T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, Sent., 03-05-2011, n. 748 Commercio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Comune di Occhiobello con provvedimento "autorizzativo unico" n. 1 dell’11 luglio 2003 ha autorizzato la ditta C.G.I. Srl a realizzare un compendio immobiliare ad uso commerciale di superficie di vendita complessiva di circa mq 12.800, precisando di ritenere che lo stesso non rientrava nella figura del centro commerciale perché costituito da una pluralità di esercizi di vicinato al dettaglio, di competenza dell’Amministrazione comunale, per ciascuno dei quali sarebbero state presentate apposite comunicazioni di inizio attività, almeno 30 giorni prima della data di inizio dell’attività, come prescritto dall’art. 7 del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114.

Successivamente all’adozione di questo atto è sopravvenuta la legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, che ha introdotto nuove tipologie di strutture commerciali quali i "parchi commerciali", e gli "outlet", assoggettati ai vincoli della programmazione commerciale regionale propri delle grandi strutture di vendita.

La disciplina transitoria ha demandato ai Comuni di adottare un atto ricognitivo dei parchi commerciali già esistenti alla data di entrata in vigore della legge regionale, al fine di non assoggettarli ai limiti ed ai vincoli restrittivi della disciplina sopravvenuta.

Il Comune di Occhiobello con deliberazione di Giunta n. 173 del 22 dicembre 2005, ha adottato l’atto ricognitivo individuando come parco n. 1 il compendio oggetto dell’istanza presentata dalla ditta C.G.I. Srl, e specificando che con il menzionato atto unico n. 1 dell’11 luglio 2003, doveva intendersi acquisita anche la relativa autorizzazione commerciale.

Alla ditta C.G.I. Srl è subentrata, con atto di volturazione del 21 gennaio 2010, la Società O.O.V. Srl, odierna controinteressata.

Con il ricorso r.g. 1217 del 2010 Ascom – Associazione commercio turismo servizi piccole e medie imprese di Rovigo, Confesercenti di Rovigo, ed una serie di ditte che operano nel settore del commercio in Provincia di Rovigo, espongono di essere venuti recentemente a conoscenza dell’avvio di un’iniziativa immobiliare volta a realizzare una struttura di vendita denominata "O.O.V." di circa 13.000 mq, e di aver verificato solo il 13 aprile 2010 l’iter procedimentale e quindi l’esistenza del provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003, e della deliberazione della Giunta municipale del Comune di Occhiobello n. 173 del 22 dicembre 2005.

Tali provvedimenti sono impugnati per le seguenti censure:

I) violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 7 del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, degli artt. 10 e 7 della legge regionale 9 agosto 1999, n., 37, dell’art. 1 del DPR 20 ottobre 1998, n. 447, violazione del principio di tipicità, erroneità dei fatti presupposti e sviamento, in quanto il provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003 ha ad oggetto esclusivamente dal punto di vista urbanistico ed edilizio, non essendo abilitato ad attestare in via preventiva la conformità commerciale di un compendio ancora da realizzare e da autorizzare mediante il ricorso a denunce di inizio attività, ove inteso come pluralità di esercizi di vicinato, qualificazione quest’ultima comunque da considerare erronea perché si tratta in realtà di un centro commerciale soggetto alla disciplina delle grandi strutture di vendita;

II) nullità ai sensi dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, della deliberazione della Giunta comunale n. 173 del 22 dicembre 2005 per mancanza dell’elemento essenziale dell’oggetto, in relazione all’art. 10 della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, che consente la ricognizione solo dei parchi commerciali già esistenti o almeno già autorizzati anche se non ancora attivati, ed erroneità dei fatti presupposti in relazione all’art. 10, comma 7, della medesima legge regionale.

Sono intervenuti ad adiuvandum nel giudizio Confesercenti – Confederazione italiana imprese commerciali turistiche e dei servizi della Provincia di Ferrara, l’Associazione commercianti, commercio turismo e servizi di Ferrara e la Regione Veneto, quest’ultima a tutela delle funzioni di programmazione commerciale e di tutela del territorio attribuitele dalla legge e compromesse dalla realizzazione di parchi commerciali non assoggettati ai vincoli introdotti dalla legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, associandosi tutti alle conclusioni proposte con il ricorso principale.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Occhiobello e la controinteressata O.O.V. Srl, eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione, l’irricevibilità per tardività dell’impugnazione, l’inammissibilità dell’intervento della Regione e chiedendo la reiezione del ricorso nel merito perché infondato.

