Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
bi i ricorsi.
Svolgimento del processo
1. – Il dott. A.O. convenne in giudizio la Regione Campania, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per il ritardo nel rilascio dell’autorizzazione all’apertura di una sede farmaceutica.
Premesso di aver accettato la sede assegnatagli a seguito d’interpello in qualità di vincitore del concorso pubblico bandito dalla Regione, espose che quest’ultima, venendo incontro alle pretese avanzate dai gestori provvisori, aveva dapprima assegnato a questi ultimi le sedi messe a concorso, nonostante il Giudice amministrativo avesse rigettato le istanze di sospensione dell’esecutorietà dell’interpello, e successivamente aveva omesso di ottemperare alla sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di assegnazione disposta dal Giudice amministrativo ed alla successiva sentenza di annullamento, costringendolo a chiedere la nomina di un commissario ad acta, a seguito della quale soltanto la Regione aveva provveduto al rilascio dell’autorizzazione.
1.1. – Con sentenza dell’8 maggio 2001, il Tribunale di Napoli accolse la domanda, condannando la Regione al pagamento della somma di L. 99.029.500, oltre interessi legali.
2. – L’impugnazione proposta dalla Regione è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Napoli, che con sentenza del 26 agosto 2004 ha accolto l’appello incidentale proposto dall’ A., rideterminando la somma dovuta in Euro 258.228,50, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat ed interessi legali sulla somma annualmente rivalutata dal 17 luglio 1986.
A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che la Regione avesse tenuto una condotta non ispirata ai principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, in quanto non aveva tenuto conto del parere favorevole alle ragioni dei vincitori del concorso espresso dall’Avvocatura regionale nè dei provvedimenti giurisdizionali sfavorevoli ai gestori provvisori, che confermavano la legittimità della procedura concorsuale, ma, provocando il consolidamento delle situazioni dei gestori provvisori, aveva aggravato il conflitto con i vincitori del concorso, dando luogo ad ulteriori e costose azioni giudiziarie.
Ai fini della liquidazione del danno, ha poi ritenuto che dovesse tenersi conto del periodo trascorso tra l’assegnazione delle sedi ai gestori provvisori ed il rilascio dell’autorizzazione, escludendo la possibilità di fare riferimento ai dati reddituali dichiarati dal gestore provvisorio, e confermando la correttezza del ricorso all’equità, sulla base di clementi presuntivi e dati relativi alla farmacia gestita in via provvisoria desunti anche da una consulenza tecnica di parte.
3. Avverso la predetta sentenza la Regione propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. L’ A. resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria.
Motivi della decisione
1. – Con l’unico complesso motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dei principi che disciplinano l’elemento soggettivo in tema di responsabilità per l’esercizio illegittimo di pubbliche funzioni, ed in particolare degli artt. 1226, 2043 e 2697 cod. civ., nonchè degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., sostenendo che il proprio comportamento era stato esente da dolo o colpa, in quanto improntato all’esercizio di discrezionalità amministrativa, avuto riguardo al rilevante contenzioso determinato dalla scelta legislativa di riconoscere la posizione giuridica dei gestori provvisori, ed alla complessità dei problemi tecnico-giuridici conseguenti all’accoglimento dei ricorsi giurisdizionali proposti dai vincitori del concorso.
Aggiunge che il danno non avrebbe potuto essere accertato in via presuntiva e liquidato equitativamente, incombendo il relativo onere probatorio all’attore, il quale si era limitato a depositare una relazione di consulenza che faceva riferimento a parametri reddituali concernenti un altro farmacista, senza dare prova delle proprie pregresse esperienze in materia o di altri dati oggetti vi dai quali potessero desumersi le sue capacità imprenditoriali, nè dell’attività lavorativa svolta nelle more del rilascio dell’autorizzazione.
1.1. – Il motivo è inammissibile nella parte in cui, riproponendo sostanzialmente le censure sollevate nel giudizio di secondo grado, contesta l’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello in ordine all’elemento soggettivo dell’illecito, sollecitando, attraverso l’apparente denuncia dell’errata applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, una revisione del giudizio di merito.
