Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Ricorre per cassazione, per tramite del difensore, S.A. avverso la sentenza emessa in data 19 maggio 2010 dalla Corte d’appello di Bologna, a conferma della sentenza pronunziata il 25 luglio 2007 dal Tribunale di Ferrara in composizione monocratica che, concesse le attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, lo aveva condannato alla pena di mesi CINQUE di reclusione – doppi benefici di legge – quale responsabile dei delitti di cui all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, per avere omesso di fermarsi e di prestare assistenza,percorrendo, alla guida dell’Alfa Romeo spyder tg. (OMISSIS), il (OMISSIS), una strada del centro urbano di (OMISSIS), ad una ciclista dopo averne cagionato l’investimento di striscio. La giovane donna che proveniva contornano veniva attinta, con la parte laterale sinistra dell’automobile (ed in particolare con lo specchietto retrovisore esterno sinistro), alla coscia ed all’addome così provocandone prima l’urto contro il muro e poi la caduta a terra (donde le lesioni subite dalla parte offesa, giudicate guaribili in giorni cinque). All’imputato era stata altresì applicata la sospensione della patente di guida per un anno e mesi sei.
Con il primo motivo di ricorso, denunzia la difesa l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 533 cod. proc. pen., comma 1, in relazione all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, non potendo dirsi dimostrataci di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell’imputato. Questi ritenne ragionevolmente, al momento del fatto, di aver divelto lo specchietto retrovisore sinistro esterno della propria automobile, urtando contro un palo di segnalazione della fermata dell’autobus o comunque contro un ostacolo fisso, non essendo stato in grado di vedere, attraverso lo specchietto retrovisore interno, che la ciclista – che peraltro proveniva contromano, in spregio alle norme sulla circolazione stradale – era rovinata a terra, dopo esser caduta dalla bicicletta.
Ed in verità le indagini avevano confermato l’esistenza di detto palo a 100 mt. di distanza dal punto dell’avvenuta collisione. Non vi era pertanto motivo di ritenere che lo S. avesse consapevolmente investito la ciclista, dopo averla avvistata e che conseguentemente avesse agito con il dolo richiesto dalla norma incriminatrice.
Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per mancanza od illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, l’imputato,ad avviso del difensore, non aveva alcuna intenzione di sottrarsi all’obbligo di fermarsi e di prestare soccorso. Lo S. non aveva avuto consapevolezza di aver cagionato un incidente stradale ed a fortori di aver cagionato lesioni a terzi. Non poteva quindi ritenersi integrato il dolo richiesto ai fini della sussistenza del reato, neppure nella forma del dolo eventuale. La Corte d’appello quindi, con motivazione manifestamente illogica, ha omesso di considerare che la ciclista proveniva in senso contrario e che pertanto il mancato avvistamento della stessa discendeva dal fatto che non era ragionevole che un velocipede si trovasse in quel punto. Ed illogicamente hanno ritenuto i Giudici d’appello che la fuga dello S. dopo l’urto (pur essendo stato divelto uno specchietto esterno della vettura caduto poi a terra) era unicamente spiegabile con l’intento di eludere le proprie responsabilità mentre invece era pacifico che l’arresto repentino del veicolo, oltre ad essere materialmente impossibile, avrebbe potuto cagionare un sinistro, a causa dei veicoli in doppia fila e soprattutto di quelli che seguivano l’automobile dell’imputato.
Sicchè lo S. decise di raggiungere la propria abitazione, poco distante, per parcheggiare l’automobile, per poi ritornare sul luogo del fatto, pochi minuti dopo, ove però non aveva trovato nè la parte offesa (condotta all’interno di una tabaccheria) nè la Polizia municipale ancora non giunta sul posto.
Con il terzo motivo, si duole il ricorrente del vizio di omessa motivazione in ordine alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa che aveva fornito una descrizione alquanto contraddittoria dell’accaduto; dichiarazioni neppure suffragate da quelle rese dalla teste d’accusa B.V. (che aveva assistito all’incidente mentre si trovava in colonna).
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile, come sostenuto dal Procuratore Generale,vuoi perchè manifestamente infondato vuoi perchè proposto per motivi non deducibili in sede di legittimità.
