Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
-1- L.A. propone, per il tramite del difensore, ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice di Pace di Firenze, del 21 ottobre 2009, che l’ha ritenuta colpevole del delitto di lesioni colpose in pregiudizio di C.L. e l’ha condannata alla pena di 1.500,00 Euro di multa.
Secondo l’accusa, condivisa dal giudice, l’imputata non ha custodito con le dovute cautele il proprio cane, che ha aggredito il C. che ha riportato, secondo la certificazione in atti, "ferita da morso di cane alla coscia sx", guarita entro 40 giorni.
Avverso tale decisione ricorre, dunque, l’imputata, che deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale in punto di affermazione della responsabilità.
-2- Il ricorso è manifestamente infondato.
Nel motivare le ragioni della decisione adottata, il giudice di pace ha rilevato che la stessa imputata: a) aveva precisato che il suo cane, incrocio tra un levriero afgano ed un lupo, era un cane da difesa che si metteva in allarme allorchè incontrava una persona con il volto poco visibile (nel caso di specie, il C. teneva il bavero del giubbotto alzato per ripararsi dal freddo), b) aveva ammesso che le era scivolato il dito sul guinzaglio estensibile, avendone, così, provocato l’allungamento, con conseguente impossibilità di controllare adeguatamente i movimenti dell’animale.
Tali circostanze sono legittimamente apparse al giudicante decisive e significative in tesi d’accusa, in quanto indicative della condotta negligente ed imprudente tenuta dall’imputata nella custodia di un animale dalle notevoli dimensioni e con le peculiarità caratteriali dalla stessa descritte. Giustamente, d’altra parte, lo stesso giudice ha rilevato che la circostanza che il cane fosse stato da poco operato ad una zampa non diminuiva il rischio di possibili reazioni davanti a sollecitazioni esterne, nè rendeva meno evidente la colpa dell’imputata e la sua negligenza nel controllarlo.
Orbene, a fronte di tale coerente argomentare, la ricorrente denuncia una inesistente violazione della legge penale per poi finire con il contestare il "percorso argomentativo" della motivazione, attraverso considerazioni in fatto non deducibili nella sede di legittimità e, in ogni caso, manifestamente infondate, laddove si nega qualsiasi comportamento colpevole e si sostiene che la responsabilità dell’imputata sarebbe stata affermata in relazione al mancato uso della museruola, asseritamente non obbligatorio. Affermazione che non corrisponde alla realtà, avendo il giudice del merito posto l’accento sulla complessiva gestione dell’animale, ritenuta imprudente e negligente, non solo per il mancato uso della museruola – dimostratosi, peraltro, necessario proprio alla luce della reazione avuta dal cane alla vista del C. – ma, più in generale, per l’insufficiente controllo dello stesso, esercitato con modalità tali che hanno permesso una pericolosa libertà di movimento all’animale che ne ha approfittato per aggredire il C..
E’ la stessa ricorrente, d’altra parte, a richiamare la giurisprudenza di questa Corte ed a sostenere che la fattispecie delittuosa oggi contestata può ritenersi integrata allorchè il proprietario dell’animale abbia violato elementari regole di prudenza; come è accaduto nel caso di specie, che ha visto l’imputata condurre imprudentemente un cane da difesa e di ragguardevoli proporzioni, irascibile in talune occasioni, senza museruola e con l’uso di un lungo guinzaglio che gli lasciava eccessive possibilità di movimento e che metteva a repentaglio l’altrui incolumità. Mentre la circostanza che l’animale fosse stato da poco operato e che fosse anziano non ne diminuiva, evidentemente, la pericolosità, bensì ne aumentava l’irascibilità e l’istinto reattivo sollecitato da fattori esterni.
Alla manifesta infondatezza dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
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