Con ricorso r.g. 2085 del 2010 il Consorzio Centro Commerciale "la Fattoria", unitamente ad altre ditte che operano nell’ambito del medesimo centro commerciale localizzato a sud della città di Rovigo lungo la strada statale n. 16 nel medesimo ambito territoriale di programmazione regionale dove è localizzata la struttura della Società controinteressata (denominato "area sovracomunale 12 Rovigo – Badia Polesine – Adria"), espongono di aver notato nel mese di settembre 2010 l’avvio di un’intensa attività edilizia nel Comune di Occhiobello, e di aver appreso che tale attività edilizia era volta a realizzare un’ampia iniziativa commerciale secondo la tipologia del centro commerciale o del parco commerciale.

Conosciuti gli atti dell’iter procedimentale, il provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003, e la deliberazione della Giunta municipale del Comune di Occhiobello n. 173 del 22 dicembre 2005, sono impugnati per le seguenti censure:

I) in via principale nullità dell’atto ricognitivo dell’esistenza di parchi commerciali di cui alla deliberazione di Giunta n. 173 del 22 dicembre 2005, per inesistenza dell’oggetto della ricognizione dal punto di vista materiale – edilizio;

II) in via subordinata nullità dell’atto ricognitivo dell’esistenza di parchi commerciali di cui alla deliberazione di Giunta n. 173 del 22 dicembre 2005, per impossibilità giuridica della ricognizione, in quanto alla data della sua adozione, e a tutt’oggi, manca di una autorizzazione commerciale che costituisce indefettibile presupposto dell’atto ricognitivo;

III) in via ulteriormente subordinata violazione dell’art. 10 comma 7 della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, da parte dell’atto ricognitivo di cui alla deliberazione di Giunta n. 173 del 22 dicembre 2005, perché è stata attestata l’esistenza di un aggregato commerciale inesistente;

IV) nullità del provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003, perché reca una valutazione preliminare e preventiva sulla futura presentazione delle denuncie di inizio attività;

V) in via subordinata, illegittimità del provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003 per la mancata valutazione degli aspetti di carattere commerciale, la mancata rilevazione dell’inesistenza degli esercenti e dei requisiti necessari ad ottenere titoli abilitativi di carattere commerciale;

VI) violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 7 del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, e degli artt. 9, 20 e seguenti della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, erroneità dei presupposti e sviamento, per la mancata considerazione che l’aggregato commerciale autorizzato dal punto di vista urbanistico ed edilizio costituiva, dal punto di vista commerciale, un centro commerciale assoggettato ai vincoli della programmazione commerciale delle grandi strutture di vendita, e non una pluralità di esercizi di vicinato.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Occhiobello e la controinteressata O.O.V. Srl eccependo la tardività del ricorso e chiedendone la reiezione nel merito.

Alla pubblica udienza del 23 marzo 2011, in prossimità della quale le parti hanno depositato memorie a sostegno delle proprie difese, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. I ricorsi devono essere riuniti ai sensi dell’art. 70 del codice del processo amministrativo in quanto soggettivamente ed oggettivamente connessi.

2. Il Comune e la Società controinteressata eccepiscono, quanto al ricorso r.g. 1217 del 2010, il difetto di legittimazione di Ascom, di Confeserecenti e dei singoli titolari di esercizi commerciali.

Quanto alle associazioni di categoria, affermano che queste agirebbero in favore solo di alcuni degli associati, quelli che si ritengono danneggiati dall’insediamento di una nuova struttura, e non in favore di quanti potrebbero avere interesse ad insediarsi nella struttura in corso di realizzazione, quando invece le associazioni di categoria sono legittimate a proporre ricorso soltanto a tutela dell’interesse collettivo e quindi in favore della totalità di tutti gli iscritti.

2.1 L’eccezione non può essere accolta, in quanto rispetto alla struttura attualmente ancora in fase di realizzazione, fino ad oggi sono state rilasciate solamente autorizzazioni di carattere urbanistico ed edilizio, ma non è stata rilasciata ancora alcuna autorizzazione di carattere commerciale (la questione sarà esaminata successivamente), e non sono pertanto attualmente individuabili soggetti portatori degli interessi propri dei titolari di autorizzazioni di vendita al dettaglio la cui tutela è perseguita dalle associazioni ricorrenti.

