Cass. pen., sez. I 28-01-2009 (13-01-2009), n. 3861 Aggravante cosiddetta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1. Pronunciandosi sulla istanza di riesame proposta da S.A. avverso l’ordinanza, in data 16.06.2008, del G.I.P. del Tribunale di Napoli, con la quale veniva disposta in suo danno la misura cautelare della custodia in carcere perchè gravemente indiziato, in concorso con I.L. e R.S., del delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 56 c.p., e art. 629 c.p., comma 2, con le aggravanti di cui all’artt. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, come convertito in L. n. 203 del 1991, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, rigettava il gravame.
A sostegno della decisione impugnata il giudice territoriale richiamava, in primo luogo, le dichiarazioni della parte offesa ed il racconto reso dalla stessa circa il prestito usuraio di somme di denaro chiesto ed ottenuto da I.L., le vicende di chiaro segno persecutorio seguite a tale prestito e l’azione di recupero delle somme prestate realizzata da parte del R., il quale, dopo averlo preannunciato con l’ennesima telefonata minacciosa, si presentò insieme al ricorrente per pretendere indebiti pagamenti.
Il Tribunale inoltre valorizzava, ai fini della decisione, la testimonianza resa dalla madre della parte lesa, la quale aveva dichiarato che si erano a lei rivolte donne presentatesi a nome dei clan Mazzarella, chiedendole di convincere il figlio a ritrattare le denunce a carico del R. e del S., di poi deducendo, da tali premesse in fatto, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti dalla norma di riferimento e la ricorrenza nel caso di specie delle aggravanti contestate.
2. Ricorre per l’annullamento dell’impugnata ordinanza il S. denunciandone la illegittimità giacchè viziata, secondo prospettazione difensiva, da difetto di motivazione e violazione di legge.
Denuncia, in particolare, la difesa ricorrente:
che in ordine all’aggravante di cui all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, il giudice a qua nulla avrebbe argomentato;
che con riferimento alla L. n. 203 del 1991, art. 7, non risulterebbe chiarito nella gravata motivazione se la relativa aggravante sia stata dedotta per i fatti successivi all’arresto del ricorrente ovvero a quelli antecedenti;
che in relazione alla prima ipotesi al S. non risulterebbe provato in alcun modo la riferibità di quei comportamenti alla sua volontà ovvero ad una sua iniziativa;
che, se fondata la seconda ipotesi, non risulterebbe comunque provato alcun collegamento al S. di una volontà intesa a favorire un’associazione di tipo mafioso ovvero di comportamenti riconducigli al c.d. metodo mafioso;
che il ricorrente non compare mai nelle precedenti attività riferite al R. e che la sua presenza nei pressi dell’abitazione del F. al momento dell’arresto non appare idonea a fornire alcuna logica conclusione di forte contenuto indiziario.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Sui fatti di causa così come ricostruiti dai giudici del merito non sussistono apprezzabili censure di legittimità, dappoichè ad essi sono i medesimi pervenuti sulla base dei particolareggiati racconti della vittima dell’usura e delle conseguenti attività estorsive, racconti ritenuti, con giudizio di fatto adeguatamente motivato eppertanto incensurabile in questa sede, veritieri ed affidabili.
Ciò posto non può, conseguentemente, non riconoscersi rigore logico e compiutezza argomentativa all’ordinanza impugnata che, correttamente, ha dedotto i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente: a) dalla preannunciata "visita" in compagnia di "un suo compagno" per riscuotere il pagamento che ritardava ormai da troppo tempo; b) dalla considerazione che la compagnia serviva a rendere più "forte" la richiesta e ad "intimidire" la vittima, dappoichè non si comprenderebbe, in caso contrario, la ragione dell’annuncio; c) dall’intervento del clan Mazzarella nella vicenda a favore del principale attore dell’attività estorsiva, e, con pari intensità e senza differenza alcuna, in favore del ricorrente, al fine di "convincere" la p.o. a ritirare le accuse mosse agli imputati.
Giova qui ribadire, in conclusione sul punto, che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Secondo costante insegnamento di questa Corte, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo).
3.2 Con particolare riferimento, infine, alle censure relative alle contestate aggravanti, osserva il Collegio che, quella di cui all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, appare infondata dappoichè, sebbene non menzionata la norma di riferimento nel provvedimento in esame, ai fini della gravità indiziaria la motivazione risulta comunque adeguata attraverso il riferimento al clan Mazzarella ed alla carica intimidatoria percepita dal soggetto passivo dell’estorsione al momento dell’annuncio della visita di più persone, l’uno e l’altra comunque riferibili alla volontà concorrente del S., che prese parte alla "visita"preannunciata, ad essa partecipando, ed è del tutto logico affermarlo, consapevolmente.
Con riguardo, invece, alla disciplina portata dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, deve affermarsi il principio di diritto che la relativa aggravante ricorre anche se la minaccia ed il metodo in cui essa si risolve siano stati esercitati da un solo soggetto, in quanto non è necessaria la contestuale ed identica condotta di più correi, ma è sufficiente che il soggetto passivo percepisca che la minaccia e la intimidazione caratterizzante la norma in argomento provengano da più persone, avendo tale fatto, per se stesso, maggiore effetto intimidatorio (Cass., Sez. 1^, 24/10/2007, n. 46254, in ipotesi analoga; si vedano anche Cass., Sez. 2^, 31/03/2008, n. 16657; Cass., Sez. 1^, n. 25/09/2007, n. 40494; Cass. Sez. 1^, 03/11/2005, n. 5639).
4. Alla strega delle esposte argomentazioni il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
la Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. DISPONE trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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