Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 27.3.2007, accogliendo l’appello dell’INPS, rigettava la domanda proposta da S.S., diretta ad ottenere il riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità, ritenendo che, alla stregua della c.t.u. medico legale espletata, le infermità riscontrate non riducessero la capacità lavorativa dell’assicurato a meno di un terzo in occupazioni confacenti alle proprie attitudini.
Propone ricorso per cassazione il S., affidando l’impugnazione a quattro motivi.
Con il primo di essi denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e art. 431 c.p.c., comma 1, nonchè l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso, decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, rilevando che l’appello dell’INPS era da ritenere inammissibile, perchè formulato sulla base di considerazioni svolte da proprio consulente tecnico di parte e che ciò comportava la mancanza di specificità di motivi, in tal senso formulando anche il relativo quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..
Con il secondo morivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. e della L. n. 222 del 1984, nonchè l’omessa o, quantomeno, insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, evidenziando che la sentenza era basata su un acritico recepimento della c.t.u. e basata sul presupposto che l’assicurato nel frattempo aveva cambiato le mansioni da pontista in magazziniere, circostanza mai rilevata dall’appellante e mai oggetto di contraddittorio. Rileva la mancata valutazione della componente cardiologica del quadro morboso, o, in ogni caso la valutazione della stessa in modo inadeguato e formula corrispondente quesito di diritto.
Con il terzo motivo, il S. denunzia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, affermando che la decisione del giudice di secondo grado incorre in erronea determinazione delle conseguenze giuridiche riferibili al caso concerto e che tale errore in iudicando è causale, ossia produce l’ingiustizia, aggiungendo che la decisione è erronea nel dispositivo.
Denuncia, a tal fine, la mancata valutazione dello sfruttamento anomalo delle residue energie dell’assicurato, con pericolo per la sua salute ed effetti limitativi della sua capacità di guadagno, formulando, all’esito della parte argomentativa, quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..
Infine, con il quarto motivo, deduce la contraddittorietà ed illogicità della motivazione, nella parte in cui la Corte di appello ha fatto proprie le conclusioni medico-legali del C.t.u. ( art. 360 c.p.c., n. 5), osservando che il quadro clinico non poteva, con riferimento concreto alle mansioni, che deporre per una situazione di invalidità dell’assicurato, tale da non consentirgli lo svolgimento senza usura della attività lavorativa.
L’INPS è rimasto intimato. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.
Il primo motivo di ricorso – con il quale si deduce l’inammissibilità del gravame per difetto di specificità di relativi motivi – è infondato, in quanto dallo stesso si evince che l’INPS aveva esplicitato le ragioni di fatto a sostegno del gravame, sostenendo che la patologica cardiaca (o dell’apparato cardiocircolatorio) era di scarso interesse clinico, come affermato dal proprio consulente di parte e che non era dimostrata la dedotta cardiopatia ischemica. Al riguardo vale richiamare la giurisprudenza di questa Corte alla cui stregua, ai fini della specificità dei motivi richiesta dall’art. 342 cod. proc. civ., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell’appello, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (cfr. Cass. 25 novembre 2008 n. 28057 ed, in senso conforme, Cass. 19 ottobre 2009 n. 22123).
Anche il secondo motivo deve ritenersi infondato, oltre che inammissibile, nella parte in cui non risulta trascritto, in rapporto alla censura avanzata, il brano della CTU ove sarebbe riportato l’accennato cambio di mansioni del ricorrente, oltre a non essere specificato se il rilievo riguardi il primo ovvero il secondo degli elaborati tecnici depositati nel giudizio d’appello. Per il resto, come rilevato, il motivo è infondato, non essendo necessaria una specifica motivazione per giustificare l’adesione del giudice al parere del consulente e non essendo state esposte critiche idonee a confutare le sue indagini svolte in appello, peraltro sovrapponibili quanto alle rispettive conclusioni. E invero, in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell’assicurato, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre, al di fuori di tale ambito, la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale traducendosi, quindi, in un’inammissibile critica del convincimento del giudice (cfr. in tali termini, Cass. 29 aprile 2009 n. 9988, conf. Cass. 8 novembre 2010 n. 22707).
Deve, peraltro, aggiungersi, come affermato già da questa Corte, che non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca "per relationem" le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice "a quo", la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (cfr., in tale senso, Cass. 4 maggio 2009 n. 10222).
Con il terzo motivo, si denunzia una violazione di legge per l’erronea valutazione delle conseguenze dell’invalidità, e si addebita alla Corte del merito di non avere considerato l’incidenza dello sfruttamento anomalo delle residue energie dell’assicurato, oltre ad introdurre il concetto di danno da previsione, ma in realtà la censura mira a sollecitare una diversa valutazione delle condizioni fisiche dell’assicurato, senza che neppure si spieghi perchè la prosecuzione dell’attività lavorativa in occupazioni confacenti alle condizioni accertate (specie con riferimento alle mansioni di magazziniere) comporti usura delle residue energie lavorative.
In proposito va richiamato quanto già osservato da questa Corte in merito alla rilevanza del carattere usurante dell’impegno in attività confacenti alle attitudini dell’interessato anche ai fini del giudizio sulla riduzione della capacità di lavoro richiesta per l’attribuzione dell’assegno ordinario di invalidità previsto dalla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1 con la precisazione che l’indagine circa l’usura – che assume rilievo solo quando la riduzione della capacità lavorativa sia prossima alla soglia legale d’invalidità – deve essere condotta tenendo conto che lavoro usurante è quello che accelera ed accentua il logoramento dell’organismo (che si verifica in un tempo più breve ed in misura superiore rispetto alla norma), in quanto il lavoro è sproporzionato rispetto alla residua efficienza fisiopsichica di cui il soggetto (afflitto da un complesso morboso invalidante in misura prossima a quella legale) ancora dispone, non identificandosi l’usura in questione con quella "normale", dipendente cioè non dalla protrazione dell’attività lavorativa, bensì dalla naturale evoluzione in senso peggiorativo delle infermità (cfr. Cass. 11 novembre 2002 n. 15817).
Infine, anche il quarto motivo si incentra sulla generica deduzione di contraddittorietà ed illogicità della motivazione, laddove è principio pacifico quello secondo il quale la parte che, in sede di legittimità, si duole della acritica adesione del giudice di appello alla espletata consulenza tecnica, non può limitarsi a lamentare genericamente l’inadeguatezza della motivazione, ma, in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e del carattere limitato del relativo mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare quali siano le circostanze e gli elementi rispetto a cui essa invoca il controllo di logicità, per consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (cfr., in termini, Cass. 4 febbraio 1997 n. 1028; Cass. 9 giugno 2000 n. 7849 e Cass. 13 giugno 2007 n. 13845, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa – o nella sentenza che l’ha recepita – ha l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamento ed alle conclusioni del consulente d’ufficio e di consentire al giudice di valutarne la decisività).
Con riferimento alla dedotta incompatibilità del quadro clinico con le mansioni svolte ed alla deduzione della erronea valutazione compiuta al riguardo, deve osservarsi che il requisito della riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, previsto dalla L. n. 222 del 1984, art. 1 ai fini del conseguimento del diritto all’assegno ordinario di invalidità, se non consente la valutazione dei fattori socio – economici – come accadeva, invece, in precedenza in tema di pensione di invalidità (disciplinata dal R.D.L. n. 636 del 1939, art. 10 come modificato dalla L. n. 160 del 1975, art. 24) per la quale era consentito il riferimento alla capacità di guadagno, con conseguente rilevanza non solo dei criteri medico – legali e delle caratteristiche soggettive dell’assicurato (età, sesso, attitudini), ma anche dei fattori economico – sociali ed ambientali in grado di incidere, sia positivamente sia negativamente, sulla possibilità di proficua utilizzazione delle residue energie lavorative dell’invalido – impone, tuttavia, di continuare a tenere conto dell’età e della formazione professionale del soggetto (come si evince dal richiamo della norma alle attitudini) valutando la possibilità di una continuazione dell’impegno lavorativo e l’eventuale carattere usurante di questo, anche con riferimento ad attività diverse (ma tuttavia confacentì alle attitudini) da quella espletata (cfr. Cass. 13 maggio 2000 n. 6185 e, in senso conforme, Cass. 2 luglio 2001 n. 8917 e Cass. 3 giugno 2002 n. 8029). Alla stregua di tali criteri è stata compiuta la valutazione dal giudice del merito, onde la pronunzia si sottrae alle censure mosse anche con tale ultimo motivo di impugnazione.
In conclusione il ricorso è rigettato.
Non vi è luogo a condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 269 del 2003 (conv. in L. n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Nulla per spese.
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