Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di B.L. avverso l’ordinanza emessa in data 14/6/2007 dalla Corte d’Appello di Messina che respingeva la richiesta del medesimo B. volta ad ottenere l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione agli arresti domiciliari sofferta dal 2/12/2002 al 3/2/2003 per il delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
La Corte rigettava l’istanza, a norma dell’art. 314 c.p.p., comma 1, perchè alla detenzione aveva concorso a dare causa il ricorrente con colpa grave, rilevabile dal tenore di alcune criptiche conversazioni telefoniche con i coindagati P. e F.T., quest’ultimo organizzatore dell’associazione, verosimilmente riferite ad illecite cessioni di droga (specificamente alla cessione dall’istante al F. di cosa di natura non lecita, con relative partite di dare ed avere) elementi tutti desunti dalla sentenza assolutoria della quale veniva riportato uno stralcio che espressamente rilevava la sussistenza di un "verosimile rapporto di cointeressenza o di collaborazione" tra gli imputati (tra cui il B.) e F. T..
Denunzia il vizio motivazionale in relazione alla violazione dell’art. 314 c.p.p., comma 1 contestando che potesse essere ricavato alcun riferimento alla colpa grave dalla conversazione riportata a pag. 75 della sentenza assolutoria e richiamata nell’impugnata ordinanza.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso perchè venisse dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Il ricorso è infondato e va respinto.
In effetti, le censure mosse sono prevalentemente generiche, nonchè fondate sulle motivazioni della decisione assolutoria sebbene ad essa si sia rimenata la Corte territoriale alla stregua dell’orientamento di questa S.C. secondo il quale "nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del giudice della riparazione è ben diversa da quella del giudice del processo penale: il primo, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un "iter" logico-motivazionale del tutto autonomo, perchè è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento "detenzione" (Sez. Un. n. 43 del 1996).
A tal riguardo è stato affermato, altresì, che "per valutare la "colpa grave" che, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, esclude il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione previsto da detta norma, il giudice deve fondare la propria decisione su fatti concreti esaminando la condotta del richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà ed indipendentemente dalla conoscenza che il prevenuto abbia avuto dell’inizio delle indagini al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se la condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Cass. pen. Sez. 4^, 15.2.2007 n. 10987, Rv. 236508; Sez. 4^, 9.10.2007 n. 1577, Rv.
238663).
Ed è chiaro come il "rapporto di verosimile cointeressenza o collaborazione" (espressione molto attenuata, a fronte di quanto si evince dagli atti) con soggetti inseriti nell’illecito traffico di stupefacenti tra cui uno ( F.T.) avente persino ruolo apicale nell’organizzazione del sodalizio criminoso e dedito ad attività di cessione verso corrispettivo di sostanze stupefacenti (come da condanna emessa con la medesima sentenza che assolveva il B.) e la palese destinazione in favore del medesimo B. "di sostanza illecitamente detenuta e del relativo obbligo di pagamento" (nei confronti di altro coimputato condannato, tale A.M., al quale il F. invia il B.: pag. 84 sentenza), valga ad integrare ad abundantiam quel comportamento gravemente colposo che contribuì sensibilmente alla determinazione dell’Autorità giudiziaria di emettere il provvedimento restrittivo.
Ed anzi, la condotta sopra richiamata s’appalesa a tal fine ben più efficiente, in quanto parapartecipativa, di quelle "frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggetti va mente ad essere interpretate come indizi di complicità, quando non sono giustificate da rapporti di parentela", a dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione stessa (Cass. pen. Sez. 3^, 30.11.2007 n. 363, Rv. 238782).
Consegue il rigetto dell’impugnata ordinanza e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.