CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 1 dicembre 2009, n.25276 INDEBITO OGGETTIVO: LA RILEVANZA DEL NUMERO DEI SOGGETTI COINVOLTI NELLA “CONDICTIO INDEBITI”

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Deve innanzi tutto disporsi la riunione dei tre ricorsi proposti contro la medesima decisione.

Con il primo motivo il ricorrente principale G. (25862 del 2005) denuncia violazione dell’art. 2033 c.c. e 156, secondo comma, c.p.c. con conseguente nullità della sentenza.

I giudici di appello avevano condannato il G. a restituire la somma di Euro 51.645,69 oltre interessi dall’incasso degli assegni al saldo, in contrasto con la disposizione dettata dall’art. 2033 c.c. secondo la quale il debito dell’accipiens che non sia in mala fede produce interessi solo a seguito della proposizione di apposita domanda giudiziale.

Con il secondo motivo il ricorrente principale G. denuncia violazione degli articoli 2697, 2033, 2222 e 1703 c.c. illogicità e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia.

Il primo giudice aveva ritenuto che gli accordi intervenuti tra E., la B. e S. – da un lato – e la Sp. – dall’altro – non fossero opponibili al terzo G., in mancanza di allegazioni relative alla sua partecipazione alla operazione (anche eventualmente in forma di collusione).

In tal modo, tuttavia, avevano sottolineato i giudici di appello, il Tribunale aveva mostrato di non tener in conto le tesi in fatto e diritto esposte dalla parte attrice, che erano del tutto fondate e dovevano condurre all’accoglimento della domanda.

Sul punto il ricorrente principale rileva che egli aveva ricevuto assegni circolari direttamente dalla Sp., a parziale pagamento di un suo credito, essendo rimasto del tutto estraneo agli accordi intervenuti tra questa ultima e l’emittente degli assegni. La circostanza che la Sp. fosse stata condannata per il reato di truffa non rilevava ai fini della applicazione dell’art. 2033 c.c.

La sentenza impugnata doveva pertanto essere cassata sul punto.

Con il terzo motivo il ricorrente principale G. denuncia violazione dell’art. 82 della legge 1733 del 1933. L’emissione di un assegno circolare esclude la esistenza di un qualsivoglia rapporto tra colui che ha creato la provvista per l’emissione del titolo ed il portatore di quest’ultimo.

Chi ha creato la provvista ha solo azione nei confronti della banca emittente ove questa abbia contravvenuto alle disposizioni date ed il portatore ha come unico contraddittore l’Istituto di credito emittente.

Le censure formulate da F. spa sono in tutto e per tutto analoghe a quelle formulate dal ricorrente principale, articolandosi nei medesimi motivi.

P. ha invece proposto cinque motivi di ricorso.

Con il primo motivo il P. denuncia violazione dell’art. 360 n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2033 c.c., violazione dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. nullità della sentenza per essere la Corte d’appello incorsa nel c.d. “error in procedendo”.

La fattispecie dell’indebito oggettivo sussiste solo nel caso in cui chi nulla deve paga a chi non ha alcun credito, ossia quando il solvens paga una somma non dovuta, a nessun titolo, dall’accipiens né da altri.

L’unico rapporto obbligatorio esistente, e del quale il P. era a conoscenza, era quello in essere tra se stesso e la Sp., alla quale, nel luglio 2003, aveva consegnato una somma pari a lire 102.167.000, parzialmente resa con la consegna degli assegni circolari.

E., pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non aveva alcun titolo per pretendere la restituzione della somma che P. aveva legittimamente e in buona fede incassato da un soggetto terzo obbligato nei suoi confronti da un autonomo rapporto obbligatorio.

Sarebbe stato, in ogni caso, preciso onere di E. verificare la veridicità degli assunti della Sp. circa la esistenza degli immobili e della procedura fallimentare, e – conseguentemente – usando la ordinaria diligenza, la titolarità di un qualsiasi diritto in capo al beneficiario degli assegni.

Del tutto irrilevante doveva dirsi la mancanza di un qualsiasi rapporto tra E. e P..

Infatti, quest’ultimo si era limitato a ricevere gli assegni, imputando tale consegna al pagamento del credito, che lui vantava nei confronti della stessa persona (la Sp.) che gli aveva consegnato i titoli.

Il P. era del tutto estraneo agli accordi intervenuti tra E. e Sp., Qualsiasi pretesa di E., pertanto, avrebbe dovuto essere proposta direttamente nei confronti della “sedicente intermediatrice”, mai citata in giudizio dalla società né dagli altri appellanti.

Con il secondo motivo il P. denuncia violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione di norme di diritto in relazione all’art. 2033 c.c., violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., carenza di motivazione e vizio di iter logico.

La sentenza impugnata era errata nella parte in cui aveva condannato P. alla restituzione della somma di lire 72.000.000, con pagamento degli interessi dalla data di incasso degli assegni al saldo.

La sentenza sul punto mancava di ogni motivazione nulla avendo statuito in ordine alla mala fede del ricorrente.

Con il terzo motivo il P. denuncia violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettata dalla parte P. nonché violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.p.c.

Nell’affermare la applicazione dell’art. 2033 c.c. i giudici di appello erano partiti da alcuni errati presupposti di fatto.

La Corte territoriale, innanzi tutto, aveva sostenuto che i vari appellati (tra i quali vi era appunto anche il P.) non avevano contestato i fatti che avevano preceduto la materiale consegna degli assegni agli stessi da parte della Sp..

In realtà, del tutto sfornita di prova era la circostanza che la provvista degli assegni provenisse da E., così come priva di qualsiasi supporto probatorio era la ricostruzione dei rapporti tra E. e la Sp., in relazione ai quali erano state offerte solo ipotesi e nessuna prova scritta.

I giudici di appello avevano del tutto ignorato la prova documentale che del proprio credito era stata offerta dal P. (mediante esibizione della copia di cinque assegni bancari che egli nel luglio 1993 aveva consegnato alla Sp.).

Del tutto aberrante era, dunque, la osservazione formulata dalla Corte territoriale, secondo la quale la decisione non sarebbe mutata neppure nel caso in cui “la Sp., nel consegnare gli assegni, abbia (avesse) dichiarato di estinguere uno o più debiti propri”.

L’unica azione esperibile dalla parte che abbia chiesto la emissione degli assegni è una azione nei confronti del soggetto che abbia ricevuto in consegna i titoli, al quale dovrebbe essere richiesta la restituzione degli importi corrispondenti al valore degli assegni, senza alcun pregiudizio per l’intestatario che lo abbia posto all’incasso in buona fede.

Con il quarto motivo il P. ha dedotto la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1 della legge n. 197 del 1991.

La condotta del P. era legittimata dalla prassi commerciale e dagli usi consolidatisi da quando si è diffuso l’assegno circolare, reso addirittura obbligatorio con la legge 197 del 1991, che prescrive l’assegno non trasferibile per trasferimenti di denaro per un valore superiore ad Euro 12.500,00.

La sentenza di appello doveva considerarsi viziata avendo statuito la inefficacia della estinzione di un titolo che la succitata legge impone invece tra quelli obbligatori per le transazioni commerciali superiori al limite indicato.

Sotto altro profilo, sottolinea il ricorrente incidentale, non poteva certo sostenersi che sarebbe stato onere dello stesso P. verificare chi avesse chiesto alla banca di emettere quegli assegni, in quanto nessuna norma lo prescrive.

Il quinto motivo del ricorso incidentale P. contiene la denuncia di omessa pronuncia in ordine alla richiesta, proposta in via subordinata, di autorizzazione alla chiamata in causa della Sp. (proposta in primo grado e reiterata in appello) in ordine alla quale i giudici di appello non avevano pronunciato.

Il B. nel ricorso incidentale 28495 del 2005 ha svolto tre motivi di censura, denunciando violazione di norme di legge (2033 c.c., 112 e 156 comma 2 c.p.c., 2697, 2033 e 1703 c.c., vizi della motivazione, 2033 c.c. e 82 RD 21 dicembre 1933 n. 1736 nonché vizi della motivazione.

Osserva il Collegio:

I motivi dei vari ricorsi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi tra di loro.

Le censure formulate con il secondo motivo dei ricorsi G. e F. e primo, terzo e quinto del ricorso P. e nel secondo e terzo motivo di ricorso del Be. sono fondate.

Nell’azione di ripetizione d’indebito oggettivo la legittimazione attiva e passiva spettano al solvens ed all’accipiens.

L’art. 2033 presuppone che il debito non deve oggettivamente esistere, con riferimento esclusivo a due soggetti, rispettivamente colui che paga e colui che riceve il pagamento indebito.

Nel caso di specie, invece, sono – di volta in volta – tre i soggetti coinvolti nella vicenda.

E i prenditori dei vari assegni hanno dedotto di avere ricevuto gli stessi in pagamento di crediti vantati nei confronti della Sp..

Questo elemento è stato del tutto trascurato dai giudici di appello, i quali non hanno tenuto conto del fatto che i vari prenditori avevano ricevuto assegni circolari direttamente dalla Sp., per cui sarebbe stato necessario dimostrare la loro collusione nella truffa perpetrata ai danni dai vari attori per giungere ad una condanna diretta degli originari convenuti.

La sentenza impugnata è pertanto incorsa nella violazione dell’art. 2033 c.c. e nei vizi di motivazione denunciati, avendo affermato semplicemente che poiché il trasferimento di ricchezza non trovava alcuna giustificazione nel rapporto tra attori-solventi e convenuti-accipienti la domanda di ripetizione ex art. 2033 c.c. doveva essere accolta.

Tale motivazione tuttavia non tiene conto del fatto che lo schema tipico previsto dall’art. 2033 c.c. prevede esclusivamente due soggetti e che nel caso di specie erano tre, di volta in volta, i soggetti coinvolti nella vicenda e che i convenuti-prenditori si erano limitati a ricevere assegni circolari – a loro intestati – direttamente dalla Sp., loro debitrice, senza sapere che la provvista presso la banca traente degli assegni era stata costituita dai vari attori.

In un quadro del genere, sarebbe stato preciso onere degli attori fornire la prova della esistenza di una collusione tra la Sp. ed i vari intestatari degli assegni (i quali, dal canto loro, hanno dichiarato di avere ricevuto gli assegni a parziale pagamento di un loro credito nei confronti della Sp.).

I giudici di appello non hanno esaminato questi aspetti della vicenda, essendosi limitati ad osservare che i diversi affari intercorsi tra la Sp. ed i convenuti (peraltro, neppure dimostrati) non potevano assumere alcuna rilevanza, in mancanza di qualsiasi causa giustificativa del passaggio di danaro tra gli attori ed i convenuti.

Conclusivamente deve essere accolto il secondo motivo dei ricorsi G. e F., assorbiti gli altri motivi.

Devono essere inoltre accolti il primo, terzo e quinto motivo del ricorso P., assorbiti gli altri. Il quinto motivo del ricorso P., anche esso da accogliere, riguarda la omessa pronuncia in ordine alla richiesta di chiamata in causa della Sp., formulata in via subordinata dal P. fin dal giudizio di primo grado e ribadita in appello per la ipotesi di riforma della decisione di primo grado. La sentenza della Corte territoriale deve essere cassata nella parte in cui ha omesso ogni pronuncia in ordine a tale richiesta.

Qualora il convenuto chiami un terzo in giudizio indicandolo come soggetto responsabile della pretesa fatta valere dall’attore e chieda, senza rigettare la propria legittimazione passiva, soltanto di essere manlevato delle conseguenze della soccombenza nei confronti dell’attore, il quale a sua volta non estenda la domanda verso il terzo, il cumulo di cause integra un litisconsorzio facoltativo (Cass. 14 marzo 2006 n. 5444).

È appena il caso di ricordare che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte la norma dettata dall’art. 354, ultimo comma, cod. proc. civ., la quale dispone che il giudice di appello deve rimettere la causa al primo giudice nell’ipotesi (fra le altre tassativamente previste) in cui riconosca che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio, si riferisce solo all’ipotesi di litisconsorzio necessario e non si estende alle ipotesi di chiamata di un terzo in garanzia.

Infine, deve essere accolto, per le ragioni già indicate, anche il secondo e terzo motivo del ricorso Beraldo, con assorbimento del primo motivo.

In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione alle censure accolte con rinvio ad altro giudice che procederà a nuovo esame, provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi.

Accoglie il secondo motivo dei ricorsi G. e Finarca, assorbiti gli altri.

Accoglie il primo, terzo e quinto motivo del ricorso P., assorbiti gli altri. Accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso Beraldo, assorbito il primo.

Cassa in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Bologna anche per le spese del presente giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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