Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Nel confermare la pronuncia di primo grado, la decisione di appello qui impugnata ha affermato l’illegittimità della cartella di pagamento i.v.a., emessa a carico della società contribuente per il recupero a tassazione della detrazione, in relazione all’annualità 2002, di credito d’imposta maturato nel 2001 e non riportato nella pertinente dichiarazione annuale, perchè omessa.
Costituita nel novembre 2001, la società contribuente, aveva, in sede di costituzione, optato per la scelta dell’anno allungato, con chiusura del primo anno sociale al 31.12.2002; con riferimento agli ultimi due mesi del 2001, aveva, peraltro, annotato nel registro i.v.a. e nel libro-giornale quattro fatture passive, attestanti il versamento di i.v.a. per l’importo complessivo di Euro 57.455,00.
Omessa la dichiarazione i.v.a. per l’anno 2001, in sede di dichiarazione per l’annualità successiva, la società, pose il credito i.v.a. maturato nel 2001 in detrazione dell’imposta dovuta nel 2002. Disconosciuto il credito d’imposta insorto nel 2001, ma non reso oggetto di dichiarazione annuale per l’anno di competenza, l’Agenzia provvide, quindi, al correlativo recupero, che, in esito all’impugnazione della società contribuente, fu, tuttavia, ritenuto illegittimo sia dalla commissione provinciale sia da quella regionale.
In particolare, aderendo all’impostazione della società contribuente, il giudice a quo, ha ritenuto la legittimità della detrazione, sul presupposto che la società contribuente, pur non avendo presentato la relativa dichiarazione annuale, aveva regolarmente annotato le fatture nel registro i.v.a. e nel libro- giornale, non arrecando danno all’erario nè pregiudicando l’attività di controllo dell’Agenzia.
Avverso la decisione di appello, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione in unico motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 1 e assumendo che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di appello, la mancata presentazione della dichiarazione annuale preclude, in ogni caso, la detrazione dell’imposta versata nell’anno.
La società contribuente ha resistito con controricorso ed illustrato le proprie ragioni anche con memoria. In particolare: ha rilevato come risultasse in concreto soddisfatta la condizione (di cui al combinato disposto dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19) della detrazione non oltre la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello dell’insorgenza del credito; ha lamentato che il ristoro del credito d’imposta le era stato impedito dal comportamento dell’Agenzia, che non aveva provveduto ad accertamento induttivo, cui, in assenza di dichiarazione, la legittimava il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 che peraltro, a detti fini, sancisce la detraibilità dei crediti d’imposta risultanti anche dalle sole dichiarazioni periodiche; ha fatto, inoltre, riferimento alla sentenza C.G. 8.5.2008 nelle cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade, dalla quale emerge che il principio di neutralità fiscale esige che, assolti i requisiti sostanziali, il soddisfacimento del credito i.v.a. non può essere escluso in funzione di irregolarità puramente formali.
Fissata per la decisione in camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c., la causa è stata rimessa in pubblica udienza.
Motivi della decisione
Attese le argomentazioni difensive della società controricorrente, occorre preliminarmente puntualizzare che il combinato disposto dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 fissa il limite temporale entro i quale il contribuente deve esercitare la facoltà di detrazione del credito d’imposta ("al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto …"), ma non incide sui relativi presupposti, e che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 l’Ufficio non è tenuto all’accertamento induttivo ivi previsto al solo fine di consentire al contribuente il recupero del proprio credito d’imposta.
Tanto premesso, va osservato che, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di i.v.a. (da cui non vi è motivo di discostarsi), in caso di inosservanza dell’obbligo della dichiarazione annuale, al contribuente, è preclusa, in forza della complessiva disciplina dell’imposta, la possibilità di recuperare il credito d’imposta maturato in detta annualità attraverso il trasferimento della correlativa detrazione nel periodo d’imposta successivo, pur se detto credito sia stato regolarmente annotato nella dichiarazione mensile di competenza; ciò fermo restando tuttavia, in applicazione del successivo art. 30, comma 2, il diritto del contribuente al soddisfacimento del credito mediante rimborso (cfr. Cass. 21947/07, 11584/06, 16477/04, 19495/03, 1029/02, 1823/01), ai fini del quale non rileva l’esposizione del credito nella dichiarazione annuale, ma soltanto il suo obiettivo riscontro documentale (cfr. C.G. 11.7.2002 C-69/00, Liberexim BV, Cass. 22774/06, 2274/04).
Il sistema delineato dal diritto vivente nazionale non contrasta con la disciplina comunitaria.
A causa della complessità del meccanismo di funzionamento dell’i.v.a., imperniato sugli istituti della rivalsa e della detrazione, questa infatti, al fine di garantire l’esatta riscossione dell’imposta e di evitare frodi, attribuisce ruolo centrale alla predisposizione di misure (che non rivestono, pertanto, ruolo esclusivamente formale) atte ad assicurare che l’esercizio della detrazione non si sottragga ad idoneo controllo, e ne devolve la concreta identificazione ai legislatori nazionali (cfr. l’art. 18, n. 1, lett. d, e art. 22, della sesta direttiva, nella versione applicabile alla fattispecie).
Ciò posto – ed atteso che la liquidazione dell’imposta realizza la sintesi della massa delle operazioni, attive e passive, svolte in un determinato periodo di imposta – a pieno titolo nel novero delle sopra richiamate misure s’inserisce l’onere dell’annotazione di dette operazioni nella dichiarazione annuale, che, quale rappresentazione contabile della generalità delle operazione rilevanti nel periodo considerato e decisive ai fini della correlativa liquidazione, risponde, appunto, alla specifica funzione di consentire il controllo della correttezza della liquidazione ed evitare il rischio di indebite restituzioni (cfr. Cass. 1823/01, 9240/1990).
D’altro canto, l’inosservanza degli adempimenti cartolari condizionanti la detrazione, alla stregua della lettura della normativa nazionale offerta dalla sopra riportata giurisprudenza di questa Corte, non comporta quale evento ineludibile il sacrificio del. diritto al ristoro dell’iva versata a monte (che, in forza del principio di neutralità fiscale, costituisce fondamentale criterio del sistema comunitario: cfr. C.G. 18.12.1997 nelle causa riunite C- 286/94, C-340/95, C-401/95, C-47/96).
Il diritto in rassegna si realizza infatti, alternativamente, con lo strumento della detrazione ovvero con quello del rimborso (cfr. art. 17, n. 3, della sesta direttiva nonchè Cass. ord. 18721/10, 16477/04, 1823/01), che la giurisprudenza richiamata fa, del resto, esplicitamente, salvo, pur in assenza dei requisiti legittimanti la detrazione.
Peraltro – essendo detrazione e rimborso manifestazioni del medesimo diritto (costituendone, come detto, alternative modalità di esercizio, ancorchè non subordinate ai medesimi presupposti) – al contribuente, che (entro il termine di decadenza sancito per il rimborso) abbia esercitato il diritto alla restituzione con richiesta di detrazione contrastata dall’Agenzia per inosservanza degli adempimenti all’uopo prescritti, non può, in caso di esito negativo del giudizio sulla detrazione, ritenersi precluso il rimborso, se richiesto nel rispetto del termine di prescrizione. Ciò, d’altro canto, sulla base di valutazioni logico-sistematiche, non dissimili da quelle che hanno indotto questa Corte a ritenere la domanda di esenzione, ritualmente e tempestivamente presentata, anche quale istanza di rimborso del tributo versato senza tener conto dell’esenzione medesima (cfr. Cass. 3412/05, 1004/01).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia.
Non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ult. parte, va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente;
Per la natura della controversia e tutte le peculiarità della fattispecie, si ravvisano le condizioni per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
la Corte: accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente; compensa le spese dell’intero giudizio.
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