non vale a sottrarla (anche se trattasi di citazione in appello) all’operatività dei meccanismi di sanatoria ex tunc previsti dal secondo e terzo comma della medesima disposizione. Ne consegue che, quando la causa, una volta iscritta al ruolo, venga chiamata all’udienza di comparizione (che, per la mancata indicazione dell’udienza, dev’essere individuala ai sensi dell’art. 168 bis cod. proc. civ., comma 4), il giudice, anche in appello, ove il convenuto non si costituisca, deve ordinare la rinnovazione della citazione, ai sensi e con gli effetti dell’art. 164 cod. proc. civ., comma 1, mentre se si sia costituito deve applicare l’art. 164 cod. proc. civ., comma 3, salva la richiesta di concessione di termine per l’inosservanza del termine di comparizione". Acide: Cass. n. 17474 del 2007; n. 16877 del 2007; n. 17951 del 2008. Si veda, altresì, Cass. sez. un. n. 15783 del 2005. p.2. Con il secondo motivo si lamenta "violazione e falsa applicazione dell’art. 1766 cod. civ., e segg., in relazione all’art. 1571 c.c., nonchè in relazione alla L. 24 marzo 1989, n. 122, art. 16 ed al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 7, comma 1, lett. f.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 1341 cod. civ., comma 2.

Carente illogica e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia ( art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5)".

Con questo motivo si prospetta l’erroneità della qualificazione del rapporto in base al quale l’autovettura dell’assicurato venne parcheggiata, sostenendo, in funzione dell’esclusione del diritto alla rivalsa, che non si sarebbe trattato – come ritenuto dalla Corte territoriale – di deposito con assunzione di obbligo di custodia, tenuto conto che vi era avviso ben visibile circa l’esclusione di quest’ultimo, bensì di locazione di area a parcheggio senza quell’obbligo. p.2.1. Il motivo è fondato sulla base della recentissima sentenza n. 14319 del 28 giugno 2001, con la quale le Sezioni Unite della Corte, proprio decidendo su ricorso a posizioni invertire fra le stesse odierne parti concernente analoga controversia, hanno risolto il contrasto esistente in seno a questa Sezione sul punto della detta qualificazione.

Ciò, peraltro, riguardo allo stesso parcheggio di (OMISSIS).

Le Sezioni Unite hanno così statuito: "L’istituzione da parte dei Comuni, previa deliberazione della Giunta, di aree di sosta a pagamento ai sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 7, comma 1, lett. f) (C.d.S.), non comporta l’assunzione dell’obbligo del gestore di custodire i veicoli su di esse parcheggiati se l’avviso "parcheggio incustodito" è esposto in modo adeguatamente percepibile prima della conclusione del contratto ( art. 1326 c.c., comma 1, e art. 1327 cod. civ.) perchè l’esclusione della custodia attiene all’oggetto dell’offerta al pubblico ( art. 1336 cod. civ.), e l’univoca qualificazione contrattuale del servizio, reso per finalità di pubblico interesse, normativamente disciplinate, non consente il ricorso al sussidiario criterio della buona fede, ovvero al principio della tutela dell’affidamento incolpevole sulle modalità di offerta del servizio (quali ad esempio l’adozione di recinzioni, di speciali modalità di accesso ed uscita, dispositivi o personale di controllo), per costituire l’obbligo della custodia, potendo queste costituire organizzazione della sosta. Ne consegue che il gestore concessionario del Comune di un parcheggio senza custodia non è responsabile del furto del veicolo in sosta nell’area all’uopo predisposta".

In base a tale principio di diritto la sentenza impugnata dev’essere cassata. p.3. Il terzo motivo – denunciante vizio di motivazione riguardo alla prova del furto – resta a questo punto assorbito. p.4. Poichè, non occorrono accertamenti di fatto per decidere sull’appello proposto avverso la sentenza di primo grado dall’AXA, in quanto, in ragione della decisione delle Sezioni Unite e della pacifica esistenza nel parcheggio di avvisi circa l’esclusione della custodia, appare senz’altro palese che la vicenda relativa al furto per cui è stata esercitata la rivalsa, alla stregua del principio di diritto in essa affermato, non giustifica la rivalsa in iure sotto il profilo c.d. della sussunzione della fattispecie concreta sotto quella astratta, questa Corte può decidere senz’altro nel merito sull’appello dell’AXA riguardo alla sentenza di primo grado. E ciò nel senso che esso dev’essere rigettato perchè infondato in iure, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

5. Dovendosi provvedere sulle spese del giudizio di appello, oltre che su quelle del giudizio di cassazione, l’oggettiva incertezza della quaestio iuris dibattuta giustifica ampiamente l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi.
P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito sull’appello dell’AXA avverso la sentenza di primo grado, lo rigetta, confermando la sentenza di primo grado. Compensa le spese del giudizio di appello e di quello di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *