Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. L.G. propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Perugia del 24 luglio 2008, che confermando quella di primo grado, ha ritenuto infondata la domanda di risarcimento danni dallo stesso proposta avverso l’ASR Umbria, USL n. (OMISSIS), e l’Azienda Ospedaliera di Perugia relativamente ai danni alla persona subiti a causa di un’errata diagnosi e di una conseguente inidonea cura della malattia che lo affiggeva. In particolare, secondo la Corte territoriale, la ritardata corretta diagnosi – provocante danno al ricorrente consistente almeno nel prolungamento della malattia – non fu dovuta a colpa dei sanitari, non essendo stato frutto di colpa il mancato riconoscimento della rarissima affezione presentata dal soggetto (TBC intestinale e del dorso della mano sinistra). Resiste con controricorso l’Azienda ospedaliera, deducendo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del ricorso.
2.1. Il ricorrente deduce col primo motivo violazione e(o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1176, 1218, 1228, 2236 e 2043 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. anche in combinato disposto con gli artt. 40 e 41 c.p. ed insufficiente motivazione e chiede alla Corte se "nel contratto di spedalità l’esatto adempimento debba valutarsi alla stregua del criterio controfattuale enucleato dalle Sezioni Unite Penali in tema di causalità e, dunque, se per l’effetto l’errore diagnostico per omesso esame conclusivo costituisca fatto causale comportante inadempimento contrattuale con discendente responsabilità per il sanitario e la struttura". 2.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per insufficiente motivazione, perchè la Corte territoriale, pur avendo debitamente individuato lo specifico inadempimento contrattuale, avrebbe dovuto fornire risposta al quesito, ma le motivazioni offerte a suffragio sembrano connotarsi di mera apparenza sebbene, anche questo, fosse un punto decisivo della controversia.
3. I motivi si rivelano inammissibili per inidoneità dei quesiti formulato alla fine del primo di essi e dell’assenza del "momento di sintesi" che avrebbe dovuto corredare il motivazionale dedotto nel secondo, come emerge chiaramente da quanto sopra riportato. Essi sono privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie: nel testo di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.
3.1. Il quesito, come noto, non può consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura cosi come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di Cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4, adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.
3.2.1. Non si rivela, pertanto, idoneo il quesito formulato alla fine del primo motivo proposto nel presente ricorso, dato che non contiene alcun riferimento in fatto nè espone chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, si esauriscono in enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U, 11.3.2008 n. 6420). Del resto, il quesito di diritto non può risolversi – come nell’ipotesi – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536).
3.3. Quanto al secondo motivo con cui si deduce un vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione, esso avrebbe dovuto indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (Cass. 17/7/2008 n. 19769, in motivazione). Orbene, nel caso con riferimento alla predetta censura con la quale viene denunziato un vizio di motivazione, il ricorrente formula un momento di sintesi secondo un modello difforme da quello normativamente delineato nei termini sopra esposti, sostanziandosi invero in meramente generiche ed apodittiche asserzioni non rispettose del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. La censura non reca, invero, la "chiara indicazione" del "fatto controverso" e delle "ragioni" che rendono inidonea la motivazione a sorreggere la decisione, l’art. 366 bis c.p.c., che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass. 18/7/2007 n. 16002). L’individuazione del denunziato vizio di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte, oltre che consistere in un’inammissibile "diversa lettura" delle risultanze probatorie, apprezzate con congrua motivazione nella sentenza impugnata.
4. Pertanto, il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza nel rapporto con la parte costituita si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in favore dell’Azienda ospedaliera in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.
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