Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con avviso di rettifica, conseguente a p.v.c. della Guardia di Finanza con il quale si rilevava, relativamente all’anno 1995 e sul presupposto di un indebito calcolo del calo di peso del parmigiano trattato e commerciato dalla Panizzi Clicerio s.r.l. la esistenza di ulteriori ricavi non contabilizzati per un importo di L. 779.448.096, l’Agenzia delle Entrate di Cremona recuperava l’IVA sull’imponibile ritenuto sottratto a tassazione, applicando le connesse sanzioni.
Avverso tale atto la società proponeva ricorso, contestando le risultanze dell’avviso di rettifica per aver presunto i maggiori ricavi in conseguenza del computo di una percentuale di calo peso inferiore a quella prevista dal D.M. 13 maggio 1971, ed effettuando i calcoli sui soli prodotti acquistati nel 1995, senza tener conto del calo di peso relativo alla merce giacente alla data del giorno 1.1.1995.
La C.T.P. di Cremona accoglieva il ricorso, ma l’Ufficio appellava la decisione, che veniva quindi riformata dalla C.T.R. dell’Emilia Romagna con sentenza n. 152/67/05, depositata in data 11.7.2005 e non notificata, con la quale veniva rigettato il ricorso introduttivo della contribuente.
Per la cassazione della sentenza di appello proponeva quindi ricorso nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero delle Finanze la Panizzi Clicerio s.r.l. articolando tre motivi, successivamente sostenuti anche con i deposito di memoria aggiunta, all’accoglimento dei quali si opponevano gli intimati con controricorso.
Motivi della decisione
1 . – Deve preliminarmente rilevarsi l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, e conseguentemente del controricorso dello stesso, in quanto soggetto rimasto estraneo al procedimento di appello (ex plurimis, v. Cass. 23.4.2010, n. 9794).
Va invece rigettata l’eccezione di inammissibilità per tardività del controricorso dell’Agenzia, formulata dalla ricorrente con la memoria ex art. 378 c.p.c.. Ed invero, pur avendo confermato l’esame degli atti che la relativa notifica avvenne in data 16.11.2006, mentre il relativo termine scadeva il precedente giorno 15.11, la tempestività della notifica consegue alla causa di forza maggiore documentata dalla controricorrente con l’allegazione al controricorso di certificazione rilasciata dal Dirigente dell’Ufficio Unico della Corte di Appello di Roma attestante il fatto che il giorno 15 novembre 2006 l’Ufficio Unico rimase chiuso per l’intera giornata a causa di assemblee sindacali legalmente indette dalle OO.SS..
2. Passando quindi all’esame nel merito del ricorso, osserva la Corte che dalla sentenza impugnata emerge che i maggiori ricavi contestati sono stati desunti contabilizzando come vendite le quantità di mercè risultanti per differenza tra le rimanenze indicate nelle scritture sociali alla data del giorno 1.1.1995 (Kg. 458.957,94), e quelle contabilizzate al 31.12.1994 (Kg. 468.342,86), essendo priva di qualsiasi giustificazione la riduzione operata, ed inoltre considerando altresì venduto il parmigiano che le giacenze di magazzino davano non più presente alla fine dell’esercizio 1995, senza che la constatata assenza potesse ritenersi giustificata dal calo di peso così come calcolato dalla contribuente. A questo proposito il giudice di merito ha espressamente ritenuto la validità dell’operato dell’Ufficio che, partendo da una percentuale complessiva media di perdita di peso del 6%, attestata da una relazione dell’Ufficio analisi chimiche del Consorzio Parmigiano Reggiano, l’ha poi applicata sui prodotti acquistati nel corso del 1995 in misura percentuale in ragione del diverso mese di acquisto, e conseguentemente della diversa durata della giacenza della mercè in magazzino.
Con il primo motivo di ricorso articolato la ricorrente società denuncia la violazione de D.M. 13 maggio 1971 e del D.M. 21 novembre 1974, lamentando in particolare che: le norme richiamate prevedrebbero una maggiore percentuale di decremento peso delle merci in giacenza, rispetto a quella calcolata dai verificatori; i cali naturali andrebbero commisurati per anno di giacenza; e che la G.d.F. avrebbe omesso di calcolare la percentuale di calo peso per quel quantitativo di formaggio che era in giacenza alla data dell’1.1.1995.
La censura è infondata e per alcuni profili addirittura inammissibile.
