Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Con atto 29.5.2000, la Regione Campania ha impugnato innanzi alla Corte d’appello di Napoli il lodo arbitrale, sottoscritto in Napoli il 23 dicembre 1999 che, definendo la controversia afferente la realizzazione dell’impianto di depurazione e della bretella di collegamento stralciate dal complesso delle opere denominate "Sistemazione del Canale (OMISSIS)", aveva condannato l’amministrazione pubblica al risarcimento dei danni, dei compensi revisionali ed all’indennità di esproprio, oltre interessi di mora in favore del Consorzio Cooperative Costruzioni in proprio e quale mandataria dell’ATI costituita tra il Consorzio Cooperative Costruzioni, Il Consorzio di Produzione e Lavoro Forlì, la Giustino Costruzioni s.p.a., l’Impregilo s.p.a. e la Astaldi s.p.a..
La Corte territoriale, con sentenza notificata il 27 maggio 2004, ha respinto l’impugnazione.
Contro la statuizione la Regione Campania ha proposto ricorso per cassazione in base a cinque mezzi, resistiti dal Consorzio intimato con controricorso illustrato con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
La questione di giurisdizione posta col primo motivo è stata risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte con ordinanza n. 19699/2010 che ha dichiarato la giurisdizione dell’organo adito.
La preliminare eccezione di nullità della procura, sollevata dalla resistente in plurimi profili, già esaminata e trattata nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, va respinta ribadendo che: 1.- è acquisita agli atti la Delib. 23 luglio 2004, n. 1488 della Giunta Regionale della Campania che ha autorizzato la presente impugnazione; 2.- l’apposizione della procura a margine del presente ricorso, con cui costituisce corpo unico, le conferisce il requisito della specialità predicato dall’art. 365 c.p.c., pur difettando nel suo testo il riferimento alla sentenza impugnata nonchè la data del suo rilascio, in assenza d’espressioni che ne escludano il conferimento per la presente fase (Cass. S.U. n. 2219/2004 e sul suo solco da ultimo n. 1954/2009).
Col secondo motivo la Regione Campania, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 45 ascrive al giudice dell’impugnazione errore consistito nella declaratoria d’inammissibilità dell’eccezione di difetto della potestas judicandi del collegio arbitrale, asseritamente composto in senso difforme dalla disposizione in rubrica avente carattere cogente ed inderogabile. La questione, secondo consolidata esegesi – Cass. n. 6230/1999 – è proponibile nel corso dell’intero giudizio, dunque per la prima volta in sede d’impugnazione.
La controricorrente deduce ancora inammissibilità nonchè infondatezza del motivo.
Il motivo è privo di pregio.
La Corte territoriale ha dichiarato inammissibile la contestazione circa l’assenza della potestas judicandi del collegio arbitrale che, secondo l’assunto della Regione, era stato composto in senso difforme dal disposto dell’art. 45 del capitolato generale delle 00.PP approvato con D.P.R. n. 1063 del 1962 per numero degli arbitri e modo di composizione del collegio, poichè, non essendo rilevabile d’ufficio, avrebbe dovuto essere dedotta con l’atto d’impugnazione, e non già, com’era avvenuto, nei motivi aggiunti. La decisione non merita censura.
Secondo orientamento consolidato (per tutte Cass. n. 5289 del 1998, n. 5965/2008) le previsioni del capitolato generale d’appalto approvato col D.P.R. n. 1063 del 1962, in relazione ai contratti di enti pubblici diversi dallo Stato, rappresentano clausole negoziali aventi natura meramente contrattuale e la loro violazione, nella specie riguardante la composizione del collegio arbitrale secondo le previsioni dell’art. 45, è senz’altro deducibile in sede d’impugnazione del lodo arbitrale ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 2, ma solo sotto il profilo della violazione delle norme di ermeneutica contrattuale e purchè la relativa questione sia sta dedotta innanzi agli arbitri.
La problematica venne sollevata dall’odierna ricorrente innanzi al giudice dell’impugnazione con riferimento astratto alla norma del capitolato, la cui applicazione venne invocata in senso solo tautologico e non già in ragione del suo espresso richiamo contenuto nella convenzione, che rappresentava la premessa indefettibile dell’indagine sollecitata, e peraltro neppure con l’atto introduttivo ma solo con comparsa conclusionale. Alla luce del richiamato enunciato, la declaratoria d’inammissibilità ne è stato l’ineludibile ed ineccepibile corollario.
Col terzo motivo la Regione Campania denuncia violazione della L. n. 144 del 1999, art. 42, comma 3 e dell’art. 112 c.p.c.. Deduce omessa pronuncia sulla contestazione mossa circa il mancato perfezionamento della sua successione nel rapporto controverso in ragione dell’omessa constatazione dello stato di consistenza dell’infrastruttura e della sua immissione in possesso, nonchè in ordine all’eccepito precedente esaurimento dell’oggetto della convenzione per l’avvio del Prefetto di Napoli d’interventi con essa incompatibili. Il resistente replica per l’inammissibilità della censura che non esporrebbe effettivi argomenti di critica della decisione impugnata, adeguatamente motivata in parte qua.
