Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con separati ricorsi, successivamente riuniti, S.L. ed altri 15, Sc.Ro. ed altri 37, Be.Ma. ed altri 14, Ba.Ca. ed altri 17, M.F. ed altri 7, Bu.Ro. ed altri 13, V.M. ed altri 14, P.P. ed altri 9, D.A. ed altri 13, Bi.Gr. ed altri 15 e b.g. proponevano appello contro te sentenze nn. 1247/05, 1570 1571 1572 1573 1574 1575 1576/05, 48 e 489/06 emesse da vari giudici del lavoro del Tribunale di Firenze che avevano respinto le loro rispettive domande per il computo nel t.f.r. (già percepito) delle quote di contribuzione versate dalla Cassa di Risparmio di Firenze al Fondo Integrativo Pensionistico aziendale e per la condanna della Banca al pagamento delle relative differenze.
Con un primo motivo di appello il Santini ed i molti litisconsorti censuravano la violazione da parte del Tribunale dell’art. 112 c.p.c. per avere limitato la pronuncia alla sola incidenza sul t.f.r. della quota di contribuzione a carico dell’azienda e non anche a quella a carico dei lavoratori, contestando la sussistenza della prova di avere l’azienda calcolato tali importi nel calcolo del trattamento di fine rapporto.
Con il secondo motivo gli appellanti assumevano la natura retributiva dei versamenti al Fondo in questione anche ove si tratti, come nella specie, di fondo a prestazione definita. Gli appellanti chiedevano pertanto che, in riforma della sentenza impugnata, la Banca fosse condannata a corrispondere loro le differenze di t.f.r., oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali ex art. 429 c.p.c..
La Cassa Risparmio di Firenze resisteva alle impugnazioni, eccependo in primo luogo l’insussistenza della violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte delle decisioni del Tribunale cui, caso mai, si sarebbe dovuto contestare la mancata ammissione delle prove sul punto del calcolo delle quote a carico dei lavoratori nel computo del t.f.r., che, sempre indicate in busta paga, sono state regolarmente prese anch’esse a base di tale computo. Con altrettanto ampie argomentazioni, quindi, la banca appellata ribadiva la natura previdenziale dei versamenti al F.I.P. aziendale.
Con sentenza del 19 dicembre 2008, la Corte d’appello di Firenze, ritenuta la natura previdenziale dei versamenti in questione, respingeva gli appelli.
Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione i nominativi in epigrafe, affidato a quattro motivi.
Resiste la Cassa con controricorso, poi illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1- Con i primi tre motivi i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c. circa l’onere della prova dell’effettiva liquidazione dell’incidenza dei versamenti al fondo dì previdenza nel t.f.r.; la insufficiente o contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo della contestazione o meno dell’allegazione della Banca di aver effettivamente liquidato l’incidenza della quota di contribuzione a carico dei lavoratori nel t.f.r.; la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere affermato un supposto onere di contestazione da parte dei ricorrenti circa l’allegazione della Cassa di aver calcolato tali versamenti nella liquidazione del t.f.r.. Ad illustrazione dei motivi formulavano i prescritti quesiti di diritto. I motivi sono in parte inammissibili e per il resto infondati.
Ed invero, premesso che l’individuazione della parte onerata dalla prova in subiecta materia cede a fronte del principio di non contestazione, idoneo ad espungere la questione dal "thema probandum" (ex plurimis, Cass.,sez. un. 23 gennaio 2002, n, 761; Cass. 26 settembre 2002, n. 13972; Cass. 15 gennaio 2003, n. 535), a fronte dell’accertamento della non contestazione da parte della corte territoriale, i ricorrenti si limitano a dedurre il contrario, invocando il contenuto degli atti difensivi che tuttavia non sono riportati integralmente nel presente ricorso, nè risulta indicata la loro ubicazione negli atti di causa, in contrasto col principio dell’autosufficienza e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Al riguardo non può che rammentarsi quanto affermato dalle sezioni unite di questa Corte (ordinanza 25 marzo 2010 n. 7161), secondo cui in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto. Nello stesso senso l’ordinanza Ordinanza n. 21366 del 15 ottobre 2010, secondo cui nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi (e lo stesso vale anche per i documenti) – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei relativi documenti sui quali il ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito.
2. – Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 2099 e 2120 c.c., nonchè degli artt. 36 e 38 Cost. sia in ordine all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui la contribuzione de qua avrebbe natura previdenziale e non retribuiva, sia in ordine all’affermazione subordinata per cui la natura previdenziale andrebbe riconosciuta alla contribuzione ai fondi previdenziali interni a prestazione definita. Il motivo è fondato.
Questa Corte ha già affermato (Cass. 12 gennaio 2011 n. 545, Cass. sez. un. 2 novembre 2001 n. 13558) che fino alla data di entrata in vigore della riforma della previdenza complementare (D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, che non forma oggetto del presente giudizio), i trattamenti pensionistici integrativi, erogati a seguito della costituzione di fondi speciali (individuali o collettivi) previsti dalla contrattazione collettiva, hanno natura retributiva, anche se sono esigibili dopo la cessazione del rapporto di lavoro, essendo in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa; ne consegue che i relativi versamenti effettuati dal datore di lavoro sono rilevanti ai fini del trattamento di fine rapporto e dell’indennità di anzianità, l trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno dunque natura di retribuzione differita, sicchè analoga natura retributiva, ai fini del computo nelle indennità di fine rapporto, deve essere riconosciuta anche ai versamenti effettuati dal datore di lavoro, in osservanza di un obbligo derivante dal contratto collettivo, mediante accreditamenti sul conto previdenziale individuale del lavoratore ai fini della costituzione e dell’erogazione di un trattamento pensionistico integrativo.
Gli accreditamenti sul fondo di pensione integrativa effettuati dal datore di lavoro costituiscono pertanto una forma continuativa e non occasionale di arricchimento indiretto del dipendente, istituzionalmente connessa alla sussistenza e allo svolgimento del rapporto di lavoro e sono riconducibili alla retribuzione utile ai fini del calcolo sia dell’indennità di anzianità che del t.f.r.
Questa Corte, nella sentenza n. 454 del 2011 sopra richiamata, ha in particolare chiarito che, sino all’entrata in vigore della riforma della previdenza complementare (D.Lgs. 124 del 1993), deve farsi riferimento ai precedenti di questa Corte relativi al preesistente quadro normativo. Le Sezioni unite, con la sentenza n. 974 del 1997, risolvendo un contrasto, affermarono la natura retributiva dei versamenti ai fondi di previdenza complementare. Precisarono che "i trattamenti pensionistici integrativi, erogati a seguito della costituzione di fondi speciali previsti dalla contrattazione collettiva, privi di autonoma soggettività, hanno natura di debiti di lavoro, anche se sono esigibili dopo la cessazione del rapporto di lavoro, essendo in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa a causa della interdipendenza con la durata del servizio e la misura della retribuzione ricevuta". La natura del trattamento pensionistico, nella ricostruzione delle Sezioni unite, si riflette sulla natura dei versamenti al fondo, che hanno quindi natura retributiva e, di conseguenza, devono essere computati nella indennità di anzianità e nel t.f.r. La sentenza 2 novembre 2001, n. 13558, ha ribadito, sempre con riferimento al quadro normativo previgente, che, avendo i trattamenti pensionistici integrativi aziendali natura di retribuzione differita, analoga natura retributiva, ai fini del computo nelle indennità di fine rapporto, deve essere riconosciuta anche ai versamenti effettuati dal datore di lavoro, in osservanza di obbligo derivante da contratto collettivo, mediante accreditamenti sul conto previdenziale individuale del lavoratore ai fini della costituzione e dell’erogazione di un trattamento pensionistico integrativo. I problemi, riproposti dalla ricorrente, relativi alla riconducibilità dei versamenti alla nozione di retribuzione desumibile dall’art. 2120 cod. civ., hanno quindi trovato puntuale soluzione in questi precedenti, mentre il fatto che la decisione del 2001 consideri un fondo a capitalizzazione individuale, laddove nel caso in esame la capitalizzazione è collettiva, non modifica i termini della questione, perchè non incide sulla natura del trattamento finale e sulla omogenea natura del versamento. Nè la ricostruzione su richiamata viene intaccata dai rilievi sulla comune struttura dei trattamenti di fine rapporto e della pensione integrativa, che non spostano i fondamenti del ragionamento delle Sezioni unite sulla natura dei versamento e sulla sua conseguente rilevanza ai fini del t.f.r. e della indennità di anzianità. Di tutto ciò da atto, con compiuta ricostruzione, Cass., 7 novembre 2005, n. 21473, che, peraltro, ha giudicato sulla situazione determinatasi in seguito alla riforma e pertanto non può essere richiamata per fondare una diversa decisione in questa controversia.
Analogo discorso vale per Cass. 27 febbraio 2008 n. 5094 (riguardante il trasferimento ad altro fondo della intera posizione previdenziale, previsto dal D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 10), e Cass. 23 febbraio 2010 n. 4369 (riguardante il diritto al riscatto delle quote, previsto dal D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 10, lett. c).
La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio, per l’ulteriore esame, ad altro giudice il quale si atterrà al principio enunciato, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il quarto motivo dì ricorso, che nel resto rigetta; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.