Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
na del Dott. DE SANTIS Fausto che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 5 giugno 2009 la Corte d’Appello di Firenze, in ciò confermando la decisione assunta dal Tribunale di Grosseto (invece riformata in ordine ad altro reato), ha riconosciuto A. G. e L.P.A. responsabili, in concorso tra loro e con altri, del delitto di bancarotta fraudolenta documentale in relazione al fallimento della società "Zalp 97 di Givone Lega Elisa & C", esteso agli stessi G. e L., unitamente ad C.A., quali di amministratori di fatto.
Ha ritenuto quel collegio che, sebbene a far tempo dall’agosto 1997 quali soci della società poi fallita (costituita nel marzo 1997) fossero rimasti soltanto G.L.E., figlia della G., e C.A., costoro avessero agito soltanto da schermo per evitare i pericoli economici del gruppo familiare, e che la società stessa fosse stato uno strumento per salvare dalla procedura concorsuale l’azienda agricola gestita dalla G., la quale già aveva ricevuto contaminazioni eterogenee con il "Centro Ippico Grecchi" (associazione sportiva facente capo all’imputata) e si era, ad un certo punto, confusa con l’attività d’impresa della società.
Quanto al L., la sua responsabilità era ravvisata nella partecipazione all’attività del gruppo, manifestatasi sia nell’iniziativa di costituire la società, sia nella continuità del ruolo gestorio così assunto.
Hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione la G. e il L., per il tramite del comune difensore, affidandolo a due motivi.
Col primo motivo i ricorrenti, dopo aver rievocato le vicende salienti della vita societaria, contrastano l’affermazione del Tribunale secondo cui l’attività d’impresa della società si sarebbe confusa con l’azienda agricola; rilevano che la genesi del centro ippico è stata di gran lunga anteriore alla costituzione della Zalp 97; insistono nell’affermare la separazione delle attività d’impresa e, quindi, la propria estraneità alla conduzione della società dopo l’uscita dalla compagine sociale; negano di essersi ingeriti nell’amministrazione e invocano, per tale riguardo, il sindacato del giudice penale sulla sentenza dichiarativa di fallimento.
Col secondo motivo denunciano contraddittorietà della motivazione per avere la Corte di merito, per un verso, accertato che al fallimento furono appresi animali e macchine agricole che si sarebbero voluti salvare, e per altro verso affermato che il nocumento ai creditori fu tentato non con la sottrazione materiale dei beni, ma con la confusione contabile: il che, sostengono, non resiste al controllo di logicità, in quanto la confusione contabile ha un senso, nell’ottica del pregiudizio per i creditori, soltanto se si accompagni alla materiale sottrazione dei beni.
Motivi della decisione
I ricorsi dei due imputati, confluiti nell’unico atto di impugnazione congiunto, sono privi di fondamento e vanno, perciò, disattesi.
Ciò è a dirsi sebbene la sentenza di secondo grado sia motivata privilegiando, in larga misura, la disamina – sfociata nell’assoluzione – delle questioni inerenti all’imputazione di bancarotta patrimoniale, mentre meno diffusa, e correlativamente meno perspicua, è la parte dedicata all’esposizione dei fatti in funzione della conferma di responsabilità per la bancarotta documentale.
Soccorre tuttavia il principio, da tempo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, a tenore del quale quando la sentenza di appello sia confermativa di quella di primo grado in forza dell’adesione alla linea argomentativa di questa, ai fini della congruità della motivazione deve aversi riguardo ad ambedue le sentenze, le quali si integrano vicendevolmente confluendo in un prodotto unico e inscindibile (v. Cass. 13 novembre 1997 n. 11220:
nonchè le successive conformi Cass. 20 gennaio 2003 n. 11878; Cass. 7 febbraio 2003 n. 23248; Cass. 10 gennaio 2007 n. 5606). Con la conseguenza per cui le premesse fattuali, sulla cui ricostruzione e valutazione si è fondato il giudizio di colpevolezza degli imputati, possono essere utilmente tratte dalla sentenza di primo grado.
Si legge, nella motivazione di questa, essere emerso dalle numerose relazioni del curatore che la società poi fallita avrebbe dovuto iniziare la propria attività con la gestione, in (OMISSIS) del bar ristorante pizzeria "Old Fashion"; che tale attività non aveva mai avuto concretamente inizio, in quanto un intervento dei Vigili del Fuoco aveva fatto accertare, all’inizio di estate del 1997, l’irregolarità degli impianti e la non conformità del locale cucina alla normativa igienico/sanitaria e di sicurezza;
che, per converso, i quattro soci – perdurando l’ingerenza della G. e del L. nella società, pur dopo la formale cessione di quote da costoro ai giovani G.L.E. e A. C. – avevano gestito un’attività, "non ufficiale" per la società, di ristorazione, agriturismo e centro di equitazione nel preesistente "Centro Ippico Grecchi", dislocata nello stesso luogo in cui la "Zalp 97 di Givone Lega Elisa & C." aveva trasferito la propria sede poco dopo la sua costituzione; che da tale commistione delle attività svolte era emerso il quadro generale di una complessa, fraudolenta, quanto farraginosa organizzazione aziendale in cui il ruolo della società fallita si rivelava strumentale; che, malgrado la società avesse optato per il regime di contabilità ordinaria, le scritture erano state tenute in modo incompleto e disordinato, in quanto la maggior parte dei libri era inesistente, il libro dell’inventarlo mancava, il libro contabile presentava molte pagine bianche e alcune pagine erano anzi palesemente strappate, di modo che non era possibile sulla base delle scritture la ricostruzione delle vicende patrimoniali.
La descrizione dei fatti così accertati dal primo giudice è stata condivisa dalla Corte d’Appello, la quale non ha mancato altresì di considerare che la confusione fra l’attività propria dell’azienda agricola e quella attinente all’oggetto sociale della Zalp 97 aveva trovato un’inconsapevole conferma nelle deduzioni stesse degli appellanti, odierni ricorrenti, là dove si era affermato che la società aveva condotto un’attività di albergo e ristorazione la quale, in realtà, faceva parte della stessa azienda agricola. Tale constatazione si salda con gli altri rilievi di fatto conseguiti alla complessiva valutazione delle emergenze probatorie; e il risultato scaturitone non può essere sindacato in sede di legittimità, ogni contestazione in argomento appartenendo alla sfera del merito.
Del pari non può essere oggetto di contestazione il coinvolgimento della G. e del L. nell’amministrazione della società, donde è derivata l’estensione a costoro della dichiarazione di fallimento. L’assunto secondo il quale la sentenza di fallimento non farebbe stato nel procedimento penale per bancarotta è privo di fondamento, alla stregua della pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte Suprema n. 19601 in data 28 febbraio 2008 (ric. Niccoli): in essa l’organo supremo di nomofilachia ha enunciato il principio secondo cui il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta R.D. 16 marzo 1942, n. 267, ex artt. 216 e segg. non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore. D’altra parte l’ingerenza della G. e del L. nella gestione della società poi fallita è stata accertata anche in sede penale, in base alla motivata valutazione degli elementi probatori raccolti: onde anche sotto tale profilo la sentenza impugnata si sottrae al controllo di legittimità.
Muovendo, dunque, dalla condivisione dell’accertamento di fatto scaturito dal primo giudizio, la Corte d’Appello, pur rilevando la carenza di prova – per ragioni che non interessa qui rievocare – in ordine alla distrazione di beni e denaro appartenuti alla società, ha ritenuto che la confusione contabile fosse voluta dagli imputati e finalizzata alla "prospettiva di non perdere tutto". In tale constatazione nulla vi è di contraddittorio: sia perchè l’Insuccesso del tentativo di sottrarre al fallimento i beni propri dell’attività agricola ed ippica (quali i cavalli e le macchine agricole) non contraddice il convincimento che a quel risultato fosse preordinata l’opacità contabile obiettivamente accertata; sia perchè ad integrare l’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, nella seconda ipotesi contemplata dalla L. Fall., art. 216 , comma 1, n. 2) non si richiede la volontà di recare pregiudizio ai creditori, ma è sufficiente la consapevolezza che l’irregolare tenuta delle scritture renderà impossibile – o estremamente difficile – la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (Cass. 25 marzo 2010 n. 21872).
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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