Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – Con ordinanza deliberata in data 19 ottobre 2010, depositata in cancelleria il 25 ottobre 2010, il Tribunale di Sorveglianza di Firenze rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di B. G. volta a ottenere la riabilitazione ai sensi dell’art. 179 c.p..
2. – Avverso il citato provvedimento ha interposto tempestivo ricorso per cassazione il B. chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali. Veniva per vero rilevato che, una volta assolto da parte del richiedente l’onere di indicare gli elementi su cui si basa la propria richiesta, il giudice non può respingere l’istanza per carenza di documentazione, dovendo per contro provvedere ad attivare i propri poteri istruttori onde acquisire quanto ritenuto mancante anche attraverso rogatoria o richiesta diplomatica. Il provvedimento gravato è carente altresì di motivazione in quanto non ha valutato la risalenza nel tempo delle due condanne penali riportate dal B. nè ha considerato che non risultassero pendenze penali attuali, nè infine ha considerato i rapporti delle Questure di Firenze, Milano e Prato che pur aveva acquisito e di contenuto sostanzialmente positivo.
Motivi della decisione
3. – Il ricorso è fondato e merita accoglimento: l’ordinanza impugnata va annullata con le determinazioni di cui in dispositivo.
3.1 – La riabilitazione si caratterizza rispetto alle cause di estinzione di specifico reato o di specifica pena per un connotato di efficacia generale e residuale, in quanto è astrattamente idonea ad estinguere anche ogni ulteriore conseguenza che norme eventualmente sopravvenute alla sua concessione possano far derivare dalla medesima condanna per cui essa è intervenuta. L’istituto ha come risultato la reintegrazione del condannato nella capacità giuridica rimasta menomata, conseguita mediante l’estinzione delle pene accessorie e degli altri effetti penali derivanti dalla condanna penale, per cui essa è possibile tutte le volte in cui il condannato abbia mostrato di essersi ravveduto, serbando buona condotta ed astenendosi dal compiere atti riprovevoli, non essendo, invece, necessario che egli ponga in essere comportamenti positivi di valore morale indicativi di volontà di riscatto dal passato. Ai fini della verifica del requisito della buona condotta, che deve consistere in fatti positivi e costanti di ravvedimento, la valutazione del comportamento tenuto dall’interessato deve comprendere non solo il periodo minimo di tre anni dall’esecuzione o dall’estinzione della pena inflitta, ma anche quello successivo, fino alla data della decisione sull’istanza prodotta (Cass., Sez. 1, 27 febbraio 1996, n. 1274, Politi, rv.
204698). L’attivarsi del reo al fine dell’eliminazione, per quanto possibile, di tutte le conseguenze di ordine civile derivanti dalla condotta criminosa costituisce condizione imprescindibile per l’ottenimento del beneficio anche nel caso in cui nel processo penale sia mancata la costituzione di parte civile e non vi sia stata, quindi, alcuna pronuncia in ordine alle obbligazioni civili conseguenti al reato (Cass., Sez. 5,27 novembre 1998, n. 6445; Cass., Sez. 3,10 novembre 1998, n. 2942).
3.2. – Inoltre va rammentato che il Tribunale di sorveglianza è tenuto ad accertare, anche in relazione alla tipologia del reato per il quale è intervenuta condanna, non se l’istante si sia in qualche modo attivato al fine di eliminare, per quanto possibile, tutte le conseguenze di ordine civile che sono derivate dalla sua condotta criminosa, indipendentemente dalla circostanza che nel processo penale sia mancata la costituzione di parte civile (Cass., Sez. 1, 12 aprile 2006, rv. 234135) ma anche se ha serbato regolare condotta.
3.3. – Ciò posto, deve osservarsi che il Tribunale non è stato ossequioso di questi principi essendosi limitato a rilevare la carenza di documentazione che avrebbe dovuto per contro acquisire attivando i propri poteri istruttori. E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte, che il Collegio condivide, ritenere, infatti, che nel vigente sistema processuale non sussista un onere probatorio a carico dell’imputato o del condannato che invochi un provvedimento giurisdizionale a sè favorevole, ma, tutt’al più, soltanto un onere di allegazione, cioè un dovere di prospettare e di indicare al giudice i fatti sui quali la sua richiesta si basa, incombendo poi all’autorità giudiziaria il dovere di procedere ai relativi accertamenti. Tanto fra l’altro si desume, per la fase esecutiva, dal disposto dell’art. 666 c.p.p., comma 5 che impone al giudice l’obbligo di provvedere d’ufficio all’acquisizione di documenti e informazioni ovvero, ove occorra, all’assunzione di prove; norma che è tenuto ad osservare anche il giudice di sorveglianza nelle materie di sua competenza (Cass., Sez. 5, 14 novembre 2000, n. 4692, Sciuto, rv. 219253).
Inoltre, nello specifico, il giudice non ha neppure esaminato la documentazione comunque presente in atti e rappresentata non solo dalle note delle questure, peraltro espressamente richieste dall’ufficio procedente, ma anche dalla certificazione prodotta dal ricorrente.
4. – Ne consegue che deve adottarsi pronunzia ai sensi dell’art. 623 c.p.p. come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Firenze.
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