Peraltro non sembra potersi riconoscere rilievo agli interessi, allo stato solo ipotetici, di quanti potrebbero eventualmente in futuro essere interessati ad insediarsi nella struttura; infatti controinteressato nel presente giudizio è solo il promotore dell’iniziativa, che non è titolare di autorizzazioni commerciali (la questione è oggetto di approfondimenti nel prosieguo), e non singoli commercianti.

2.2 Quanto ai singoli titolari di esercizi commerciali che hanno presentato ricorso, il Comune e la Società controinteressata contestano che abbiano una posizione qualificata e differenziata rispetto agli atti impugnati, perché non hanno fornito la prova documentale della loro posizione legittimante.

Anche questa eccezione deve essere respinta in quanto i ricorrenti hanno indicato nella memoria di replica la tipologia e l’ubicazione delle singole attività, ed hanno depositato in giudizio i titoli abilitativi rilasciati dai Comuni ove operano, attestando in tal modo la loro localizzazione nel Comune di Rovigo e nei limitrofi Comuni di Lusia e di Lendinara.

La documentazione è stata depositata nel corso della trattazione orale dell’udienza pubblica, e a tale deposito, pur senza specifiche contestazioni, si è opposto il difensore della Società controinteressata.

Il Collegio ha autorizzato il deposito in conformità all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui nel processo amministrativo la prova della legittimazione a stare in giudizio può essere fornita dalle parti all’udienza di discussione, poiché è sufficiente che la legittimazione processuale risulti accertata, nel rispetto del contraddittorio, fino a quando la causa non sia passata in decisione (cfr. ex pluribus Tar Puglia, Bari, Sez. I, 2 dicembre 2009, n. 2990; Consiglio di Stato, Ad. plen., 6 febbraio 1993 n. 3; Consiglio di Stato, Sez. V, 17 gennaio 1994 n. 23; Consiglio Stato, Sez. V, 19 maggio 1978, n. 572).

Poste tali premesse si rileva che deve essere pertanto riconosciuta la legittimazione ai singoli commercianti che operano nel medesimo bacino di utenza, dato che la grande capacità attrattiva e di richiamo del nuovo centro, per le dimensioni e la sua collocazione (vicino all’uscita dell’autostrada in un’area dotata di ampi parcheggi), fa sì che l’impatto economico non possa essere ristretto ai commercianti siti nelle immediate vicinanze, e si riverberi anche sugli esercenti dei Comuni vicini (cfr. Consiglio Stato, Sez. V, 20 febbraio 2009, n. 1032).

3. La Società controinteressata eccepisce l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum della Regione Veneto perché titolare di una autonoma legittimazione al ricorso non proposta nei termini di impugnazione.

L’eccezione va respinta perché l’art. 28, comma 2, del codice del processo amministrativo, innovando rispetto ai previgenti artt. 37 e 40 del RD 17 agosto 1907, n. 642, e all’art. 22 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ha ammesso all’intervento "chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse". Il riferimento alla circostanza che l’interventore non debba essere decaduto dall’esercizio dell’azione, come è stato osservato (cfr. Tar Sicilia, Catania, Sez. II, 10 febbraio 2011, n. 330), induce a ritenere che se non si sono verificate decadenze l’intervento può essere esteso fino a tutelare anche interessi dell’interventore che potrebbero essere tutelati in autonomo e separato giudizio.

Nel caso all’esame è stata proposta anche un’azione di nullità non sottoposta (prima del codice del processo amministrativo) a termini di decadenza, ed almeno per questa azione è pertanto ravvisabile la sussistenza dei presupposti per l’intervento adesivo.

4. Il Collegio, per ragioni di economia processuale, ritiene di poter omettere di esaminare le eccezioni di tardività della proposizione dei ricorsi, perché tali eccezioni riguardano solo le censure di carattere impugnatorio volte ad ottenere l’annullamento degli atti impugnati, e non anche le censure attraverso le quali i ricorrenti chiedono l’accertamento della loro nullità, domanda quest’ultima non sottoposta a termini di decadenza al momento, antecedente al codice del processo amministrativo, della proposizione dei ricorsi (solo con il codice all’art. 31, comma 4, è stato innovativamente previsto un termine di decadenza di 180 giorni), e che si rivelano fondate nei limiti di seguito indicati.