Il vizio di violazione di legge denunciarle in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 consiste infatti nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge, ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, nella specie non dedotto (cfr. Cass. Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313;
Cass., Sez. lav., 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., Sez. 1^, 22 febbraio 2007, n. 41 78). la Corte d’Appello ha peraltro fondato il riconoscimento della colpa della Regione sulla violazione delle regole di buona amministrazione connessa alla condotta inadempiente tenuta a seguito delle ordinanze emesse dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Salerno, il 25 luglio 1985 e dal Consiglio di Stato il 3 dicembre 1985, con cui erano state rigettate le istanze di sospensione dell’esecutorietà dell’atto d’interpello proposte da alcuni dei gestori provvisori delle sedi farmaceutiche, nonchè alla mancata considerazione del parere favorevole reso dall’Avvocatura regionale in ordine al rilascio delle autorizzazioni ai vincitori del concorso. Tale affermazione, immune da vizi logici, appare altresì conforme al consolidato orientamento di questa Corte in tema di responsabilità della Pubblica Amministrazione per illegittimo esercizio della funzione amministrativa, secondo cui l’imputazione della responsabilità non può aver luogo automaticamente sulla base del mero dato obiettivo dell’adozione di un provvedimento illegittimo, dovendo il giudice ordinario svolgere una più penetrante indagine in ordine alla condotta dell’Amministrazione, ed in particolare alla sua qualificabilità in termini di colpa (che, unitamente, al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana), da riferirsi non già al funzionario agente, ma all’Amministrazione intesa come apparato, e configuratale laddove l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo, lesivo dell’interesse del danneggiato, risulti avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. lav., 8 marzo 2010, n. 5561; Cass. Sez. 3^, 27 inaggio 2009, n. 12282; 15 marzo 2007, n. 6005).
La Regione contesta l’accertamento compiuto dalla Corte territoriale, sostenendo che la sentenza impugnata non ha tenuto conto delle difficoltà da essa incontrate ne dare esecuzione alle sentenze del Tar Campania 28 luglio 1989, n. 253 e del Consiglio di Stato 20 maggio 1991, n. 398, con cui erano state annullate le delibere di assegnazione delle sedi ai gestori provvisori, nè della necessità di procedere all’aggiornamento della documentazione preordinata al rilascio delle autorizzazioni, a seguito del decreto del 24 marzo 1992, con cui la Commissione di controllo aveva nominato un commissario ad acta per dare esecuzione alla sentenza del far Campania 6 febbraio 1992, n. 20, emessa sul ricorso per ottemperanza proposto dai vincitori del concorso. La pertinenza di tali circostanze appare tuttavia esclusa dal rilievo che nella specie la responsabilità dell’Amministrazione non è stata ricollegata alla mancata esecuzione del giudicato amministrativo di annui lamento delle predette delibere, bensì alla scelta di procedere ugualmente all’assegnazione delle sedi ai gestori provvisori, nonostante il rigetto delle istanze di sospensione dagli stessi proposte avverso l’atto d’interpello ed a dispetto del parere reso dall’Avvocatura regionale, con la conseguente consolidazione delle posizioni dei gestori provvisori e l’aggravamento del conflitto tra le parti coinvolte nella vicenda. Scelta, quest’ultima, che non poteva certo ritenersi giustificata dalla sopravvenienza della L. 22 dicembre 1984, n. 892, la quale, nel riconoscere ai gestori provvisori delle farmacie rurali il diritto a conseguirne la titolarità, aveva espressamente subordinato l’assegnazione alla condizione che al momento della presentazione della relativa domanda la farmacia non fosse già stata assegnata con l’effettivo rilascio dell’autorizzazione o non fosse in via di assegnazione a seguito dell’espletamento del concorso.
1.2. – Il motivo è invece infondato nella parte concernente l’accertamento del danno derivante dalla lesione del diritto al rilascio dell’autorizzazione.
E’ pur vero, infatti, che la liquidazione equitativa del danno patrimoniale da lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 cod. civ. richiedendo la prova della sua reale esistenza, presuppone che dagli atti risultino elementi oggetti vi di carattere lesivo, la cui proiezione nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile. Tale prova, tuttavia, potendo essere raggiunta anche in via presuntiva, è desumibile anche da elementi indiziari, purchè gli stessi risultino idonei ad evidenziare, anche semplicemente in considerazione dell’id quod plerumque accidit, un danno non meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece connesso all’illecito in termini di certezza o almeno di elevata probabilità (cfr. Cass., Sez. 3^, 11 maggio 2010. n. 11353; 19 febbraio 2009, n. 4052; Cass., Sez. 1^, 29 luglio 2009, n. 17677). Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur negando valenza di prova alla consulenza tecnica di parte prodotta dal controricorrente, ha ritenuto che la stessa, in quanto fondata sui dati relativi alla redditività della gestione provvisoria della farmacia, potesse fornire elementi di carattere indiziario in ordine all’esistenza del danno, liquidandolo con metodo equitativo, in considerazione dell’impossibilità o comunque della difficoltà di determinarne con precisione l’ammontare.
Pur apparendo condivisibile, in linea di principio, l’affermazione della Corte d’Appello, secondo cui l’utile d’impresa di una farmacia non costituisce un parametro aggettivo di valutazione estensibile ad altri soggetti, in quanto involge capacità organizzative personali, rapporti con la clientela e professionalità del personale dipendente), non può d’altronde non osservarsi che l’avvenuto superamento del concorso da parte del controricorrente costituiva un elemento sufficiente a far presumere che egli fosse in possesso di capacità professionali ed imprenditoriali non inferiori a quelle del gestore provvisorio della sede farmaceutica a lui definitivamente assegnata, i cui dati reddituali potevano quindi ben costituire un utile indizio dei proventi che egli avrebbe potuto trarre dalla gestione della farmacia (cir. Cass., Sez. 3^, 20 gennaio 2009, n. 1361).
