Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
l’applicazione dell’art. 111 c.p.c., accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 15/16-12-1994 R.M.C., T.P., T.A. e T.M.P. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Taranto M.L. chiedendone la condanna alla chiusura delle luci illecitamente aperte sul muro che divideva le proprietà delle parti in causa, alla rimozione dei mattoni in marmo posti sulla sommità del suddetto muro, quantomeno per la parte che invadeva la proprietà degli attori, ed all’espianto di un albero posto nella proprietà del convenuto a distanza illegale rispetto alla proprietà degli attori.
Si costituiva in giudizio il M. contestando il fondamento delle domande attrici di cui chiedeva il rigetto.
Il Tribunale adito con sentenza del 10-11-2003 rigettava le domande attrici.
Nelle more del giudizio il M. alienava a terzi l’immobile di sua proprietà confinante con quello di proprietà degli attori.
Proposta impugnazione da parte della R., di T.P., T.A. e T.M.P. cui resisteva il M. la Corte di Appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto con sentenza del 15-2-2005 ha ordinato all’appellato di chiudere le luci illecitamente aperte sul muro che divideva la proprietà delle parti in causa, ha dichiarato cessata tra le parti la materia del contendere quanto al suddetto albero, ha condannato il M. alla restituzione agli appellanti della somma di Euro 2442,23 nonchè al rimborso delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Per la cassazione di tale sentenza il M. ha proposto un ricorso articolato in tre motivi cui R.M.C., T. P., T.A. e T.M.P. hanno resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti i quali, premesso che il 24-5-1999 il M. aveva venduto la proprietà dell’immobile, sul cui muro di confine con la proprietà degli esponenti aveva illecitamente aperto delle luci, a D.S. e M. B.I., assumono di aver notificato a questi ultimi la sentenza di secondo grado in data 22-4-2005, essendosi il M. reso irreperibile, cosicchè, spiegando effetto tale notifica anche nei confronti di quest’ultimo quale debitore solidale, il ricorso era stato notificato ben oltre il termine di trenta giorni decorrente dalla notifica della sentenza impugnata.
L’eccezione è infondata.
Al riguardo si osserva da un lato che il D. e la B. non hanno partecipato a nessuno dei due gradi del giudizio di merito, e che quindi la notifica nei loro confronti della sentenza impugnata non comporta alcun effetto giuridico, e dall’altro che a seguito della successione a titolo particolare nel diritto controverso ai sensi dell’art. 111 c.p.c. (ipotesi verificatasi nella specie a seguito della vendita da parte del M. dell’immobile di sua proprietà confinante con quello di proprietà delle controparti al D. ed alla B.) il processo prosegue tra le parti originane, salva la facoltà del successore a titolo particolare di intervenire nel processo o l’eventualità di essere chiamato nel processo stesso.
Venendo quindi all’esame del ricorso, si rileva che con il primo motivo il M., deducendo violazione dell’art. 904 c.c., comma 2, censura la sentenza impugnata per aver ordinato all’esponente la chiusura delle luci aperte sul muro comune in assenza del necessario presupposto previsto dalla norma ora richiamata, ovvero la contemporanea costruzione di un edificio da parte del vicino.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. – degli artt. 903 e 904 c.c. nonchè vizio di motivazione, assume che, pur ritenendo che le luci per cui è causa siano state aperte nel muro comune sottostante a quello sopraelevato e di proprietà esclusiva dell’esponente, tuttavia il giudice ha erroneamente disposto la totale chiusura delle luci stesse, quindi anche nella parte di muro sopraelevato dal M. nonostante il diritto in proposito riconosciuto dall’art. 903 c.c. Il ricorrente inoltre esclude che la completa chiusura delle luci come ordinata dalla Corte territoriale fosse l’unico rimedio alla regolarizzazione delle stesse, e ciò non solo per la mancanza di ogni indagine ed ogni motivazione in tal senso, ma anche per l’assenza di una domanda al riguardo; pertanto in mancanza di una chiara ed esplicita domanda mirante al ripristino delle luci irregolari alle prescrizioni di legge, la sentenza impugnata ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato; d’altra parte, anche volendo ritenere sussistente una domanda di ripristino della conformità delle suddette luci alle prescrizioni di legge, sussisteva carenza e/o contraddittorietà della motivazione per aver disposto una chiusura completa delle luci stesse pur riconoscendo che queste, almeno per la parte più consistente, erano state ricavate in un muro sopraelevato di proprietà esclusiva del M. ai sensi dell’art. 903 c.c., comma 2.
Le enunciate censure, da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondate.
