Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
rente, avv. PANSINI Gustavo, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. All’esito di giudizio ordinario il Tribunale di Latina con sentenza del 2.11.2001 dichiarava T.A. colpevole dei reati di: lesioni personali aggravate in danno di C.G.;
tentata estorsione continuata in danno dello stesso Ca. e del padre E., volta ad ottenere il rapido pagamento di assegni bancari in scadenza rilasciatigli dal primo a fronte di prestiti usurari ricevuti da esso T.; di minaccia ex art. 611 c.p. (così qualificata l’originaria accusa di violenza privata) per indurre C.G. a commettere il reato di false dichiarazioni al procedente p.m. (art. 371 bis c.p.), cui – esaminato il 23.1.1995 – negava alcun rapporto usurario con il T. e l’estraneità di tale rapporto all’aggressione subita ad opera dell’imputato il 19.1.1995, dalla quale riportava lesioni divenute oggetto, al pari della natura usuraria dei prestiti del T., della sua denuncia-querela presentata quello stesso giorno presso i Carabinieri di Fondi, denuncia-querela poi "ritrattata" il successivo 18.1.1995. Con la stessa sentenza il Tribunale dichiarava improcedibile per sopravvenuta prescrizione il concorrente reato di usura (art. 644 bis c.p.) ascritto all’imputato. Per l’effetto il T., unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, era condannato alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione e lire un milione di multa.
2. Giudicando sull’impugnazione del T., la Corte di Appello di Roma con sentenza pronunciata il 20.4.2004 ha confermato in punto di responsabilità la decisione di primo grado, dichiarando estinto per prescrizione il reato di lesioni aggravate e di conseguenza rideterminando la pena inflitta al prevenuto in tre anni e due mesi di reclusione ed Euro 413,00 di multa per i due reati di tentata estorsione continuata e di minaccia finalizzata alla commissione di un reato. In particolare i giudici di appello hanno considerato infondati i rilievi dell’appellante sulla legittimità delle contestazioni dibattimentali mosse, in sede di esame testimoniale, alla persona offesa C.G.sulla base dei contenuti della sua denuncia-querela del 15.1.1995, contestazione valutata consentita dal disposto dell’art. 500 c.p.p., commi 4 e 5 nel testo antecedente la novella normativa apportata con L. n. 63 del 2001. 3. Adita dal ricorso del difensore del T., questa Corte di Cassazione con sentenza del 24.2.2009 (Sezione 2A n. 10056/09) ha annullato con rinvio la decisione di appello, accogliendo il motivo di ricorso relativo alla violazione del divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali di p.g. di cui all’art. 195 c.p., comma 4.
Entrambe le sentenze di merito, infatti, hanno attribuito significativo peso probatorio alla testimonianza del maresciallo dei Carabinieri M.M. sul contenuto delle dichiarazioni orali raccolte dalla persona offesa C.G. in occasione sia della denuncia-querela presentata il 15.1.1995, sia della successiva remissione del 18.1.1995, traendo dalla stessa elementi dimostrativi della responsabilità del T. per i reati ascrittigli (effettività del tentativo di estorsione inerente al recupero di un credito usurario e minacce per far "ritirare" la querela e non rivelare agli inquirenti e al p.m. le reali circostanze connesse ai rapporti patrimoniali insorti con l’imputato). Questa Corte ha chiarito che, alla stregua della disposizione dettata dall’art. 195 c.p.p., comma 4, come novellata dalla L. 1 marzo 2001, n. 63, applicabile al processo nei confronti del T. (la sentenza di primo grado essendo successiva alla entrata in vigore della modifica normativa), la deposizione del maresciallo M. non avrebbe potuto essere utilizzata, di per sè sola, come fonte di prova surrogatoria delle dichiarazioni dibattimentali delle persone offese, i C. padre e figlio, modificative dei fatti esposti nell’originaria denuncia di C.G. del 15.1.1995. 4. Giudicando in sede di rinvio ex art. 627 c.p.p., la Corte di Appello di Roma con sentenza emessa il 15.1.2010 ha rigettato l’appello a suo tempo proposto dal T., condannandolo alla minore pena – dichiarato estinto per prescrizione il reato di lesioni volontarie aggravate – di tre anni e due mesi di reclusione ed Euro 800,00 di multa.
Ritenuta l’inutilizzabilità – per il principio di diritto enunciato dalla sentenza di annullamento di questa Corte in riferimento all’art. 195 c.p.p., comma 4 – delle dichiarazioni della p.o.
C.G., quali introdotte via mediata dalla testimonianza del maresciallo M., la Corte di Appello ha valutato utilizzabili le contestazioni effettuate in corso di esame ai sensi dell’art. 500 c.p.p., comma 5 (nel testo anteriore alla successiva modifica della disposizione ad opera della L. n. 63 del 2001) all’udienza del 18.12.1998 (tempus regit actum L. n. 63 del 2001, ex art. 26: tempo di assunzione della prova), imperniate sui contenuti del verbale di denuncia-querela "orale" del Ca. e delle sommarie informazioni rese nelle indagini da C. E.. Al riguardo la Corte territoriale si è richiamata alle considerazioni già svolte dalla sentenza del Tribunale, non specificamente censurate con l’appello, in tema di legittima acquisizione degli atti utilizzati per la contestazione (anteriori dichiarazioni dei due testimoni – pp.oo.). Tanto precisato, la decisioni di appello ha confermato la responsabilità del T. in base ai congiunti rilievi per cui:
a) C.G. non ha reso alcuna plausibile giustificazione delle precise e lineari accuse rivolte al T. nella sua denuncia del 15.1.1995, in cui riferiva di essere stato malmenato dall’imputato intenzionato a farsi pagare gli assegni a sua firma dopo il prestito usurario e di aver temuto le ulteriori ritorsioni del T. al punto di essersi per un certo periodo perfino allontanato da Fondi, temendo di poter essere ucciso; sicchè inverosimile si prospetta il successivo assunto dibattimentale di essersi "inventato" tutte le accuse in un momentaneo "stato d’ira", così come rimane illogico e vago l’asserito viaggio a Roma per giustificare la sua "fuga" da Fondi (non ha saputo neppure ricordare i nomi degli amici che sarebbe andato a trovare nella capitale);
b) in termini non diversi C.E., dopo aver dichiarato ai carabinieri (verbale di s.i.t.) di essere stato minacciato di morte con i suoi familiari dal T. a causa del debito non onorato dal figlio G., tanto che l’imputato lo ammonisce ricordandogli l’episodio di un giovane di Fondi ucciso anni prima per il più modesto debito di 700.000 lire, sostiene anche lui in dibattimento, in modo affatto inverosimile, di essersi "inventato" le evenienze riferite a verbale ai carabinieri, adducendo allusivamente di essere persona non adusa a essere minacciata da chicchessia.
5. Con il ministero del difensore T.A. ha proposto ricorso contro l’illustrata decisione di rinvio, confermativa della sua penale responsabilità per i reati di tentata estorsione e di minaccia ex art. 611 c.p.. Ricorso con il quale si deducono i seguenti due motivi di censura per violazione di legge ( art. 500 c.p.p., art. 627 c.p.p., comma 3; artt. 157 e 161 c.p.) e carenza ed illogicità della motivazione.
1. Con riguardo alle dichiarazioni rese da C.G. la Corte di Appello ha preso in considerazione, siccome impiegata per contestazioni nell’esame testimoniale, la iniziale denuncia-querela del C., poi rimessa o comunque "ritrattata" in dibattimento.
Un atto, cioè, non utilizzabile a fini probatori e neppure per le contestazioni ex art. 500 c.p.p., tanto più che la denuncia è stata in seguito smentita dallo stesso C., sia con la remissione (della querela) che con le sue dichiarazioni dibattimentali.
Delineando la non credibilità di queste ultime, la Corte fa prevalere un atto non utilizzabile per fini di prova su un atto che tale valore indubbiamente possiede (esame dibattimentale) e che costituisce, in definitiva, "l’unico atto processualmente valido esistente nel fascicolo per il dibattimento". Analoga operazione interpretativa è svolta dai giudici di appello per le dichiarazioni dibattimentali rese da C.E., cui è contestato lo specifico verbale di informazioni rese alla p.g. durante le indagini, assumendosi – senza il supporto di affidabili dati di riscontro – la maggior attendibilità delle affermazioni precedenti rispetto a quelle dibattimentali. Con tale modo di procedere all’analisi delle emergenze processuali i giudici di appello del rinvio hanno finito per eludere le indicazioni provenienti dalla sentenza di annullamento della S.C., reintroducendo, attraverso un altro surrettizio percorso, i contenuti delle inutilizzabili dichiarazioni de relato del maresciallo M..
2. In subordine la Corte di Appello di Roma avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione dei reati ascritti al T. per intervenuta prescrizione. Quanto meno del reato di cui all’art. 611 c.p., per il quale – diversamente dalla corretta operazione di calcolo compiuta dal giudice di primo grado – non è stata definita l’entità della pena fissata come incrementale nell’ambito della ritenuta continuazione.