La decisione impugnata afferma la legittimazione passiva dell’ente territoriale, contestata sull’assunto che la convenzione si fosse di fatto risolta o comunque esaurita per effetto della sospensione disposta dal funzionario CIPE e per l’avvio da parte del Prefetto di Napoli, quale Commissario straordinario per il disinquinamento del fiume (OMISSIS), di interventi con essa incompatibili, fatto questo accaduto ancor prima che si potesse ritenere consumata la sua successione nei contratti ai sensi della L. n. 341 del 1995, comunque mai avvenuta, rilevando l’inidoneità del provvedimento di sospensione a risolvere una convenzione o un appalto. La successione dell’ente nel rapporto ancora in atto si era è, inoltre verificata L. n. 341 del 1995, ex art. 22 e gli arbitri a tal proposito avevano rilevato, in punto di fatto, la sussistenza di indici rivelatori dell’avvenuto compimento di tutte le attività all’uopo necessarie.
Il motivo è infondato.
Fondamento dell’approdo è la costruzione del quadro normativo regolante il caso di specie in adesione a consolidata esegesi secondo cui "nell’ambito del programma diretto alla cessazione della gestione straordinaria delle opere di ricostruzione di cui al titolo 7^ della L. n. 219 del 1981, la dismissione delle competenze del funzionario CIPE cui consegue il trasferimento agli enti locali delle opere, non è automatico, in quanto il disposto della L. n. 341 del 1995, art. 22 che sancisce l’efficacia di tale acquisizione postula il necessario compimento di attività amministrativa, rappresentata dalla previa consegna degli atti tecnici, amministrativi e contabili, prodotti dall’Amministrazione cedente e dalla constatazione dello stato di consistenza dell’infrastruttura, al cui esito si realizza la successione del citato art. 22, ex comma 9 bis, Legge cit. degli enti anzidetti nei processi a titolo particolare all’Amministrazione statale originariamente convenuta in deroga al disposto dell’art. 111 c.p.c. ( Cass. n. 4751/2002, n. 5965/2008 cit.)". Questo assunto non è fatto segno di critica pertinente da parte della Regione odierna ricorrente, che lamenta piuttosto vizio motivazionale, che si sostanzierebbe nell’omesso vaglio critico delle circostanze, asseritamente pretermesse, idonee a confutare il controverso subentro nel rapporto concessorio in discussione, che risultano invece tenute in debito conto dalla Corte territoriale. La sentenza riferisce ed esamina entrambi i profili d’indagine sollecitati nel motivo d’impugnazione, e conclude per l’inammissibilità della tesi difensiva prospettata perchè su quei fatti che si assumono non esaminati il collegio arbitrale ha indagato, ritenendone la sussistenza. La censura in esame insiste nella smentita di quegli elementi, assunti dal collegio arbitrale a fondamento della vicenda successoria, per rivendicarne l’apprezzamento che correttamente ha negato l’organo d’impugnazione, attenendo al merito, dunque, precluso in quella sede. Tranciante ed esaustiva, la verifica del corretto accertamento delle circostanze attestanti la vicenda successoria indicati nel lodo ha comportato la legittimità della pronuncia arbitrale. Il riesame circa la sussistenza e la rilevanza delle circostanze accertate dal collegio arbitrale, contestate nel merito, per l’effetto è stato correttamente omesso. Nè di certo ne è ammessa la riproposizione col presente ricorso per Cassazione che, non investendo direttamente la pronuncia arbitrale, ma solo la decisione emessa in sede di impugnazione, introduce sindacato di legittimità limitato al mero riscontro della conformità a legge e della congruità della motivazione della sentenza che ha deciso sull’impugnazione del lodo (Cass. n. 5965/2008 cit.).
Il motivo va perciò rigettato.