5. I ricorrenti del ricorso r.g. 1217 del 2010, con il secondo motivo, e i ricorrenti del ricorso r.g. 2085 del 2010, con il primo e secondo motivo, affermano la nullità in parte qua, ai sensi dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, della deliberazione della Giunta comunale 22 dicembre 2005, n. 173 per mancanza dell’oggetto in relazione all’art. 10, comma 7, della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, in quanto l’atto di ricognizione dei parchi commerciali ha ad oggetto un’entità strutturalmente inesistente dal punto di vista edilizio al momento di adozione della deliberazione, non autorizzata dal punto di vista commerciale, e comunque giuridicamente impossibile, posto che il provvedimento autorizzativo unico n. 1 dell’11 luglio 2003 non contiene, né avrebbe potuto contenere, alcuna autorizzazione commerciale.

Sul punto il Comune di Occhiobello e la Società controinteressata oppongono che non può ravvisarsi la dedotta nullità della deliberazione della Giunta comunale 22 dicembre 2005, n. 173, in quanto:

– con la domanda presentata il 16 gennaio 2003 ed integrata il 6 giugno 2010 dalla ditta C.G.I. Srl erano state richieste anche le autorizzazioni commerciali (cfr. pagg. 12 e 13 della memoria della controinteressata del 23 luglio 2010 nel ricorso r.g. 1217 del 2010);

– l’atto autorizzativo unico rilasciato ai sensi del DPR 20 ottobre 1998, n. 447, può riguardare anche le autorizzazioni commerciali disciplinate dal Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114 (cfr. pag. 5 della memoria del Comune del 9 settembre 2010; pag. 7 della memoria del 28 febbraio 2011 nel ricorso r.g. 1217 del 2010), e nel caso di specie il predetto atto non può che considerarsi come autorizzazione commerciale con previsione di posticipato avvio al momento dell’ottenimento dell’agibilità dei locali (cfr. pag. 15 della memoria della controinteressata del 23 luglio 2010, e pag. 13 della memoria del Comune del 24 luglio 2010 nel ricorso r.g. 1217 del 2010);

– è dirimente la circostanza che il provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003 contiene un approfondimento sugli aspetti commerciali, e ciò esclude ogni dubbio sulla volontà del Comune di assentire l’iniziativa sotto il profilo commerciale (cfr. pag. 4 della memoria del Comune del 9 settembre 2010, e pag. 7 della memoria del 28 febbraio 2011 nel ricorso r.g. 1217 del 2010; pagg. da 9 a 12 della memoria del Comune del 22 gennaio 2011 nel ricorso r.g. 2085 del 2010);

– l’atto ricognitivo di cui alla deliberazione della Giunta comunale 22 dicembre 2005, n. 173, che doveva verificare e perimetrare i parchi commerciali già esistenti o comunque autorizzati alla data di entrata in vigore della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, non è nullo per mancanza di un elemento essenziale, perché il provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003 va qualificato come autorizzazione commerciale (cfr. pagg. da 4 a 10 della memoria della controinteressata del 1 marzo 2011 nel ricorso r.g. 1217 del 2010; le pagg. da 11 a 15 della memoria della controinteressata del 14 febbraio 2011 nel ricorso r.g. 2085 del 2010).

6. La controversia, così delimitata dalle difese emerse nel contraddittorio tra le parti, richiede in primo luogo di accertare la possibilità di qualificare o meno come atto che contiene un’autorizzazione commerciale il provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003.

Nonostante i molteplici ed articolati sforzi interpretativi compiuti dal Comune e dalla controinteressata, la tesi secondo cui il provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003 costituirebbe un’autorizzazione commerciale non può essere condivisa, perché priva di riscontri.

6.1 Sul punto vi è da premettere che il contesto normativo vigente al momento di adozione del provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003, non consentiva alcuna deroga alla disciplina dei titoli autorizzativi in materia del commercio quando fosse attivata la procedura dello sportello unico di cui al DPR 20 ottobre 1998, n. 447, che infatti all’art. 1, comma 1, ultimo periodo contiene un’apposita clausola secondo cui "resta salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114".