La Corte territoriale ha affermato che la CTU espletata nel primo grado di giudizio aveva accertato che il muro di confine tra le due proprietà era alto metri 1,45 (quota livella terrazzino M.), e che detto muro era stato realizzato in comune per un’altezza di metri 0,73 dalla quota stradale, mentre i restanti metri 0,90 erano stati eretti a cura e spese del M.; ha aggiunto che dal prospetto redatto dal CTU era risultato che le luci si aprivano già nella parte di muro comune, e proseguivano nella parte di muro costruita dal solo appellato, ed ha ritenuto fondato il primo motivo di appello, avendo considerato elementi pacifici sia il mancato consenso degli appellanti per quella parte delle luci che insistevano nel muro comune sia il mancato rispetto delle condizioni di cui all’art. 901 c.c., nn. 2 e 3 per tutte le luci aperte in detto muro.
Orbene la sentenza impugnata, avendo verificato per un verso che, come dedotto dagli appellanti, le luci aperte dal M. nella parte del muro realizzata in comune non avevano il lato inferiore ad una altezza non minore di metri 2,50 dal pavimento o dal suolo del luogo cui si voleva dare luce o aria, come stabilito dall’art. 901 c.c., n. 2, e che altro verso che l’altezza complessiva del suddetto muro di metri 1,45, inferiore quindi alla suddetta altezza minima, non consentiva evidentemente la regolarizzazione delle luci predette ai sensi dell’art. 902 c.c., comma 2 rendendole conformi alle prescrizioni di legge, ha ritenuto di accogliere la domanda degli appellanti di chiusura delle stesse, in quanto solo tale statuizione avrebbe consentito di tutelare il diritto di costoro all’osservanza da parte del M. delle norme di legge dettate in materia di luci onde impedire l’inspectio sul proprio fondo.
Conseguentemente deve essere disatteso l’assunto sostenuto dal ricorrente con il primo motivo di ricorso secondo cui il giudice di appello avrebbe ordinato all’esponente la chiusura delle luci aperte sul muro comune in assenza del necessario presupposto previsto dall’art. 904 c.c., comma 2 costituito dalla costruzione di un edificio in appoggio o in aderenza a tale muro da parte della R. e dei T., considerato che, come si è visto, la "ratio decidendi" della sentenza impugnata è da ricondurre alla impossibilità materiale di rendere dette luci conformi alle prescrizioni di legge, e non riguarda quindi l’art. 904 c.c., comma 2; inoltre l’evidenziata violazione della condizioni di cui agli all’art. 901 c.c., nn. 2 e 3, con riferimento a tutte le luci aperte nel muro in questione (anche riguardo a quelle aperte nella parte di muro sopraelevato dal M. e di sua esclusiva proprietà) ha comportato logicamente la chiusura totale di esse; infine non è ravvisabile il denunciato vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Corte territoriale disposto la chiusura delie luci in questione in accoglimento della corrispondente domanda in proposito formulata dalla R. e dai T..
Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 91 e 112 c.p.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver condannato l’esponente al rimborso delle spese di entrambi i gradi di giudizio pur in presenza di una chiara soccombenza delle controparti in ordine alle domanda relativa alla distanza dal confine di un albero posto a distanza illegale rispetto alla proprietà degli attori ed a quella riguardante la rimozione dei mattoni posti sulla sommità del muro di confine.
La censura è infondata.
Con riferimento alle spese del giudizio di primo grado, il giudice di appello ha evidentemente rilevato una maggiore soccombenza del M. rispetto alle controparti, essendo stata accolta, all’esito del giudizio di secondo grado, la domanda degli appellanti avente ad oggetto la chiusura delle luci nel muro che divideva la proprietà delle parti in causa, ed essendo stata dichiarata cessata la materia del contendere in ordine ad un albero che il M. aveva piantato nella sua proprietà, essendo emerso che quest’ultimo aveva abbattuto l’albero già nel corso del giudizio di primo grado, così riconoscendo almeno implicitamente la fondatezza sul punto della pretesa delle controparti; pertanto la soccombenza della R. e dei T. era rimasta ferma soltanto in relazione al rigetto della domanda di condanna alla rimozione dei mattoni posti dal M. sul muro suddetto, soccombenza evidentemente ritenuta residuale nell’ambito dell’economia complessiva del giudizio.
Quanto infine alla condanna del M. al rimborso delle spese del secondo grado di giudizio, tale statuizione è conforme al principio della soccombenza, essendo stato accolto integralmente l’appello della R. e dei T..
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 2500,00 per onorari di avvocato.
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