Ed invero:
a) i decreti ministeriali in questione prevedono per il parmigiano un calo naturale del 3% annuo e un calo c.d. tecnico dello 0,50% per ciascuna operazione "semplice" di trattamento. Ne consegue che la statuizione del giudice di merito che ha accertato la legittimità dell’avviso di rettifica emesso sulla base del calcolo di un calo peso nella misura del 6% (applicata dall’Ufficio su parere del Consorzio Parmigiano Reggiano), non può ritenersi in via immediata e diretta lesiva della previsione contenuta nei citati D.M. essendo ampiamente superiore alla percentuale dell’inevitabile calo naturale, e venendo conseguentemente a dipendere la sua eventuale inadeguatezza solo dal numero delle operazioni di trattamento rese necessarie, in concreto, dalle esigenze di conservazione del prodotto, aspetto questo attinente al merito della valutazione, non censurato sotto il profilo della motivazione, e pertanto non rilevante in sede di giudizio di legittimità. Con la qual cosa vuoi dirsi che la percentuale di calo complessivo applicabile al parmigiano non è determinata dai D.M. citati in misura fissa, come prospettato dalla ricorrente, bensì in misura variabile, perchè costituita da una percentuale fissa del 3% annuo, relativa al calo naturale, e da una percentuale variabile, relativa al calo tecnico, dipendente dal numero di operazioni imposte dalle tecniche di conservazione e stagionamento del prodotto. L’applicazione di una percentuale complessiva di calo, che sia, come appunto nel caso di specie, superiore all’inevitabile calo naturale, vale ad escludere la violazione del D.M. in assenza di specifica contestazione e prova di un calo tecnico maggiore di quello coperto dalla percentuale applicata dall’Ufficio;
b) contrariamente all’assunto della contribuente è la stessa Tabella A del D.M. invocato a prevedere che: "I cali naturali sono commisurati per anno di giacenza; per i periodi minori di un anno si liquidano in proporzione di mese in mese compiuto, considerando per mese compiuto anche le frazioni di mese". Assolutamente corretta è da ritenersi pertanto la procedura seguita dai verificatori di attribuire a ciascuna quantità di parmigiano acquistato nel 1995 un calo di peso corrispondente alla misura percentuale maturata in ragione dell’effettiva giacenza in magazzino alla data del 31.12.1995, computata a decorrere dalla data di acquisto;
c) l’esclusione di qualsiasi percentuale di calo di peso per quel quantitativo di parmigiano in giacenza nei magazzini già alla data dell’1.1.1995, è doglianza relativa alle circostanze di fatto della vicenda, come tale inammissibile in sede di legittimità, e risulta inoltre dedotta in maniera assolutamente generica, senza riportare, come sarebbe stato necessario per garantire l’osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, i contenuti dell’atto impugnato dal quale la dedotta circostanza dovrebbe evincersi, restando in tal modo impedito alla Corte la preliminare valutazione di rilevanza della questione. La qual cosa tanto più è a dirsi in considerazione del fatto che dall’impugnata sentenza sembra evincersi che l’effettuazione dei calcoli da parte dei verificatori con riferimento alla sola merce acquistata nel 1995 sia avvenuta solo nella fase preliminare della verifica, per controllare, avuto riguardo alle irregolarità già emerse nella tenuta del libro degli inventari e del libro di magazzino, la correttezza del computo del calo peso da parte della contribuente, senza che ciò stia a significare affatto che nel calcolo finale dei maggiori ricavi accertati non si sia tenuto conto del calo peso relativamente alla merce in giacenza nei magazzini alla data dell’1.1.1995; o ancora, all’opposto, se la rettifica dei ricavi sia stata fatta con esclusivo riferimento alla sola merce acquistata nel 1995, a tutto vantaggio della contribuente.
A tal proposito sembra appena il caso di rilevare come altra e diversa problematica sia quella relativa al recupero a tassazione dei ricavi conseguenti alla presunta vendita di quella quantità di parmigiano mancante come rimanenze iniziali alla suddetta data, rispetto alle rimanenze contabilizzate alla data del 31.12.1994. Al riguardo nessuna precisazione risulta mai fornita dalla società, e la relativa questione rimane estranea alla doglianza in esame.
3. Con il secondo motivo denuncia la società ricorrente, ex art. 360 c.p.c., n. 4, il vizio di omessa pronunzia sull’eccezione relativa alla pretesa mancata applicazione del D.M. 13 maggio 1971.
Anche questa doglianza è destituita di fondamento. La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ricorre soltanto quando il giudice abbia omesso di pronunziarsi su una domanda idonea a formare oggetto di un autonomo capo di sentenza, e non quando, come accaduto nel caso di specie, abbia al più omesso di esprimersi espressamente in ordine ad una mera difesa esposta dalla parte per desumerne l’illegittimità dell’accertamento integrante la causa petendi della domanda di annullamento dell’atto impositivo suddetto. D’altronde in tal senso costante e assolutamente condivisibile è la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 cod. proc. civ., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’"iter" argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (ex plurimis v. Cass. 12.1.2006, n. 407).
4. Con il terzo ed ultimo motivo la società denuncia infine, ex art. 360 c.p.c., n. 5, il vizio di omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia, con riferimento alla questione relativa al mancato calcolo del calo di peso relativo al prodotto in giacenza alla data dell’1.1.1995.
La censura è inammissibile per le ragioni già esposte al punto e) del n. 2 che precede, e cioè perchè non si fa carico minimamente di chiarire da dove la dedotta circostanza, così come riferita al calcolo finale dei maggiori ricavi accertati, dovrebbe risultare, fermo restando che la sentenza, contrariamente all’assunto della ricorrente, riferisce l’espressione censurata ("il calcolo di peso dovuto a stagionatura era stato effettuato dalla Guardia di Finanza sugli acquisti dell’anno 1995"), alla procedura di verifica seguita dai militari, significativamente aggiungendo "non per escludere il calo peso che subivano le merci acquistate nel 1994", e così lasciando intendere, come già innanzi esposto, che una volta verificata con riferimento agli acquisti del 1995, l’inattendibilità dei sistemi di computo del calo peso applicati dalla contribuente, la stima dei ricavi sottratti a tassazione non avrebbe affatto escluso il suddetto fenomeno relativamente alla merce proveniente dall’esercizio 1994. 5. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso nei confronti dell’Agenzia deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, per il principio della soccombenza, al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e lo rigetta nei confronti dell’Agenzia. Condanna la società ricorrente al rimborso in favore degli intimati delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.
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