Conseguentemente non può esservi alcuna deroga:

– al principio di correlazione dei procedimenti di rilascio della concessione o autorizzazione edilizia inerenti l’immobile e dell’autorizzazione commerciale, che per quanto riguarda gli esercizi di vicinato richiede che gli edifici in cui attivare l’esercizio siano già realizzati ed agibili, posto che la comunicazione di inizio attività deve dichiarare che sono rispettati i regolamenti locali di polizia urbana, igienicosanitaria, edilizi, le norme urbanistiche nonché quelle relative alle destinazioni d’uso degli immobili, e l’apertura può essere effettuata decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione da parte del Comune (cfr. art. 7 comma 2, lett. b, e comma 1 del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114);

– al principio che le autorizzazioni commerciali, a tutela degli utenti e dell’armonico sviluppo del settore, non possono rimanere sospese o non attivate per periodi indefiniti, tant’è vero che sono previste ipotesi di decadenza ex lege in caso di mancata attivazione o sospensione (cfr. art. 22, comma 4, lett. a e b, nonché comma 5, lett. b del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114);

– al principio che per essere titolari di autorizzazioni commerciali è necessario possedere determinati requisiti soggettivi (cfr. art. 5 del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114).

Si tratta pertanto di un corpus normativo che non permette il rilascio di autorizzazioni commerciali prima ancora della realizzazione degli immobili in cui esercitare l’attività, che impedisce di lasciare le autorizzazioni sospese per svariati anni (a tutt’oggi non sono ancora state attivate), e che non ammette il rilascio delle autorizzazioni senza la verifica della sussistenza dei requisiti soggettivi prescritti.

6.2 L’analisi della domanda e del provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003 che da quella domanda è scaturito, conducono ad escludere che siano state in quella sede rilasciate delle autorizzazioni commerciali.

Infatti con istanza depositata il 16 gennaio 2003 la ditta C.G.I. Srl ha chiesto allo sportello unico delle attività produttive del Comune di Occhiobello il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione di un articolato compendio commerciale inizialmente precisando che si sarebbe trattato di una pluralità di medie strutture di vendita.

Nell’ultimo riquadro del modulo è stato precisato che in relazione all’istanza sono stati richiesti:

– la concessione edilizia;

– l’autorizzazione all’allacciamento alla rete fognaria;

– il parere igienico sanitario preliminare;

– il parere preliminare dei vigili del fuoco;

– una generica "autorizzazione all’esercizio dell’attività richiesta", con l’ulteriore richiesta di attivare i subprocedimenti relativi alla concessione edilizia, al parere di conformità antincendio, al parere igienico sanitario e all’autorizzazione agli scarichi.

Non vi è pertanto un esplicito riferimento alla richiesta di rilascio di autorizzazioni commerciali.

Successivamente con nota del 3 giugno 2003 è stata presentata una modifica ad integrazione della domanda originaria, con la quale le superfici commerciali da realizzare non sono state più indicate come una pluralità di medie strutture di vendita, ma come una pluralità di esercizi di vicinato ciascuno dei quali di dimensioni non superiori a 250 mq.

Nel dettaglio l’atto integrativo ha precisato che "in sostituzione, dopo l’esecuzione delle strutture edilizie, saranno asseverate da parte dei titolari le attività commerciali di vicinato ai sensi del Dlgs. n. 114 del 1998. Si richiede comunque, all’interno dell’atto unico, che venga esplicitamente dichiarata la possibilità e quindi la conformità dei progettati edifici commerciali di vicinato con le normative statali, regionali, con il regolamento commerciale locale e con tutte le altre norme edilizia/urbanistiche e sanitarie vigenti sul territorio comunale".

Il Comune di Occhiobello con provvedimento qualificato come "autorizzativo unico" dell’11 luglio 2003, a sua volta, coerentemente alla domanda presentata, ha autorizzato la realizzazione del compendio e, nella parte del provvedimento che opera una ricostruzione dell’iter amministrativo compiuto, ha precisato che è stata approvata una variante al piano di lottizzazione, che è stato rilasciato il permesso di costruire, il parere igienico sanitario, il parere allo scarico, il parere di conformità dei vigili del fuoco, e lo studio di impatto sulla viabilità.

Per quanto concerne gli aspetti commerciali, che sono quelli che rilevano ai fini della controversia, a pag. 3, l’atto precisa che "l’aspetto commerciale è probabilmente quello che necessitava di un maggior approfondimento tecnico legale" per il quale è stato acquisito un parere legale secondo cui, in definitiva "si può ritenere che nella fattispecie sottoposta al nostro esame, si configuri non tanto un centro commerciale, quanto una pluralità di esercizi di vicinato al dettaglio, come tali di competenza dell’Amministrazione comunale, inseriti in un contesto nel quale non vi è assolutamente una gestione unitaria del centro commerciale".

