Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 228/03 il Tribunale di Treviso, giudice del lavoro, aveva accolto la domanda di L.C., ex dipendente della società Fini s.r.l. (già Fresco in Casa s.r.l.) dal 24.1.92 al 10.1.97, proposta con ricorso depositato il 12.4.02, intesa ad ottenere il pagamento dell’importo di Euro 38.104,12 a titolo lavoro straordinario non retribuito, indennità di cassa e illecito assorbimento del superminimo.
In primo grado la società era rimasta contumace ed il giudice aveva accolto la domanda attorca dopo aver escusso due testi offerti dal L., nonchè tenendo conto della contumacia della convenuta e della mancata comparizione di quest1 ultima a rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 420 c.p.c..
2. Con ricorso del 23.7.03 la società ha proposto appello avverso tale pronuncia per plurimi motivi: eccepiva la nullità del ricorso introduttivo in prime cure e la conseguente nullità della sentenza appellata; lamentava poi le conseguenze che il Tribunale aveva tratto dalla dichiarazione di contumacia in termini di mancata contestazione delle pretese attoree; rilevava comunque l’insussistenza nel merito della pretesa azionata dalla lavoratrice.
Costituitosi, l’appellato contestava le argomentazioni della società appellante e chiedeva il rigetto del gravame.
Con sentenza del 17.5.2005 la corte d’appello di Venezia in parziale accoglimento dell’appello e in parziale riforma dell’impugnata sentenza, condannava l’appellante, in persona de legale rappresentante pro tempore a pagare all’appellato la somma di Euro 21.513,25 a titolo di indennità di cassa e di compenso per lavoro straordinario fino a tutto il 1994, nonchè il TFR depurato dall’incidenza del compenso per lavoro straordinario dai gennaio 1995 in poi, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali sui suddetti importi dal dovuto al saldo; condannava inoltre l’appellante alla rifusione di metà delle spese del doppio grado di giudizio.
3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il L. con quattro motivi illustrati anche da successiva memoria.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Con il primo motivo il ricorrente sostiene l’invalidità o l’inefficacia della procura conferita al procuratore speciale della società con conseguente nullità o inammissibilità dell’appello. Il ricorrente sostiene che la procura ha violando l’art. 77 c.p.c. in quanto non sarebbe attributiva di poteri di rappresentanza sostanziale in ordine al rapporto di cui è causa, ma conferirebbe al procuratore speciale esclusivamente poteri di rappresentanza processuale in tal modo determinando l’invalidità della procura stessa con conseguente nullità dell’atto d’appello per la proposizione del quale la procura era stata rilasciata.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente si duole della sentenza impugnata quanto alla ricalcolo del trattamento di fine rapporto come conseguenza della riduzione della condanna della società a pagamento dei compensi per lavoro straordinario in favore del lavoratore originario ricorrente. Deduce il ricorrente che la società nell’atto d’appello non aveva formulato in proposito alcun motivo di impugnazione. Pertanto secondo il ricorrente sul capo della sentenza relativa alla condanna al pagamento delle differenze di trattamento fine rapporto si sarebbe formato un giudicato implicito.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ridotto il compenso per lavoro straordinario a lui spettante. Sostiene che se a seguito dell’allegazione del fatto costitutivo del diritto al compenso per lavoro straordinario la parte convenuta, che eccepisca la applicabilità della particolare disciplina dettata per i dirigenti e gli impiegati con funzioni direttive, ha l’onere di specifica contestazione e di prova. La conseguenza sarebbe che la mancata contestazione renderebbe irretrattabile la allegazione di fatto del ricorrente.
Con il quarto motivo il ricorrente si duole della ritenuta legittimità dell’assorbimento del superminimo in godimento con agli aumenti previsti dai contratti collettivi succedutisi nel tempo.
Secondo ricorrente è il datore di lavoro che alleghi e sostenga l’assorbimento del superminimo che ha l’onere di allegare e provare i presupposti di tale assunto.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Questa Corte (Cass., sez. lav., 1 luglio 2000, n. 8838) ha già affermato – e qui ribadisce – che la procura alle liti rilasciata nel ricorso per cassazione dal legale rappresentante di una società (o persona giuridica) è valida quando dal mandato speciale integrato dall’intestazione del ricorso risultino indicate la qualifica e la posizione nell’organizzazione societaria della persona fisica che conferisce al difensore l’incarico di rappresentare e difendere la persona giuridica. Ove però la fonte della legittimazione di tale potere sia oggetto di contestazione ad opera della controparte, è la società rappresentata ad essere onerata di fornire la prova del potere rappresentativo della persona fisica che, per la posizione che occupa nella società medesima, tale potere abbia legittimamente speso rilasciando la procura speciale; sicchè, in mancanza di tempestiva contestazione della controparte, l’indicazione del potere rappresentativo derivante alla persona fisica dalla posizione occupata nella società è sufficiente ai fini della validità della procura.
Analogamente deve dirsi quanto ai poteri del procuratore speciale della parte. Pertanto ove il procuratore speciale sia stato – dalla procura rilasciatagli – investito della rappresentanza processuale e rilasci la procura alle liti sul presupposto che il potere rappresentativo di cui è investito si estenda anche alla rappresentanza sostanziale, e la controparte nulla eccepisca in ordine a tale allegato potere rappresentativo.
3. Il secondo motivo è infondato.
Come ha esattamente rilevato la società nel suo controricorso non c’era bisogno di uno specifico motivo di impugnazione sulla quantificazione del trattamento di fine rapporto da riconoscere al dipendente giacchè la contestazione del diritto al compenso per lavoro straordinario implicitamente conteneva anche la contestazione dell’incidenza di questo compenso sul trattamento di fine rapporto.
Si trattava pertanto di una mera pronuncia consequenziale del parziale accoglimento della motivo in punte di appello della società in ordine alla quantificazione del compenso per lavoro straordinario.
4. Il terzo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
La sentenza impugnata ha ritenuto il punto di fatto che il lavoratore effettivamente avesse svolto il lavoro straordinario che allegava di avere espletato. Non rilevano quindi le considerazioni svolte dal ricorrente a proposito della contumacia e della mancata contestazione dei fatti allegati con l’atto introduttivo del ricorso.
La sentenza della corte d’appello argomenta invece in diritto in ordine alla interpretazione e applicazione della disciplina del lavoro straordinario per i dirigenti e impiegati con funzioni direttive. In questa parte la censura del ricorrente è infondata perchè la pronuncia della corte distrettuale è conforme alla giurisprudenza di questa corte. La quale ha infatti affermato (Cass., sez. lav., 22 settembre 2003, n. 12367) che al dirigente o all’impiegato con funzioni direttive spetta un compenso per il lavoro straordinario solo se la prestazione lavorativa si protragga oltre il limite globale di ragionevolezza del normale orario, a causa della maggiore gravosità e della natura usurante dell’attività lavorativa. Ctr. anche Cass., sez. lav., 10 febbraio 2000, n. 1491, che ha ritenuto che ai fini dell’esclusione della limitazione dell’orario di lavoro, con conseguente negazione del diritto a compenso per lavoro straordinario, il concetto di "personale direttivo", di cui al R.D.L. n. 692 del 1923, art. 1 è comprensivo – come chiarito dal R.D. n. 1955 del 1923, art. 3, n. 2, (regolamento per l’applicazione del cit. R.D.L. n. 692 del 1923) – non soltanto di tutti i dirigenti ed instintori che rivestono qualità rappresentative e vicarie, bensì anche, in difetto di una pattuizione contrattuale in deroga, del personale dirigente cosiddetto minore, ossia gli impiegati di prima categoria con funzioni direttive, i capi di singoli servizi o sezioni di azienda e, in definitiva, i capi – ufficio e i capi – reparto che eccezionalmente possono svolgere persino attività manuale.
5. Il quarto motivo è infondato avendo la corte e distrettuale fatto applicazione di principi di diritto già affermati da questa corte in tema di onere probatorio quanto all’assorbimento o meno della superminimo. Infatti questa Corte (Cass., sez. lav., 17 luglio 2008, n. 19750) ha affermato che il cosiddetto superminimo, ossia l’eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari, che sia stato individualmente pattuito, è normalmente soggetto al principio generale dell’assorbimento nei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva, tranne che sia da questa diversamente disposto, o che le parti abbiano attribuito all’eccedenza della retribuzione individuale la natura di compenso speciale strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente e sia quindi sorretto da un autonomo titolo, alla cui dimostrazione, alla stregua dei principi generali sull’onere della prova, è tenuto lo stesso lavoratore (che appunto, sez. lav. 9 luglio 2004, n. 12788, secondo cui il cosiddetto superminimo, ossia l’eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari, che sia stato individualmente pattuito, è normalmente soggetto al principio generale dell’assorbimento nei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva, tranne che sia da questa diversamente disposto, o che le parti abbiano attribuito all’eccedenza della retribuzione individuale la natura di compenso speciale strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente e sia quindi sorretto da un autonomo titolo, alla cui dimostrazione, alla stregua dei principi generali sull’onere della prova, è tenuto lo stesso lavoratore Conf. anche Cass., sez. lav., 21 ottobre 1991, n. 11139).
6. Il ricorso va quindi rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 30,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorario d’avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali.
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