Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – Con ordinanza deliberata in data 23 giugno 2010, depositata in cancelleria il 24 giugno 2010, il Tribunale di sorveglianza di Catania rigettava il reclamo avanzato nell’interesse di B.A. G. avverso il provvedimento di espulsione dallo Stato emesso dal Magistrato di Sorveglianza di Siracusa in data 15 dicembre 2009 a seguito della condanna della Corte di Appello di Firenze in data 17 settembre 2008 ad anni due e giorni venti di reclusione per lesioni personali, cui non si era potuto dare esecuzione, in un primo momento, per mancanza di documenti identificativi. Il giudice riteneva la pericolosità sociale del soggetto attuale e grave in considerazione dei gravi precedenti giudiziari, dello stile di vita adottato e dalle condizioni di disoccupazione oltre che dall’utilizzo in passato di numerosi alias, mentre non vi era dimostrazione di una effettiva convivenza con la moglie (sposata nell'(OMISSIS)).
Inoltre veniva osservata la non applicabilità del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, trattandosi la disposta espulsione una misura di sicurezza e non una misura alternativa alla detenzione.
2. – Avverso il citato provvedimento ha personalmente interposto tempestivo ricorso per Cassazione B.A.G. chiedendone l’annullamento per i seguenti profili:
a) violazione ed erronea applicazione dell’art. 235 c.p., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 1, e art. 19, comma 2, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b); erra il giudice nel ritenere che il motivo ostativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, si applichi solo alle misure alternative alla detenzione e non anche alle misure di sicurezza ex art. 235 c.p., posto che il D.Lgs. è volto a disciplinare la condizione giuridica dello straniero in Italia se non disposto da specifiche disposizione di legge (e tale non può essere considerato l’art. 235 c.p.) compresa quindi l’ipotesi di espulsione come misura alternativa alla detenzione dettando le norme di cui al citato art. 19 disposizioni di carattere umanitario. b) manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c); il giudice non ha tenuto conto del fatto che il ricorrente dopo essersi sposato abita stabilmente a quello stesso indirizzo ove ha ricevuto le notifiche del presente procedimento. Dal 2007 ha inoltre dichiarato quale sia il suo vero nome sicchè non risponde al vero che egli abbia usato degli alias avendo esibito il proprio passaporto.
Motivi della decisione
3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
3.1 – Occorre preliminarmente rilevare, dando continuità a un principio di diritto già espresso da questa Corte di legittimità e che il Collegio condivide (Cass., Sez. 3, 3 febbraio 2010 n. 18527, Nabli e altro, rv. 246974), che la previsione secondo cui non è consentita l’espulsione degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge che siano di nazionalità italiana (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. e)) si applica a tutte le espulsioni giudiziali tra cui, senza dubbio, vi è la decisione del Tribunale di Sorveglianza, oggetto di ricorso, che ha applicato l’espulsione del condannato a titolo di misura di sicurezza.
Tale principio è ricavabile non solo dal testo letterale dell’art. 19 che esclude espressamente dal divieto di espulsione soltanto i casi previsti dall’art. 13, comma 1, vale a dire nella ricorrenza di motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, ma anche dai principi di diritto sanciti dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, (cui è stata data esecuzione in Italia con L. 4 agosto 1955, n. 848), secondo cui "ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza" nè "può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale o la protezione dei diritti e delle libertà altrui".
A ciò deve aggiungersi che il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5 ha recepito la Direttiva Europea 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare, modificando gli artt. 4, 5 e 13 del Testo Unico Immigrazione, stabilendo per il cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia di ricongiungersi con il familiare extracomunitario precedentemente espulso e quindi iscritto al SIS (Sistema Informativo Schengen) salvo che sia accertato che egli rappresenti una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato; tale normativa ha in concreto ribadito la ratio di salvaguardia umanitaria sottesa a tutta la disciplina dell’immigrazione.
3.2 – Tanto rilevato, se dunque erra il Tribunale nel ritenere la non applicabilità dei principi di cui all’art. 19, D.Lgs. citato anche alle misure di sicurezza in tema di espulsione del cittadino extracomunitario in posizione irregolare, tuttavia va osservato che non solo il provvedimento gravato motiva (in modo esaustivo l’attualità della pericolosità del soggetto, quale desumibile dal significato sintomatico della grave condanna patita e del fatto che siano stati da lui utilizzati durante tutta la sua cospicua biografia criminale nomi identificativi falsi, ma argomenta altresì, in modo immune da vizi logici e giuridici (ancorchè ad abuntantiam rispetto alla ritenuta non applicabilità del divieto sopra menzionato ex art. 19 cit.) sulla carenza dimostrativa della reale convivenza tra il ricorrente e la moglie, prova che neppure è stata adombrata in questa sede di legittimità.
E’ ben vero che il ricorrente (unitamente ad altre doglianze sviluppate nel merito e dunque in questa sede non ricevibili) sostiene di aver trasferito (dopo numerosi cambiamenti) il proprio domicilio (ove convivrebbe con la moglie) a (OMISSIS), ove è peraltro avvenuta la notificazione degli atti processuali, ma è anche certo che a tale indirizzo egli non ha mai ricevuto personalmente (e neppure la moglie) tali atti, (successivamente infatti ritirati in posta) mentre la notificazione dell’avviso della presente udienza è avvenuta presso il difensore ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, non essendo stato rinvenuto nessuno all’indicato indirizzo.
Nel ribadire che lo straniero, onde vantare una ostatività all’espulsione che lo attinge, deve dimostrare non solo di essere coniugato con un cittadino di nazionalità italiana, ma altresì che la convivenza con la stessa è concreta ed effettiva (e ciò quantomeno per evitare un uso strumentale della norma di salvaguardia) deve allora ribadirsi essere nella fattispecie mancante, come rilevato seppur incidentalmente dal giudice, il presupposto per attivare il ricongiungimento familiare in presenza oltretutto di una palese (e motivata) pericolosità residua del condannato.
4. – Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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