Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con citazione notificata in data 6/7 febbraio 2001 la Industria Casearia Cilento Srl esponeva che il (OMISSIS), era stato consumato, ad opera di ignoti, il furto di un autoarticolato, che trasportava cagliata di latte che avrebbe dovuto essere trasportata a (OMISSIS) presso la Mercury Srl. Considerato che era stata stipulata un’assicurazione riguardo alle perdite che potessero colpire le merci trasportate dall’autoarticolato con polizza stipulata con l’Assitalia per il massimale di 300 milioni (con riparto di rischio tra Ras per il 40%, Uniass per il 20% e Assitalia per il 40%) e che non era stato possibile ottenere il pagamento dell’indennizzo, conveniva in giudizio le compagnie assicurative indicate per ottenerne la condanna. In esito al giudizio, in cui si costituivano le convenute, il Tribunale d S. Maria C. V. accoglieva la domanda e condannava le convenute al risarcimento danni in Euro 174.090,16 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. Avverso tale decisione le compagnie assicuratrici proponevano appello ed in esito al giudizio la Corte di Appello di Napoli con sentenza depositata in data 6 maggio 2008 rigettava l’impugnazione proposta, la domanda di restituzione di quanto pagato in forza della sentenza di primo grado, avanzata dalle compagnie assicuratrici, la domanda diretta alla declaratoria di cessazione della materia del contendere proposta da parte appellata.
Avverso la detta sentenza l’Ina Assitalia e l’Allianz Spa (già RAS) hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Resiste l’Industria Casearia Cilento con controricorso, la quale ha altresì depositato memoria difensiva a norma dell’art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
La prima doglianza, svolta dalle ricorrenti, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (artt. 1904, 1981, 1378 c.c., art. 1510 c.c., comma 2, art. 2697 c.c., art. 624 c.p., artt. 99, 100, 112, 163, 180, 183, 184 c.p.c.), si fonda sulla considerazione che la Corte di Appello avrebbe dovuto dichiarare l’attrice "carente di azione e priva di titolarità del diritto azionato, dato che proprietario della merce – e quindi beneficiario della sicurtà- era l’acquirente". Ciò, in quanto nell’atto introduttivo la Cilento aveva dichiarato di agire quale titolare del diritto all’indennizzo in base alla polizza. Nè la Corte avrebbe potuto prendere in considerazione la irrituale quanto tardiva modifica della causa petendi effettuata dalla Cilento nella memoria ex art. 184 c.p.c., in cui assumeva che il suo diritto non le derivava direttamente per patto di polizza ma solo per effetto di pattuizione con l’acquirente con la quale era stato convenuto che il rischio del trasporto venisse posto a carico della venditrice.
La doglianza è priva di ogni pregio. Ed invero, come è stato è stato accertato nei giudizi di merito, la società Industria Casearia Cilento, aveva sottoscritto il contratto assicurativo agendo quale " proprietaria delle merci assicurate", qualità che, secondo la valutazione delle risultanze probatorie effettuata, certamente le spettava alla luce della deposizione del teste C.C., rappresentante legale della società acquirente della merce, il quale nel corso dell’esame testimoniale aveva espressamente dichiarato di aver convenuto con la Industria Casearia che la vendita si sarebbe perfezionata soltanto con la consegna della merce presso i suoi stabilimenti ovvero presso i magazzini doganali di (OMISSIS).
Ne deriva con tutta evidenza che, contrariamente alla tesi delle ricorrenti, proprietaria delle merci non era l’acquirente ma la sottoscrittrice della polizza, la quale ne era conseguentemente la beneficiarla, essendone l’avente diritto, poichè gli effetti del trasferimento del diritto di proprietà sulle merci da consegnare si sarebbero compiuti solo con la loro consegna. Da ciò, l’assoluta insussistenza della doglianza dedotta dalle ricorrenti. Seguendo l’ordine del ricorso, deve ora segnalarsi che le ricorrenti hanno successivamente formulato una serie di "submotivi", così come esse stesse li hanno definita, con cui hanno chiesto nei quesiti conclusivi, rispettivamente: a) se sia corretto ricorrere alla interpretazione letterale della "precisazione" anzichè ricorrere al criterio interpretativo di cui all’art. 1362 c.c. e segg.; b) se sia consentito introdurre un titolo nuovo rispetto a quello indicato in citazione; c) se il trasporto merci autorizzato per conto proprio vada riferito al trasporto di merci solo se di proprietà del licenziatario; d) se può ritenersi che un agente periferico di compagnia assicuratrice possa decidere di rinunciare a difese ed eccezioni senza che chi lo deduce abbia provato che ciò rientra nei poteri concessi all’agente ex art. 1903 c.c., comma 1.
I sub motivi, come riportati nella loro essenzialità, vanno dichiarati inammissibili, posto che secondo il consolidatissimo orientamento di questa Corte il quesito non può risolversi in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo nè nell’invito alla S.C, perchè decida in ordine alla fondatezza della censure come illustrate ovvero si pronunzi su determinate questioni senza neanche chiarirle, nel quesito, il collegamento con la fattispecie dedotta in giudizio, così come è avvenuto nella specie, occorrendo invece che il ricorrente proceda alla redazione di un quesito autonomo, tale cioè da contenere tutte le informazioni necessarie a consentire una risposta utile alla definizione della controversia, nonchè all’enunciazione di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e, perciò, tale da implicare un ribaltamento della decisione adottata dal giudice a quo, indicandone l’errore o gli errori compiuti e specificando la regola da applicare" (cfr S.U. n. 3519/2008, Cass. n. 19769/08).
Passando all’esame della seconda doglianza, va rilevato che la stessa, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 624 c.p., art. 2697 c.c., comma 1, artt. 2727, 1176, 1177 c.c., art. 1362 c.c. e segg., artt. 654 e 409 c.p.p.) si fonda sulla considerazione che la Corte territoriale avrebbe trascurato tutta una serie di stranezze ed anomalie che avevano caratterizzato i fatti che avevano preceduto la consumazione del furto quali, tra gli altri: 1) il fatto che l’autista del veicolo non disse di aver attivato l’antifurto nè consegnò mai la chiave relativa, a prova dell’avvenuta attivazione, che si realizzava estraendo la chiave; 2) il fatto che il carico di cagliata superava di quasi tre tonnellate la capienza del rimorchio; 3) il fatto che nè la polizia nè il personale dell’area riferirono alcun elemento utile a confermare la presenza del veicolo nell’area di servizio e l’esecuzione del furto Inoltre – ed in tale rilievo si sostanzia l’ultima censura per violazione e falsa applicazione dell’art. 624 c.p., degli artt. 2697 c.c., art. 1376 c.c., comma 2, artt. 1377, 1376 c.c. – la Corte di appello avrebbe erroneamente dato credito alla deposizione del teste D., cioè dell’autista del veicolo, benchè si trattasse di un teste inattendibile in quanto civilmente responsabile della sottrazione del veicolo per omessa custodia ed autore di dichiarazioni contraddittorie quando dichiara di aver attivato l’antifurto ma non dichiara di aver estratto le chiavi dell’antifurto e di averle consegnato al suo datore di lavoro o all’assicuratore. Ciò, senza considerare che la Corte di merito avrebbe tratto inammissibili illazioni da una lettera inviata dagli agenti di Piedimonte Matese trascurando che essi non avevano potere alcuno per impegnare la Compagnia.
I motivi in questione, che vanno trattati congiuntamente, in quanto propongono profili di censura intimamente connessi tra loro, sono inammissibili. Ed invero, le ragioni di doglianze, formulate dalle ricorrenti, come risulta di ovvia evidenza dal loro stesso contenuto e dalle espressioni usate, non concernono violazioni o false applicazioni del dettato normativo bensì la valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito; nè evidenziano effettive carenze o contraddizioni nel percorso motivazionale della sentenza impugnata ma, riproponendo l’esame degli elementi fattuali già sottoposti ai giudici di seconde cure e da questi disattesi, mirano ad un’ulteriore valutazione delle risultanze processuali, che non è consentita in sede di legittimità.
Ed invero, a questa Corte non è riconosciuto dalla legge il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile la doglianza mediante la quale la parte ricorrente, pur deducendo formalmente un vizio di legittimità o anche un vizio motivazionale, avanza, nella sostanza delle cose, così come nel caso di specie, un’ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
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