In punto all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, non possono non esser condivise le conclusioni cui è pervenuta la Corte distrettuale all’esito di un’obiettiva lettura delle risultanze di fatto, cosiccome acclarate ed a queste saldamente ancorata. In buona sostanza è lo stesso ricorrente che ammette che la ricostruzione dei fatti "alternativa" alle prospettazioni dall’accusa deve ritenersi "ragionevole", sostenendo la verosimiglianza del convincimento dell’imputato di aver divelto lo specchietto retrovisore esterno sinistro della propria autovettura, urtando contro un palo di sostegno del cartello di fermata degli autobus o comunque contro un ostacolo fisso, facendo affidamento sull’impossibilità che la giovane donna in sella alla bicicletta provenisse in senso contrario ovvero da direzione vietata. Va invece rimarcato che i Giudici di secondo grado, con assunti immuni da illogicità ed anzi sorretti da incontestabili massime della comune esperienza, hanno escluso che lo S. abbia potuto non rendersi conto dell’urto con il velocipede proveniente in senso contrario, avuto riguardo al fatto che la collisione aveva provocato il distacco dello specchietto esterno sinistro installato sulla portiera del lato sinistro del coupè, nella cui strettissima prossimità l’imputato sedeva, quale conducente dell’automobile. Nè avrebbe potuto l’attenzione dell’Imputato restare plausibilmente "indifferente" – come pure risulta opportunamente sottolineato dalla motivazione della sentenza – al fatto che sia la bicicletta che il corpo della ciclista, prima di urtare lo specchietto, avevano "sfregato" contro il parafango anteriore sinistro dell’automobile, proprio dallo stesso lato del posto di guida, per poi rovinare a terra, unitamente allo specchietto stesso,necessariamente provocando un inconfondibile rumore. Del tutto pacifica inoltre era risultata l’inesistenza di pali di sostegno di cartelli di fermata degli autobus "all’altezza del numero civico ove è avvenuta la collisione" (cfr. sentenza fgl.
5): dato di fatto sul quale fanno perno le prospettazioni alternative del ricorrente e dallo stesso confermato, laddove si precisa in ricorso che tale palo si trovava "a circa 100 metri di distanza rispetto al luogo in cui è avvenuto l’urto ". In perfetta congruenza logica con la descritta ricostruzione dei fatti, la Corte distrettuale, ad onta delle infondate obiezioni del difensore, ha ribadito la sussistenza degli addebiti ascritti all’imputato anche in relazione all’elemento soggettivo. Sia la violazione all’obbligo di fermarsi in presenza di un incidente sia l’omessa prestazione di soccorso a soggetti coinvolti nell’incidente cagionato dall’utente della strada integrano comportamenti che possono esser sorretti anche dal dolo eventuale che, nella specifiche fattispecie, può configurarsi, non solo quanto alla componente volitiva, ma anche in relazione all’elemento intellettivo/conoscitivo del dolo "quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l’esistenza" (cfr. Sez. 4^ n. 34134 del 2007; Sez 4^ n. 8103 del 2003). Poichè il dolo deve investire, secondo le fattispecie incriminatrici contestate ex art. 186 C.d.S., commi 6 e 7, non solo l’incidente (evento) ma anche il danno alle persone e, quindi, la necessità di prestare soccorso, che non funge da condizione obiettiva di punibilità (come ritenuto dalla citata pronunzia di questa Corte), non vi è chi non veda che la collisione tra l’automobile guidata dall’imputato e la bicicletta, quale causa del distacco dello specchietto retrovisore esterno installato sulla portiera del posto di guida e la pressochè immediata caduta a terra sia della bicicletta che della ciclista avrebbero dovuto indurre nel conducente dell’automobile, l’incontestabile convincimento di aver provocato sia l’incidente sia molto verosimilmente, lesioni alla malcapitata ciclista; donde l’accettazione di una condotta integrante i reati contestati, conseguendo dall’omesso arresto della marcia dell’automobile, il consapevole rifiuto dell’agente di verificare l’accaduto.
Del tutto generico va infine giudicato il terzo motivo di ricorso avendo correttamente la Corte l’appello di Bologna richiamato per relationem la motivazione della sentenza di condanna di primo grado che aveva ritenuto sufficientemente dimostrata la sussistenza della responsabilità del prevenuto sulla base delle diverse fonti di prova esaminate, ribadendo peraltro che "la versione della parte offesa …. era attendibile e riscontrata dagli accertamenti eseguiti sul luogo e sui veicoli, della polizia municipale".
Alle declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. N. 186 del 7-13 giungo 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2011.
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