6. Il ricorso di T.A. va respinto per l’infondatezza delle esposte doglianze.
A. Nella motivazione della decisione impugnata non è individuabile alcuna impropria elusione del dictum della sentenza di annullamento di questa S.C. ( art. 627 c.p.p., comma 3). I giudici del rinvio hanno escluso, infatti, dal percorso decisorio le indicazioni eteroaccusatorie indirette provenienti dalla deposizione del sottufficiale operante, valorizzate dalla precedente sentenza di appello annullata in sede di legittimità. Nondimeno hanno fatto corretto uso degli strumenti ermeneutici processuali, sviluppando il convincimento della responsabilità dell’imputato per i reati ascrittigli in chiave logico-deduttiva sulla base degli ulteriori elementi probatori desumibili, facendo applicazione del disposto dell’art. 500 c.p.p., comma 5, nel testo precedente la novella normativa del 2001, applicabile al momento dell’esperito esame testimoniale delle persone offese G. (per entrambi i reati) ed E. (per il solo tentativo di estorsione) Ca. per espressa previsione della L. n. 63 del 2001, art. 26, comma 3.
Legittimamente la Corte di Appello ha giudicato attinte da connotazioni probatoriamente inquinanti le dichiarazioni dibattimentali delle due persone offese attraverso la comparativa analisi delle loro divergenti dichiarazioni procedimentali e dibattimentali, resa possibile dalla dinamica delle contestazioni ex art. 500 c.p.p. effettuate dal p.m. (cfr., ex plurimis: Cass. Sez. 1, 9.5.2006 n. 29421, Arena, rv. 235103; Cass. Sez. 2, 14.1.2009 n. 5224, Zingale, rv. 243302).
Il raffronto, condotto con criteri di logicità e coerenza valutative e – quindi – non rivisitabile nel presente giudizio di legittimità, è stato condotto alla stregua dei "verbali" delle pregresse dichiarazioni rese alla p.g. dai due testimoni. Ciò vale per le affermazioni di Ca.Eg. alla luce del verbale di sommarie informazioni redatto il 15.1.1995 presso la stazione Carabinieri di Fondi. Ma vale altresì (v. Cass. Sez. 3, 8.10.2009 n. 48140, rv. 245414) per le affermazioni di C.G. alla luce del verbale di "ricezione di denuncia orale" redatto il 15.1.1995 presso lo stesso ufficio di p.g., con il quale egli espone personalmente, in termini ampi e dettagliati, la vicenda dei suoi rapporti con l’imputato T. a far data dal prestito che costui gli ha elargito per la sua attività di pescheria a tassi di rimborso certamente usurari ex art. 644 bis c.p.. Reato, questo, che opportunamente la Corte di Appello ricorda, nella sua disamina della regiudicanda, non essere stato affatto escluso dal panorama della complessiva illecita condotta del ricorrente, ma soltanto dichiarato estinto per prescrizione.
B. La sentenza di appello non ha commesso alcun "errore", al contrario di quel si deduce in ricorso, nella definizione della pena inflitta per i due reati per i quali è intervenuta condanna, essendosi limitata ad espungere dal calcolo della sanzione la sola porzione di pena relativa al reato di lesioni volontarie, dichiarato prescritto, confermando il calcolo compiuto dal giudice di primo grado in ragione dell’applicata continuazione non solo interna al più grave reato di tentata estorsione, ma altresì per il concorrente reato di cui all’art. 611 c.p..
Entrambi i reati attribuiti al ricorrente,poi, non sono raggiunti da causa estintiva per decorso del termine di prescrizione. Nel caso di specie è pacificamente applicabile la disciplina della prescrizione dettata dagli artt. 157 e 161 c.p. nel previgente testo anteriore alle modifiche normative introdotte con la L. n. 251 del 2005, atteso che il giudizio di primo grado e lo stesso grado di appello sono stati, rispettivamente, definito ed instaurato ben prima dell’8.12.2005, data di entrata in vigore del nuovo regime prescrizionale. Per tutti e due i reati è previsto, per tanto, un termine di prescrizione massimo (in difetto di eventuali circostanze attenuanti per il meno grave reato di minaccia ex art. 611 c.p.p.) pari a quindici anni. Tale termine, decorrente (per il reato di tentata estorsione) dal dicembre 1994 (1.12.1994), non è al momento spirato, dovendosi tener conto di un complessivo periodo di sospensione del termine pari ad un anno e sette mesi, ascrivibile a differimenti delle udienze del giudizio di primo grado dovuti ad astensioni collettive dei difensori dalle udienze penali indette dagli organismi di rappresentanza dell’avvocatura (udienze differite dal 23.9.1999 al 23.2.2000 e dal 23.2.2000 al 23.4.2001). Di tal che il termine di prescrizione dei due reati contestati al T. sarebbe virtualmente destinato a spirare solo alla data dell’1.7.2011.
Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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