A pagina 8 del provvedimento viene precisato che dal punto di vista commerciale si ricade nella fattispecie dell’esercizio di vicinato prevista dall’art. 7 del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, per la quale "per l’attivazione dell’attività di vendita, è necessario una volta ottenuto il certificato di agibilità del locale, presentare al Comune, per ogni singola unità immobiliare, l’apposita comunicazione di inizio attività almeno 30 giorni prima della data di inizio".

Orbene dal tenore testuale degli atti è evidente che con l’atto autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003, non è stata rilasciata, né avrebbe potuto essere rilasciata, alcuna autorizzazione commerciale, e che, contrariamente a quanto controdedotto nelle difese del Comune e della Società controinteressata, i principi di legalità, tipicità e nominatività degli atti amministrativi non consentono di valorizzare volontà implicite dell’Amministrazione che non si siano estrinsecate in formali atti provvedimentali, per cui non può essere fondatamente costruita alcuna equivalenza tra un’autorizzazione commerciale e il consenso implicito all’attivazione di esercizi commerciali mediante la futura presentazione di comunicazioni di inizio attività.

Tali conclusioni, circa l’insussistenza di una autorizzazione commerciale, riverberano i propri effetti in rito sulle domande di dichiarazione di nullità e di annullamento del provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003, proposte con il quarto e quinto motivo del ricorso r.g. 2085 del 2010, e con il primo motivo del ricorso r.g. 1217 del 2010.

Infatti una volta acclarato che il predetto provvedimento non contiene autorizzazioni commerciali, ma si occupa dei soli aspetti urbanistico – edilizi, e che i ricorrenti non sviluppano alcuna doglianza di carattere urbanistico ed edilizio, ne discende che è inammissibile per carenza di interesse la domanda di dichiarazione di nullità e di annullamento del provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003, e ciò esime dalll’esaminare le eccezioni con le quali il Comune e la Società controinteressata hanno eccepito la tardività della domanda di annullamento.

7. Proseguendo nella disamina della domanda di accertamento della nullità dell’atto ricognitivo di cui alla deliberazione di Giunta comunale 22 dicembre 2005, n. 173, è necessario considerare che successivamente all’adozione del provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003, che come sopra visto ha ad oggetto solo profili di carattere urbanistico ed edilizio, è entrata in vigore la legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, la quale, rispetto alla previgente legge regionale 9 agosto 1999, n., 37, ha previsto, accanto alle tradizionali figure degli esercizi di vicinato, delle medie strutture di vendita, delle grandi strutture di vendita e dei centri commerciali, anche le fattispecie dei "parchi commerciali", e degli "outlet", caratterizzati dalla presenza di aggregazioni di esercizi commerciali situati in spazi unitari ed omogenei.

L’introduzione di queste nuove tipologie commerciali ha avuto l’effetto di assoggettare al rispetto dei vincoli derivanti dalla programmazione regionale sulle grandi strutture di vendita, anche sotto il profilo autorizzatorio e del rispetto della normativa sulla valutazione di impatto ambientale, fattispecie caratterizzate da una pluralità di esercizi nell’insieme superiori a predeterminate soglie dimensionali, che prima vi erano escluse.

7.1 Per l’art. 10 della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, una struttura come quella oggetto della procedura attivata dalla ditta C.G.I. Srl costituirebbe un parco commerciale, perché è formata dall’aggregazione di almeno tre esercizi commerciali "situati in uno spazio unitario ed omogeneo ancorché attraversato da viabilità pubblica, con infrastrutture di parcheggio ed edifici anche distinti, ma comunque collegati alla rete viaria pubblica mediante più accessi diretti ovvero accessi sui quali confluisce l’intero traffico generato da tutto il complesso" le cui superfici superano le soglie dimensionali massime delle medie strutture di vendita (2.500 mq. nei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti).

Il legislatore, per non frustrare le aspettative sorte in capo a chi avesse dato avvio ad iniziative commerciali sottoposte a vincoli solo a seguito dell’entrata in vigore della nuove legge regionale, ha dettato un’apposita disciplina, anche di carattere transitorio, la quale prevede:

– che sono qualificate parchi commerciali tutte le aggregazioni di almeno tre esercizi commerciali esistenti alla data di entrata in vigore della legge aventi le caratteristiche descritte dalla norma (art. 10, comma 2);

– che i nuovi parchi commerciali e le modificazioni relative ai parchi commerciali esistenti alla data di entrata in vigore della legge sono assoggettati alla disciplina della grandi strutture di vendita di cui all’articolo 18 (art. 10, comma 3);

– che, salvo che non si presenti la necessità di apportare modificazioni, non sono assoggettati alla nuova disciplina i parchi commerciali già esistenti alla data di entrata in vigore della nuova legge regionale;

– che, ai fini di dare certezza, i Comuni, entro una data prefissata, devono approvare un provvedimento ricognitivo volto a verificare l’esistenza o meno di aggregazioni di esercizi commerciali con le caratteristiche del parco commerciale (art. 10, comma 7);

– che per "parchi commerciali esistenti" alla data di entrata in vigore della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, si devono intendere le aggregazioni di almeno tre esercizi commerciali anche semplicemente autorizzate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, a prescindere dalla data della loro effettiva attivazione (cfr. art. 15, comma 2, della legge regionale 16 agosto 2007, n. 21).

In applicazione a questa disciplina la giurisprudenza che si è occupata della questione ha precisato che la funzione del provvedimento di ricognizione è di "fotografare quanto esistente alla data presa in considerazione della legge regionale" (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 20 febbraio 2006, n. 384; id. 13 settembre 2006, n. 2921; id. 26 settembre 2006, n. 3063; id. 14 maggio 2007, n. 1484; id. 1 luglio 2008, n. 1888), che l’atto di ricognizione deve riferirsi a "parchi commerciali già sostanzialmente esistenti, ove le autorizzazioni commerciali sono state già rilasciate" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 febbraio 2008, n. 782), in quanto l’esistenza delle autorizzazioni commerciali "costituisce presupposto indefettibile dell’atto ricognitivo" (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 11 dicembre 2008, n. 449) con la conseguenza che "un’autorizzazione commerciale rilasciata dopo l’entrata in vigore della citata legge non può essere presa in considerazione nel ridetto provvedimento ricognitivo" (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 13 settembre 2006, n. 2921).

8. Il Comune di Occhiobello con deliberazione di Giunta n. 173 del 22 dicembre 2005, ha adottato l’atto ricognitivo individuando e perimetrando 4 parchi commerciali.

Nella deliberazione viene indicato come parco n. 1 il compendio oggetto dell’istanza presentata dalla ditta C.G.I. Srl, e si specifica che "in questo caso la superficie commerciale è il prodotto di un atto unico rilasciato ai sensi del DPR 447/98 n. 1 dell’11.07.2003, emesso in adempimento di una convenzione, per il quale si intende acquisita anche la relativa autorizzazione commerciale. A tal proposito l’Amministrazione comunale ha acquisito dei pareri legali".

Tale atto ricognitivo, che avrebbe dovuto accertare l’esistenza di parchi commerciali esistenti o quantomeno già autorizzati, in realtà utilizza una formula contraddittoria e perplessa perché è evidente che l’atto dichiarativo dell’esistenza di un parco commerciale o di un’autorizzazione commerciale può affermare che il parco o l’autorizzazione esistono o che non esistono, ma non può dare spazio a valutazioni soggettive o limitarsi ad ipotizzare la possibilità di estensioni analogiche (del tipo "deve intendersi acquisita anche la relativa autorizzazione commerciale"), perché in tal modo fa venir meno il contenuto tipico della funzione dichiarativa esercitata.

Pertanto l’atto ricognitivo per questa parte ha un’efficacia solo apparente, perché mantiene solo il connotato esteriore dell’atto certativo, ma omette in realtà di affermare l’esistenza delle condizioni di fatto predeterminate dalla legge e oggetto dell’accertamento, che, come sopra visto, nel caso di specie sono anche inesistenti, ed è possibile affermare che siamo di fronte ad una situazione di mancanza dell’oggetto e del contenuto tipico della funzione esercitata assimilabile alle ipotesi di scuola di assunzione in servizio di un soggetto defunto o di rilascio al medesimo di una patente di guida, di esproprio di un bene inesistente, di aggiudicazione di una gara ad un soggetto inesistente o di apposizione di un vincolo storico o artistico ad un bene inesistente.

