Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-09-2011, n. 18191 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.F., in proprio e quale procuratore di M. G., chiedeva alla Corte d’appello di Catanzaro la condanna del Ministro della Giustizia al risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti all’eccessiva durata, in violazione degli termini di ragionevole durata del processo, del secondo grado di un giudizio intentato da esso M.F. sempre in proprio e nella qualità predetta, contro il comune di Gioiosa Ionica con atto notificato il 9 marzo 2001. Tale giudizio presupposto aveva ad oggetto il capo di sentenza relativo alle spese di lite con il quale il Tribunale di Locri, decidendo una causa nella quale essi avevano difeso tal C.G., aveva mancato di distrarre le spese liquidate con la stessa pronuncia, in favore di essi procuratori anticipatari. Nel ricorso si precisava che essi avvocati avevano svolto attività dall’introito della lite fino al 2 aprile 1997 quanto a Mo.Fr., e dal 2 aprile 1997 fino al momento della pronuncia di primo grado, quanto a M.F.. La Corte di merito riteneva che il giudizio presupposto, promosso dai due avvocati M. per veder riconosciuto il loro credito professionale, aveva registrato una durata ingiustificata. Ciò avendo riguardo anzitutto alla materia del contendere, che non appariva di difficile sistemazione, e peraltro all’inesistenza di un comportamento delle parti tale da contribuire alla durata di cui si trattava. Conclusivamente la Corte di merito, considerando che per siffatto giudizio il tempo di definizione ordinaria doveva ritenersi pari all’anno, e considerata la frazione di tempo da addebitare, sia pure minimo, al comportamento delle parti, stabiliva il periodo da considerare ai fini delle richieste di indennizzo in circa quattro anni. Ciò premesso riteneva di liquidare equitativamente lo stesso in Euro 4000,00 con gli interessi legali dal giorno della notifica del ricorso fino al soddisfo, cumulativamente per entrambi i ricorrenti. Riteneva pure sussistenti i giusti motivi per compensare tra le partì nella metà le spese del procedimento, ponendo la rimanente metà a carico dell’Amministrazione convenuta. Ricorrono i due avvocati M. contro questo decreto alla corte di cassazione con atto articolato su due motivi. Resiste l’Amministrazione della Giustizia con controricorso.

M.F., anche nella qualità, ha depositato memoria.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso le due parti private lamentano la violazione degli artt. 1226 e 2056 cod. civ., della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 3 e dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la Salvaguardia, dei Diritti dell’Uomo ratificata con la L. n. 848 del 1955. Affermano che la Corte di merito ha errato nel determinare un unico importo globale complessivo, oltre che insufficiente, ancorato alla durata della procedura per la parte eccedente quella ragionevole. L’indennizzo in questione doveva essere invece determinato anzitutto sulla base dei parametri normalmente adottati dalla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di Cassazione, quindi la liquidazione doveva avvenire separatamente per ciascuna delle parti.

1.A. Il motivo è fondato. La Corte di merito ha individuato in modo corretto il periodo di eccessiva durata, in quattro anni, esito questo non contestato. I due avvocati M. avevano agito nel processo presupposto allegando ciascuno di essi il diritto all’indennizzo del danno non patrimoniale subito per l’eccessiva durata in questione. Tuttavia tale giudizio presupposto, ovvero l’appello promosso nei confronti del capo della sentenza di primo grado relativo alle spese, aveva visto i due avvocati M. agire entrambi ciascuno per il proprio diritto alla richiesta di distrazione. La Corte di Catanzaro dunque avrebbe dovuto liquidare l’importo dovuto a ciascuno di essi, in quanto ciascuno leso dalla eccessiva durata di cui si trattava,risultando irrilevante, è appena il caso di dire, che i due avvocati avessero esercitato congiuntamente ovvero disgiuntamente pur sempre lo stesso patrocinio nel giudizio concluso con la sentenza contenente il capo del dispositivo relativo alla mancata distrazione delle spese.

2. Con il secondo motivo del loro ricorso di due avvocati M. lamentano la violazione all’art. 92 cod. proc. civ., nonchè la motivazione illogica ed erronea, ovvero ancora omessa oppure apparente, per giustificare il regolamento delle spese che, come si è precisato in narrativa, sono state in parte compensate. Rilevano che il Ministro convenuto è stato totalmente soccombente e dunque che la compensazione ha violato il diritto stabilito dalla norma innanzi citata.

2.a. Osserva la Corte che alla vicenda deve applicarsi, ratione temporis, il testo oggi vigente dell’art. 92 c.p.c., comma 2, atteso che il decreto della corte d’appello di Catanzaro, è datato 3 giugno 2008, ovvero è successivo al 1 marzo 2006.

Ciò premesso, il motivo è fondato. Nella specie non vi è stata soccombenza reciproca, giacchè invece la domanda dei ricorrenti è stata accolta, e la motivazione non ha indicato le gravi ed eccezionali ragioni per compensare parzialmente le spese tra le parti. Il decreto si è limitato ad indicare il comportamento processuale dell’Amministrazione convenuta, la quale peraltro ha resistito alla domanda ancorchè, come sembra abbia inteso dire il decreto impugnato, si sia comportata in modo pienamente leale in giudizio.

3. Il fondamento dei due motivi tuttavia non conduce alla cassazione della sentenza, giacchè ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, poichè non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con la determinazione, per quanto riguarda il primo motivo, dell’indennizzo spettante a ciascuno dei due odierni ricorrenti,che deve essere determinato, secondo i criteri messi a punto dalla giurisprudenza e pienamente accolti dalla Corte Suprema, in Euro 1000,00 per ciascuno dei primi tre anni di ritardo, ed in Euro 750,00 per il terzo anno, e dunque complessivamente in Euro 3750,00 per ciascuno. Mentre per quanto riguarda il secondo motivo devono essere attribuite ai medesimi le spese del giudizio di merito.

L’amministrazione resistente deve essere condannata al pagamento delle spese della fase di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e pronunciando ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna l’Amministrazione resistente al pagamento in favore di ciascuna delle parti ricorrenti la somma di Euro 3750,00. Condanna altresì la resistente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 500,00 oltre ad Euro 100,00 per spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *