Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-05-2011) 01-06-2011, n. 22189

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 13.6.2007 la Corte d’Assise di Frosinone dichiarò P.D. e P.J. colpevoli, in concorso con altri soggetti, del reato di induzione e sfruttamento della prostituzione di numerose donne (capo B) nonchè P.J. colpevole del reato di violenza sessuale in danno di S.E. (capo E), e P. D. colpevole, inoltre, di violenza sessuale in danno di M. V. (capo F), e li condannò, ciascuno, alla pena di anni 7 di reclusione ed Euro 7.000,00 di multa, oltre pene accessorie, disponendo altresì la misura di sicurezza dell’espulsione ex art. 235 c.p.. La Corte d’Assise predetta assolse i due imputati dal reato di associazione per delinquere contestato al capo A) perchè il fatto non sussiste, mentre per il reato contestato al capo D) – acquisto di schiavi – riqualificò il fatto in quello di cui all’art. 600 c.p., ed ordinò la trasmissione degli atti al P.M..

A seguito di gravame ritualmente proposto dagli imputati, la Corte di assise di appello di Roma confermò la sentenza di primo grado.

Gli imputati predetti proposero ricorso per cassazione deducendo plurime censure sia in punto di responsabilità sia in ordine al trattamento sanzionatorio.

La Corte di Cassazione, Terza Sezione penale, con sentenza in data 11 marzo 2010, annullò l’impugnata decisione, sotto il profilo del ravvisato vizio motivazionale, limitatamente alla mancata specificazione della pena ed alla disposta misura di sicurezza dell’espulsione, con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Roma per nuovo esame su tali punti, ritenendo infondati gli altri motivi di ricorso.

La Corte di Assise di appello di Roma, decidendo in sede di rinvio, ha ritenuto reato più grave quello di cui all’imputazione sub B); ha quindi determinato per gli imputati la pena base in anni tre di reclusione ed euro 5.000,00 di multa per il reato di sfruttamento della prostituzione – individuato quale reato più grave, nell’ambito dell’addebito sub B) comprensivo anche del reato di induzione alla prostituzione – aumentandola poi di anni uno di reclusione ed euro 2.000,00 di multa per la continuazione con il reato di induzione alla prostituzione, contestato, come detto, nello stesso capo B), ed aumentandola ulteriormente di anni tre di reclusione per la continuazione con il reato di violenza sessuale: cosi pervenendo alla pena complessiva di anni sette di reclusione ed Euro 7.000,00 di multa per ciascuno degli imputati, pari a quella inflitta a questi ultimi con la sentenza di primo grado e confermata con la prima decisione di appello annullata dalla Cassazione.

La Corte territoriale ha altresì confermato l’ordine di espulsione dei due imputati, ancorando tale statuizione ad un negativo giudizio prognostico fondato sulla particolare gravità dei reati e sulle modalità delle condotte criminose ascritte agli imputati – caratterizzate da episodi di violenza e minaccia ripetutisi in un arco di tempo non limitato e rivolti a più persone – nonchè sulla particolare intensità del dolo e sul grave danno arrecato a varie ragazze di giovane età.

P.D. e P.J. propongono ricorso per Cassazione.

Entrambi deducono: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena, sull’asserito rilievo che la Corte d’Assise d’appello in sede di rinvio avrebbe errato nel limitarsi ad individuare i singoli segmenti di reato avvinti dal vincolo della continuazione ed a determinare i relativi aumenti di pena, posto che, ad avviso dei ricorrenti, l’annullamento disposto dalla Cassazione avrebbe avuto ad oggetto il trattamento sanzionatorio nel suo complesso, ivi compresa la pena finale che il giudice del rinvio avrebbe dunque ritenuto erroneamente coperta dal giudicato; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla individuazione del reato più grave, avendo il giudice del rinvio ritenuto reato più grave quello di sfruttamento della prostituzione, con determinazione della pena base, per tale reato, pari ad anni tre di reclusione, applicando poi la medesima pena per il reato satellite di violenza sessuale – peraltro non ricompreso, a differenza del reato ritenuto più grave, tra i reati previsti per l’applicazione dell’indulto di cui alla legge 31 luglio 2006, n. 241 – così violando l’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. secondo cui si considera violazione più grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave.

P.D. denuncia inoltre violazione di legge e vizio di motivazione relativamente all’accertamento della concretezza e dell’attualità della pericolosità dell’imputato condannato ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione.
Motivi della decisione

I ricorsi devono essere rigettati per l’infondatezza delle censure dedotte.

Questa Corte aveva annullato la precedente sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma avendo ravvisato il vizio motivazionale esclusivamente sul punto concernente la specificazione della pena base e degli aumenti per la continuazione, nonchè sulla ritenuta pericolosità ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione di cui all’art. 235 c.p.. Al riguardo non possono esservi dubbi di sorta tenuto conto del chiaro ed inequivoco tenore letterale del dispositivo della sentenza di annullamento: "Annulla la sentenza impugnata per entrambi i ricorrenti limitatamente alla specificazione della pena ed alla misura di sicurezza dell’espulsione con rinvio ad altra sezione della Corte d’assise d’appello di Roma".

Dunque, per quel che riguarda il trattamento sanzionatorio, la Terza Sezione penale di questa Corte non aveva posto in discussione la congruità della pena complessiva inflitta agli imputati, bensì solo la "specificazione", vale a dire l’indicazione della pena base ed i successivi aumenti per la continuazione, come chiaramente argomentato in proposito nella motivazione della sentenza di annullamento. Di tal che, non può trovare accoglimento la tesi difensiva secondo cui al giudice del rinvio sarebbe stata rimessa la rivalutazione della congruità della complessiva pena inflitta agli imputati dal primo giudice e confermata in secondo grado.

Ciò premesso, giova innanzi tutto ricordare quelli che sono i poteri del giudice nel giudizio rescissorio, in conseguenza di una sentenza di annullamento con rinvio. E’ stato affermato da questa Corte che nell’ipotesi di annullamento con rinvio per vizio motivazionale il giudice di rinvio è libero di determinare il proprio apprezzamento di merito mediante autonoma valutazione dei dati probatori e della situazione di fatto concernenti i punti oggetto dell’annullamento, pur essendo tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento (cosi, "ex plurimis", Sez. 3, 22 marzo 2000, Boccardo, RV 216343).

Orbene, nella concreta fattispecie, il giudice del rinvio, seguendo lo schema delineato dalla Cassazione nella sentenza di annullamento, ha individuato il reato più grave in quello di cui al capo B) – a sua volta comprensivo di ben due reati, vale a dire l’induzione alla prostituzione e lo sfruttamento della prostituzione – determinando la pena base in anni tre di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa per il reato di sfruttamento della prostituzione, ritenuto più grave perchè commesso con atti di violenza e reiterate e pressanti minacce; la Corte territoriale ha quindi operato, sulla pena base così determinata, un aumento di un anno di reclusione e di euro 2.000,00 di multa per il reato di induzione alla prostituzione, ed un ulteriore aumento di anni tre di reclusione per il reato di violenza sessuale. Il giudice dei rinvio ha quindi esattamente osservato il "dictum" di cui alla sentenza di annullamento in punto di specificazione della pena. Deve solo ancora rilevarsi l’infondatezza dell’assunto difensivo secondo cui la Corte distrettuale avrebbe ignorato la effettiva individuazione del reato più grave avendo equiparato la pena per il reato ritenuto più grave a quella del reato satellite; ed invero al riguardo basta evidenziare che: 1) il giudice del rinvio ha ritenuto più grave l’imputazione di cui al capo B) – in cui erano racchiusi due reati – e per tale addebito ha stabilito la pena (complessiva) di quattro anni di reclusione ed euro 7.000,00 di multa (tre anni di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa per lo sfruttamento della prostituzione, individuato quale reato più grave nell’ambito della contestazione sub B), ed un anno di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa per l’induzione alla prostituzione); 2) peraltro, per il solo sfruttamento della prostituzione sono stati inflitti tre anni di reclusione e 5.000,00 Euro di multa (trattandosi di reato punito con pena congiunta), pena dunque nel complesso più severa rispetto a quella di tre anni di reclusione inflitta per la violenza sessuale per la quale non è prevista la pena pecuniaria. Quanto poi alla disposizione di cui all’art. 187 disp. att. c.p.p., evocata dai ricorrenti, mette conto sottolineare che si tratta di norma che trova applicazione in sede di esecuzione ai fini della individuazione delle pene più gravi inflitte nel giudizio di cognizione in relazione al concorso formale o alla continuazione: "la norma dell’art. 187 disp. att. c.p.p. deve considerarsi espressamente e logicamente limitata all’esecuzione, perchè in fase esecutiva si può solo prender atto della valutazione compiuta dal giudice della cognizione, di modo che, per esaminare sentenze e decreti irrevocabili ai fini del concorso formale o della continuazione, non ci si può che riferire alle pene più gravi che siano state concretamente inflitte" (Sez. Un., 26 novembre 1997, p.m. in c. Varnelli); "In tema di applicazione dell’indulto a reati unificati con il vincolo della continuazione – sia nell’ipotesi in cui, in ragione del titolo, alcuni tra i reati unificati siano esclusi e altri compresi nel provvedimento di clemenza, sia nella diversa ipotesi in cui alcuni reati siano commessi prima e altri dopo il termine di efficacia previsto nel decreto di concessione del condono – il reato continuato va scisso al fine di applicare il beneficio a quei reati che vi rientrano, a meno che diverse disposizioni al riguardo siano dettate dal singolo provvedimento di clemenza" (Sez. Un, 24 gennaio 1996, Panigoni, RV 203975; conformi:

Sez. 1, 23.11.1993, Biscaro; Sez. Un., 15.1.1990, Fiorentini; Sez. 1, 29.10.2004, Palamara, RV 230059).

Parimenti infondata è la doglianza di vizio motivazionale relativamente all’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione, avendo la Corte distrettuale, in sede di rinvio, ed in ottemperanza alle indicazioni contenute nella sentenza di annullamento, ancorato il proprio convincimento a specifici e concreti indici di pericolosità, così testualmente argomentando:

"Questo giudizio prognostico deve essere fondato in primo luogo sulla particolare gravità e sulle modalità delle condotte ascrìtte ai due imputati, che si sono concretate in episodi di violenza e di minaccia ripetutisi in un arco di tempo non limitato e rivolti a più persone offese. Deve poi considerarsi la particolare intensità del dolo e la gravità del danno arrecato alle varie ragazze (tutte di giovane età), che sono state indotte a svolgere una squallida attività (con totale sfruttamento) e sono state anche più volte violentate sessualmente".

Al rigetto dei ricorsi segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *