Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-05-2011) 27-05-2011, n. 21412

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 14 ottobre 2010, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale della medesima città il 4 giugno 2009, con la quale M.R. è stato condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 2.800,00 di multa quale imputato di ricettazione di due titoli di credito compendio di furto.

Propone ricorso per cassazione personalmente l’imputato, il quale deduce, nel primo motivo, la nullità della sentenza di primo grado, in quanto il suo difensore di fiducia non si sarebbe mai presentato in udienza, tant’è che venne nominato un difensore di ufficio, e non sarebbe stato informato del giudizio di primo grado dal proprio difensore presso il quale aveva eletto domicilio. Nel secondo motivo si ribadisce la innocenza dell’imputato sulla base degli stessi rilievi già dedotti in appello e disattesi da quei giudici.

Si lamenta, poi, che la recidiva sarebbe stata ritenuta anche in forza di una sentenza poi revocata e si contestano i rilievi svolti dalla Corte territoriale per suffragare la sussistenza della aggravante di cui all’art. 62 c.p., n. 4. Reiterandosi, poi, censure già dedotte e disattese in appello, si lamenta la mancata applicazione della attenuante di cui all’art. 648 c.p., comma 2, e delle attenuanti generiche.

Il primo motivo è del tutto inconsistente, in quanto la scelta del difensore di fiducia di non comparire alla udienza è ovviamente del tutto insindacabile e non può certo integrare la prospettata nullità assoluta; così come insindacabili sono i rapporti interni tra difensore domiciliatario e imputato, specie laddove i diritti di impugnazione siano stati, come nel caso in esame, concretamente esercitati. Quanto ai restanti motivi, gli stessi risultano nella sostanza meramente reiterativi di questioni tutte già devolute e motivatamente disattese dai giudici del gravame, con sviluppo argomentativo puntuale e logico, e rispetto al quale il ricorrente non frappone una effettiva ed autonoma critica impugnatoria. La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai da tempo consolidata nell’affermare che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (Cass., Sez. 1, 30 settembre 2004, Burzotta;

Cass., Sez. 6, 8 ottobre 2002, Notaristefano; Cass., Sez. 4, 11 aprile 2001 Cass., Sez. 4, 29 marzo 2000, Barone; Cass., Sez. 4, 18 settembre 1997, Ahmetovic).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro Mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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