Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
ello Stato Antonio Grumetto;
Svolgimento del processo
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio- sezione staccata di Latina, la signora F. C., in servizio presso l’UTE di Frosinone, con la quinta qualifica funzionale, impugnava il provvedimento con il quale il Ministero delle Finanze, in relazione alla istanza presentata in data 26 marzo 1991, riconosceva come dipendenti da causa di servizio le infermità di "bronchite asmatiforme e rinite cronica", ma respingeva per intempestività, a norma dell’art. 36 DPR 1957 n.686, l’istanza presentata in data 13 marzo 1998 con la quale in relazione alle suddette infermità veniva chiesta la concessione dell’equo indennizzo.
Sosteneva vari motivi di censura, in particolare deducendo che il provvedimento non indicava la documentazione medica da cui fare risalire la data della piena conoscenza della infermità da parte del ricorrente. Secondo il ricorso ciò che rileva a tal fine non è la malattia in sé, ma una infermità divenuta stabilizzata e di cui si ha conoscenza nel suo complesso; nella specie, l’amministrazione non ha dato piena prova del momento in cui l’interessata avrebbe avuto piena conoscenza della evoluzione del’episodio morboso.
Il giudice di primo grado rigettava il ricorso, ritenendo che – ai sensi dell’art. 36 DPR 686 del 1957 su menzionato – per fare decorrere il termine è sufficiente che si conosca la esistenza di una patologia e non anche la possibilità che vi sia un nesso con la prestazione lavorativa.
Dal certificato di data 16 luglio 1990 (prodotto in copia dall’amministrazione) rilasciato dal dottor G. G., la ricorrente era venuta a conoscenza di essere affetta da "rinite ed asma bronchiale allergica agli acari delle polveri" per cui "è assolutamente controindicato la permanenza in ambienti polverosi o comunque con notevole presenza di acari la cui inalazione potrebbe essere estremamente pregiudizievole per lo stato di salute della paziente".
Sia secondo l’amministrazione che secondo il primo giudice, dalla data di tale certificato iniziava a decorrere il termine per la presentazione della istanza di accertamento della causa di servizio e non può essere ritenuta fondata la tesi di fare decorrere il dies a quo invece dal rilascio del parere medicolegale del 19 marzo 1991.
Avverso tale sentenza propone appello la medesima signora C., deducendo i seguenti motivi:
1) violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto il primo giudice non si sarebbe pronunciato sul dedotto vizio di difetto o insufficienza della motivazione, in quanto il diniego motivato sulla intempestività non indica le ragioni, che invece vengono indicate dal primo giudice, facendo riferimento al certificato del 16 luglio 1990;
2) violazione dell’art. 36, cit.,in quanto ai fini della tempestività della domanda, deve farsi riferimento non già alla prima manifestazione della malattia, ma alla infermità man mano aggravatasi nel tempo e stabilizzatasi in forma permanente;
3) il primo giudice avrebbe inoltre travisato il tenore dei due certificati, in quanto nel primo (del 16 luglio 1990) si farebbe riferimento ad un singolo episodio allergico, mentre nel secondo (20 marzo 1991) si fa riferimento alla infermità oramai stabilizzata;
4) si sostiene che una diversa lettura dell’art. 36 su citato, nel senso di far decorrere il termine da un singolo episodio, sarebbe affetta da incostituzionalità;
5) in ultimo, l’appellante sostiene che con la nota del 17 giugno 1991 l’amministrazione competente, nel comunicare il diniego limitatamente al riconoscimento dell’aggravamento di tipo ortopedico, avrebbe rinunciato alla eccezione di intempestività.
Si è costituito il Ministero appellato chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.
Alla udienza pubblica del 3 maggio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
L’appello è infondato.
Ai sensi dell’art. 36 DPR 686 del 1957 su menzionato, per fare decorrere il termine è sufficiente che si conosca la esistenza di una patologia e non anche la possibilità che vi sia un nesso con la prestazione lavorativa.
L’art. 36 del DPR 1957 n. 686 così prevede al primo comma:
"L’impiegato civile che abbia contratto infermità, per farne accertare la eventuale dipendenza da causa di servizio deve, entro sei mesi dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso o da quella in cui ha avuto conoscenza dell’infermità, presentare domanda scritta all’Amministrazione dalla quale direttamente dipende, indicando specificamente la natura della infermità, le circostanze che vi concorsero, le cause che la produssero e, ove possibile, le conseguenze sull’integrità fisica".
E’ corretto il principio invocato da parte appellante secondo cui il termine di sei mesi, fissato dall’art. 36, d.P.R. 3 maggio 1957 n. 686 per la presentazione della domanda volta al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di un’infermità contratta dal pubblico dipendente, non decorre dal semplice verificarsi di un evento i cui danni possano manifestarsi in futuro o dalla conoscenza di una malattia o lesione, ma dal momento dell’esatta percezione della natura e della gravità dell’infermità e del suo nesso causale con un fatto di servizio.
Esso deve essere interpretato secondo un criterio di normalità, facendo cioè riferimento ad un termine tendenzialmente e ragionevolmente ancorato a risultanze obiettive e non rimesso alla piena e soggettiva disponibilità dell’istante.
Il termine quindi non può decorrere da epoca anteriore a quella in cui il dipendente abbia acquisito la conoscenza che la malattia è derivata da causa di servizio, gravando sull’Amministrazione, che eccepisca la tardività di detta domanda, l’onere di dimostrare la data in cui il dipendente stesso abbia acquisito tale conoscenza. Si deve avere riguardo, per la individuazione della data di decorrenza del predetto termine, non alla mera conoscenza della infermità, bensì alla consapevolezza della dipendenza di essa da causa di servizio, alla sua gravità ed alla sua permanenza, anche al fine di evitare la proliferazione di procedimenti amministrativi palesemente infondati o basati sulla mera verificazione di una malattia (Consiglio Stato, sez. V, 19 maggio 2009, n. 3075; Consiglio Stato, sez. V, 28 marzo 2008, n. 1298).
In base all’art. 36, d.P.R. 3 maggio 1957 n. 686, secondo il quale il termine entro il quale va presentata domanda per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di un’infermità contratta dal pubblico dipendente è stabilito in sei mesi "dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso" o da quella in cui l’impiegato "ha avuto conoscenza dell’infermità", il termine suddetto non decorre dal semplice verificarsi di un evento i cui danni possano manifestarsi in futuro o dalla conoscenza di una malattia o lesione, ma dal momento dell’esatta percezione della natura e della gravità dell’infermità e del suo nesso causale con un fatto di servizio.
In particolare, la decorrenza del termine va individuata tenendo presente il momento in cui l’interessato abbia acquisito, secondo un criterio di normalità, conoscenza dell’effettiva consistenza e gravità dell’affezione e delle relative conseguenze invalidanti (Consiglio Stato, sez. V, 04 marzo 2008, n. 898).
Proprio sulla base di tali principi, nella specie, dal certificato di data 16 luglio 1990 (prodotto in copia dall’amministrazione) rilasciato dal dottor G. G., la ricorrente era venuta a conoscenza di essere affetta da "rinite ed asma bronchiale allergica agli acari delle polveri".
Secondo tale certificato, "è assolutamente controindicato la permanenza in ambienti polverosi o comunque con notevole presenza di acari la cui inalazione potrebbe essere estremamente pregiudizievole per lo stato di salute della paziente".
Essendo quindi indiscutibile che da tale certificato medico si doveva evincere la pienezza della patologia, che, così descritta dal punto di vista medico, non poteva essere ritenuta dall’interessato come singolo episodio,, non vi è dubbio che dalla data di tale primo certificato iniziava a decorrere il termine per la presentazione della istanza di accertamento della causa di servizio.
Non può essere ritenuta fondata la tesi di fare decorrere il dies a quo invece dal rilascio del successivo parere medicolegale del 19 marzo 1991.
Il rispetto del termine perentorio di sei mesi dalla data di comunicazione del decreto di riconoscimento della dipendenza della menomazione da causa di servizio non è per se stesso sufficiente per conseguire il titolo al beneficio dell’equo indennizzo, occorrendo al riguardo anche la previa osservanza del termine previsto dall’art. 36 d.P.R. 3 maggio 1957 n. 686 per la tempestiva denuncia dell’infermità (così, Consiglio Stato, sez. IV, 20 gennaio 2006, n. 137).
In tema di riconoscimento del beneficio dell’equo indennizzo, anche se l’art. 52 d.P.R. 3 maggio 1957 n. 686, fa carico al dipendente di produrre la domanda di concessione dell’emolumento entro sei mesi dalla data di comunicazione del decreto di riconoscimento della dipendenza della menomazione dell’integrità fisica da cause di servizio, il rispetto del detto termine non è di per sè sufficiente per conseguire il titolo al beneficio, occorrendo, a tal fine, anche la previa osservanza del termine di cui al precedente art. 36 operante per la tempestiva denuncia dell’infermità, e che a questi fini deve ritenersi perentorio (Consiglio Stato, sez. VI, 06 settembre 2005, n. 4533).
La logicità di tale ratio legis comporta la reiezione di ogni motivo basato su assunti sospetti di incostituzionalità, in qualunque modo prospettati.
E’ anche infondato il motivo di violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto ai fini della reiezione del ricorso è sufficiente che l’amministrazione abbia ritenuto tardiva la domanda, certamente facendo riferimento al primo certificato rinvenuto nella pratica in questione, che in alcun modo l’appellante sostiene di non conoscere.
Né, in alcun modo, può essere considerato pregevole dal Collegio il motivo con il quale si sostiene che il primo giudice avrebbe integrato la manchevole motivazione dell’amministrazione: è evidente che il rilievo negativo di intempestività della domanda faceva riferimento chiaro alla conoscenza del primo certificato medico piuttosto che del secondo.
Risulta del tutto infondato anche il motivo con il quale si sostiene la rinuncia alla eccezione di intempestività della domanda, motivo tra l’altro non specificato in alcun modo, nel senso che non spiega perché l’atto menzionato dell’amministrazione, che ha rigettato la domanda, dovrebbe comportare la rinuncia a fare valere la tardività della richiesta.
Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza.
La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così provvede:
rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in complessivi euro tremila.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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