Bisogna infatti considerare che secondo il modello legale (cfr. art. 10, commi 2 e 7 della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15), l’unica funzione dell’atto ricognitivo consiste proprio nel dare certezza giuridica all’esistenza di aggregazioni di esercizi commerciali alla data di entrata in vigore della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15, e si esaurisce in un’attività di certazione sulla sussistenza di condizioni predeterminate dalla legge che non coinvolge aspetti di discrezionalità amministrativa, ma di discrezionalità tecnica, mentre alla data di adozione della deliberazione della Giunta comunale del Comune di Occhiobello n. 173 del 22 dicembre 2005, vi era l’assoluta inesistenza di qualsivoglia edificio (i lavori di realizzazione del complesso infatti non erano neppure stati avviati) e non erano state rilasciate autorizzazioni commerciali. Allora, come ora, vi era infatti solo la generica presa d’atto da parte del Comune che sarebbero state in futuro presentate, successivamente alla realizzazione del complesso, delle comunicazioni di inizio attività in occasione di una futura attivazione di esercizi di vicinato, e tale presa d’atto è priva di qualsiasi valenza autorizzatoria provvedimentale di carattere commerciale.

In tale contesto, tenuto conto della funzione propria dell’atto ricognitivo, si è determinata una deficienza strutturale talmente grave che, prima della codificazione della categoria della nullità dell’atto amministrativo nell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, ad opera della legge 11 febbraio 2005, n. 15, avrebbe potuto far sussumere una tale patologia dell’atto entro la categoria dell’inesistenza giuridica, e che oggi, dopo la codificazione della categoria della nullità, va ad integrare la fattispecie della nullità per l’inesistenza e l’impossibilità di un elemento essenziale dell’atto, e l’atto ricognitivo si riduce a simulare una parvenza dei presupposti idonei a sottrarre la struttura commerciale ai vincoli della programmazione regionale applicabili invece, in base alla normativa regionale, a tutte le strutture che si trovano nell’identica condizione di "non esistenti" e di "non autorizzate" (ai sensi dell’ art. 15, comma 2, della legge regionale 16 agosto 2007, n. 21), alla data di entrata in vigore della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15.

9. Per completezza vi è da soggiungere che nel caso all’esame non sono rinvenibili elementi che impediscano l’accertamento della nullità dell’atto ricognitivo in quanto:

– si è in presenza di una forma nullità per mancanza di un elemento essenziale che rientra tra quelle comprese nel "numero chiuso" previsto dall’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e non di una nullità virtuale (che nel diritto amministrativo si traduce in ipotesi di annullabilità, che è la regola, mentre la nullità è testuale e si ha nei soli casi previsti dalla legge);

– l’azione è stata proposta prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, che innovativamente all’art. 31, comma 4, ha previsto un termine di decadenza di 180 giorni, che non si applica alle controversie, come quella all’esame, instaurate antecedentemente;

– tenuto conto che ai sensi dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241 la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è limitata al solo caso della violazione o elusione del giudicato, ai fini del riparto della giurisdizione è necessario considerare la natura della situazione soggettiva azionata, e nel caso all’esame è ravvisabile in capo ai ricorrenti una posizione di interesse legittimo cosicché la controversia rientra nella giurisdizione generale di legittimità (tale regola di riparto, che fa riferimento al criterio del petitum sostanziale, risulta oggi confermata dall’azione prevista dall’art. 31, comma 4, del codice del processo amministrativo);

– debbono ritenersi superati dal citato art. 31 comma 4 del codice del processo amministrativo i dubbi avanzati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (cfr. Tar Puglia, Bari, Sez. III, 26 ottobre 2005, n. 4581) circa l’ammissibilità di un’azione di accertamento e di una pronuncia dichiarativa della nullità.

In definitiva pertanto devono essere dichiarate inammissibili per carenza di interesse le domande di accertamento della nullità e di annullamento del provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003, perché questo non contiene autorizzazioni commerciali, e deve ritenersi accertata la nullità dell’atto ricognitivo di cui alla deliberazione n. 173 del 22 dicembre 2005, nella parte in cui si riferisce al parco commerciale n. 1, con assorbimento di ogni altra questione non espressamente esaminata.

Le spese, in ragione delle peculiarità della controversia e della novità delle questioni trattate, possono essere integralmente compensate tra le parti del giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe:

– in parte lo dichiara inammissibile per carenza di interesse relativamente alle domande di accertamento della nullità e di annullamento del provvedimento autorizzativo unico dello sportello unico per le attività produttive n. 1 dell’11 luglio 2003;

– in parte lo accoglie e, per l’effetto, dichiara la nullità dell’atto ricognitivo di cui alla deliberazione della Giunta municipale n. 173 del 22 dicembre 2005, nella parte in cui si riferisce al parco commerciale n. 1.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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