Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-04-2011) 06-05-2011, n. 17759 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 4.11.2008, il Tribunale di Milano dichiarò D. F.F. responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e – concesse le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e con la diminuente per il rito – lo condannò alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa.

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Milano, con sentenza in data 1.10.2009, confermò la decisione di primo grado.

A seguito di ricorso la Corte suprema di cassazione, Sezione 6^ penale, con sentenza 27.5.2010 annullò la sentenza impugnata, limitatamente alla circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano.

La Corte d’appello di Milano, Sezione 3^ penale, con sentenza 29.9.2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, riconosciuta la circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 comma 5 rideterminò la pena in anni 3 di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo:

1. vizio di motivazione in relazione al mero richiamo alla sentenza di primo grado in relazione alla determinazione della pena;

2. violazione della legge processuale ( art. 597 c.p.p., comma 3) e vizio di motivazione in relazione alla mancata determinazione della pena nel minimo edittale, come aveva fatto il primo giudice in assenza della circostanza attenuante.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).

Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Non vi è alcuna violazione del divieto di reformatio in pejus, posto che la pena base è stata determinata in misura inferiore a quella di primo grado.

Questa Corte ha infatti affermato che il giudice dell’impugnazione che accolga l’appello dell’imputato relativamente a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, ha l’obbligo di diminuire la pena complessivamente irrogata e di rifissare la pena base in misura non superiore rispetto a quella determinata in primo grado, al fine di non violare il principio del divieto di "reformatio in peius"; deve, tuttavia, ritenersi consentito, in quanto rientrante nel potere valutativo del giudice circa la incidenza da attribuire alle circostanze attenuanti generiche in riferimento alla funzione regolatrice della adeguatezza della pena al caso concreto, che, in tal caso, a seguito dell’accoglimento della richiesta dell’imputato di eliminazione di un’aggravante, sia nuovamente formulato il calcolo della detta incidenza e utilizzato anche un parametro con effetti matematici non identici purchè la pena finale, ferma altresì la pena base, risenta della diminuzione dovuta alla eliminazione dell’aggravante. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 48036 del 30.9.2009 dep. 16.12.2009 rv 245394).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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