Col quarto motivo la Regione Campania denuncia error in judicando in ordine alla sua responsabilità contrattuale, nonchè violazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 10 e 30 e dell’art. 112 c.p.c. e lamenta omesso esame di circostanze che avrebbero determinato diverso epilogo. Ed invero, premesso che, secondo consolidata esegesi del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 10 il diritto dell’appaltatore al ristoro del danno presuppone l’esercizio della facoltà di recesso, e che alcuna responsabilità potevasi attribuire al concedente quanto all’impianto di depurazione del (OMISSIS), sarebbe risultato per tabulas che i lavori non vennero mai consegnati. La questione rappresentata all’organo d’impugnazione investiva profili di diritto e non di merito, nè assume rilievo il mancato assolvimento dell’onere probatorio in relazione alle voci evidenziate sia perchè essa impugnante aveva rinunciato alla fase rescissoria, sia per il loro esiguo ammontare. In ogni caso il giudicante è incorso nel vizio d’omessa pronuncia circa l’applicabilità del menzionato art. 10 alle opere, mai consegnate, del (OMISSIS). Il resistente deduce inammissibilità e comunque infondatezza del mezzo. Il motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha dichiarato insussistente l’error in judicando attribuito dall’amministrazione impugnante agli arbitri per averne riconosciuto la responsabilità contrattuale, in violazione peraltro del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 10 e 30 mirando la censura ad inammissibile riesame del merito della valutazione dei fatti operata dal collegio arbitrale che, tenuto conto dell’ordinanza di sospensione dei lavori dichiarata illegittima dal TAR Campania, della consegna parziale dei lavori e del ritardo con cui era stata approvata la perizia di variante resa necessaria dalla riduzione delle opere, trasmessa dal Consorzio il 7 maggio ed approvata solo il 15 luglio 1993, aveva qualificato il comportamento della Regione contrario a buona fede, e perciò fonte di responsabilità. Poichè peraltro alcune partite liquidate nel lodo non erano connesse al ritardo nella consegna dei lavori, era onere dell’impugnate, rimasto non assolto, denunciare quali di esse assumessero rilevanza ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. citato che consente al concessionario, in caso di ritardo ascrivibile al concedente, il solo recesso dal contratto ed il correlato diritto di pretendere il compenso per i maggiori oneri derivanti dal ritardo, oltre al differimento del termine pattuito. Il motivo non indirizza critica pertinente a questa ratio deciderteli.
I fatti ascrivibili all’amministrazione, puntualmente scrutinati dagli arbitri, furono da essi assunti a fonte di responsabilità secondo gli ordinari criteri che presidiano le obbligazioni. Il riscontro da parte dell’organo d’impugnazione della legittimità di tale ricostruzione è immune da critica.
Seppur inconsapevolmente, la decisione fa buon governo dell’esegesi, in questa sede condivisa e che s’intende ribadire senza necessità di rivisitazione, secondo cui l’opzione di cui fruisce l’appaltatore ai sensi del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30 scioglimento del contratto senza indennità in caso di sospensione dei lavori e conseguente diritto al risarcimento dei danni solo in caso d’opposizione dell’Amministrazione, opera se la sospensione sia disposta per ragioni di pubblico interesse o necessità (diversa da quella, contemplata nel primo comma della norma, della sospensione disposta per cause temporanee ostative alla prosecuzione dei lavori a regola d’arte) e si protragga legittimamente. La sua protrazione illegittima configura invece ordinario inadempimento delle obbligazioni, con conseguente diritto dell’appaltatore ad una congrua proroga del termine per l’ultimazione dell’opera ed al rimborso delle maggiori spese, nonchè i rimedi di carattere generale della risoluzione del contratto e del risarcimento del danno" (Cass. n. 14574/2010).
L’illegittimità dell’ordinanza di sospensione delle opere nella specie è pacifica. La Corte territoriale ne ha dato atto richiamando la pronuncia assunta dal giudice amministrativo, e non ve ne è smentita. La circostanza rappresentava perciò fonte di responsabilità dell’amministrazione e titolo fondante il diritto dell’appaltatore al risarcimento del danno. Il motivo in esame, ponendo infondata necessaria correlazione tra il recesso non esercitato dall’appaltatore ed il risarcimento del danno, ripropone, seppur in chiave motivazionale, questioni di merito attinenti alle voci ritenute non contestate dagli arbitri, non scrutinate dalla Corte d’appello in ragione dell’inammissibilità del loro riesame, nè tanto meno esaminabili in questa sede. Nella parte finale deduce vizio d’omessa pronuncia sulla sicura applicabilità del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 10 alle opere mai consegnate relative all’impianto di depurazione (OMISSIS). La censura in parte qua, priva di autosufficienza, è generica e perciò inammissibile.
Con l’ultimo motivo si deduce infine violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 191 c.p.c. ed ancora dell’art. 112 c.p.c.. La ricorrente sostiene sia d’aver denunciato innanzi al collegio arbitrale d’aver demandato ai tecnici la soluzioni di questioni giuridiche.
La resistente deduce infondatezza del motivo. La Corte d’appello ha dichiarato infondato il motivo di nullità del lodo discendente dall’affidamento ai c.t.u. di quesiti esulanti dalla loro competenza sia perchè la Regione non si era opposta alla loro formulazione, sia perchè la censura non esponeva denuncia circa un vero e proprio trasferimento ai tecnici del potere decisionale attribuito al collegio.
La censura espressa nel motivo in esame è assistita dalla medesima genericità riscontrata dalla Corte territoriale. Non ripropone infatti con la necessaria autosufficienza i tratti salienti della questione – i quesiti formulati ed i rilevi asseritamente mossi innanzi al collegio arbitrale, che consentano di scrutinare il vizio addotto. E’ dunque inammissibile.
Per tutte le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese della presente fase di legittimità liquidandole in Euro 12.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
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