Una volta accertato, poi, che al controricorrente era stato impedito, per fatto della Regione, lo svolgimento dell’attività al cui esercizio era abilitato in qualità di vincitore de concorso pubblico, incombeva alla Regione l’onere di provare che nelle more egli aveva svolto un’altra attività, traendone un reddito adeguato (cfr. con riguardo alla prova dell’aliunde perceptum in tema di ingiustificato rifiuto di assunzione del lavoratore, Cass., Sez. lav., 13 gennaio 2009, n. 488; 9 febbraio 2004, n. 2402).
2. – Con il primo motivo del ricorso incidentale, il controricorrente deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnala nella parte in cui ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, consistente nell’enorme disagio da lui indubbiamente subito per effetto della durata della vicenda, lesiva di valori costituzionalmente tutelati.
2.1. – Il motivo è inammissibile, per difetto di autosufficienza.
Come si evince dalla narrativa della sentenza impugnata, nella quale sono riportate testualmente le conclusioni rassegnate nell’atto di citazione, l’attore aveva chiesto in primo grado la condanna della Regione al risarcimento dei danno economico e morale sofferto in conseguenza della vicenda in esame. Avendo il Tribunale limitato la liquidazione al danno patrimoniale, il controricorrente sostiene di aver riproposto la domanda di risarcimento del danno morale nell’atto di appello, ma omette di trascriverne il contenuto nel controricorso, rendendo in tal modo impossibile accertare se l’appello incidentale da lui proposto avesse ad oggetto specificamente anche il mancato riconoscimento di questa componente del danno. Il carattere omnicomprensivo della domanda di risarcimento non accompagnata dalla specificazione delle voci o componenti di danno delle quali si chiede il ristoro non esclude infatti, in caso di mancato riconoscimento di alcune di esse, l’onere del danneggiato, parzialmente vittorioso in primo grado, di censurare specificamente la sentenza nelle parti a lui sfavorevoli, non risultando sufficiente, ai fini dell’impugnazione, la generica riproposizione della domanda di risarcimento.
3. – E’ invece infondato il secondo motivo, con cui il controricorrente lamenta l’omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha immotivamente individuato la data in cui ha avuto inizio la consumazione dell’illecito in quella di approvazione delle delibere di assegnazione delle sedi ai gestori provvisori, anzichè in quella in cui egli aveva risposto all’interpello.
3.1. – Conformemente al principio, precedentemente citato, secondo cui l’affermazione della responsabilità della Pubblica Amministrazione per l’illegittimo esercizio della funzione amministrativa richiede l’accertamento di una condotta colposa, non ravvisabile nella mera adozione di un atto illegittimo, ma nella violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, la Corte d’Appello ha infatti ritenuto che tale violazione fosse configurabile soltanto a partire dal momento in cui, divenuta palese l’infondatezza delle ragioni dei gestori provvisori a seguito de rigetto delle istanze di sospensione dell’esecutorietà dell’atto d’interpello da loro proposte e del parere favorevole ai vincitori del concorso emesso dall’Avvocatura, la Giunta regionale aveva ugualmente deliberato l’assegnazione delle sedi ai gestori provvisori, in tal modo determinando il consolidamento delle loro situazioni giuridiche.
Tale iter argomentativo, dal quale emerge implicitamente l’esclusione della rilevanza della condotta meramente omissiva precedentemente tenuta dalla Regione, viene contestato dal controricorrente, il quale, tuttavia, si astiene dall’indicare i vizi logici da cui risulterebbe affetta la predetta valutazione, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso la denuncia del vizio di motivazione, una rivisitazione dell’apprezzamento risultante dalla sentenza impugnata, non consentilo in questa sede, non spettando al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale è demandato in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 3^, 9 agosto 2007, n. 17477; 16 gennaio 2007, n. 828; 20 ottobre 2005. n. 20322).
Non appare pertinente, in proposito, la sentenza 20 gennaio 2009. n. 1361, richiamata dal controricorrente nella memoria depositala ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., con cui questa Corte, in riferimento alla domanda di risarcimento dei danni avanzata da un altro vincitore del medesimo concorso, ha cassato la sentenza di appello, nella parte in cui aveva limitato la responsabilità della Regione al periodo successivo alla sentenza con cui il Consiglio di Stato aveva confermato l’annullamento delle delibere di assegnazione, senza tener conto del tempo decorso dalla data della risposta all’interpello: tale pronuncia non reca infatti alcuna valutazione in ordine alla correttezza logico-giuridica della decisione adottata nella sentenza impugnata, ma si limita a prendere atto che, contrariamente a quanto accaduto nel presente giudizio, la Corte d’Appello aveva omesso di pronunciare in ordine al motivo d’impugnazione proposto a riguardo dal farmacista.
4. I ricorsi vanno pertanto rigettati, e la soccombenza reciproca giustifica la dichiarazione dell’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale, e dichiara interamente compensate tra te parti le spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.