Cons. Stato Sez. IV, Sent., 22-06-2011, n. 3797 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso di primo grado l’odierna appellante impugnava il diniego opposto alla richiesta di rilascio del permesso di costruire (disp. Dirigenziale n.13822 U.T.C. del Comune appellato in data 10 luglio 2008) riguardante la realizzazione in contrada Santa Giuliana di un centro polifunzionale per attività sanitaria e direzionale.

Venivano impugnati con il medesimo ricorso vari atti presupposti; il PRG, anzitutto, seppure relativamente all’art.11 delle NTA ed all’omessa specificazione, in detta norma, degli standards urbanistici minimi nonché dei soggetti abilitati a realizzare le prescritte attrezzature necessarie di interesse pubblico ivi individuate.

Con motivi aggiunti la ricorrente impugnava;

la nota prot.n. 1519 del 13 luglio con cui la Provincia di Napoli comunicava al Comune di Frattamaggiore che con delibera di G.P. n. 492/07 si era preso atto della rinuncia da parte del Comune alla procedura di reiterazione dei vincoli ex art. 38 l.r. 16/04

il certificato di destinazione urbanistica.prot.n.18362 del 25.09.2008, rilasciato dal dirigente comunale in relazione al fondo della ricorrente, nella parte in cui si attestava che " "la perimetrazione del centro abitato di cui all’art. 2 l. r. 17/82 recepita nel P.R.G. include il fondo di sua proprietà, essendo quest "ultimo annoverato nella zona B1 "Nuovo Centro residenziale".

Il Comune resisteva in giudizio alle riferite impugnative chiedendone preliminarmente la declaratoria di inammissibilità.

Nel giudizio di primo grado si costituiva anche la Provincia di Napoli che resisteva alla deduzioni di parte ricorrente chiedendone il rigetto.

Con l’impugnata sentenza n. 1409/2009 entrambe le impugnative sopra riassunte venivano rigettate sul rilievo che la denegata edificazione non era in contrasto con il PRG atteso che il fondo della ricorrente era destinato, con vincolo confermativo, ad attrezzature collettive la cui disciplina veniva dettagliata dall’art. 11 delle NN.TT.AA.

Con l’appello in esame parte ricorrente in primo grado chiede la riforma della sentenza in epigrafe ravvisandovi, con l’utilizzazione di deduzioni che non si discostano sostanzialmente da quelle esposte in primo grado, violazione di legge ed eccesso di potere sotto molteplici profili; censure complessivamente sorrette dall’argomento della natura espropriativa delle prescrizioni di P.R.G. che interessano l’area in questione.

I soggetti pubblici costituitisi in primo grado per resistere hanno chiesto in questa sede l’integrale conferma della sentenza impugnata.

Il Comune a tale richiesta ha aggiunto la contestuale proposizione di appello incidentale per contestare la parte della sentenza impugnata che ha denegato l’eccepita carenza d’interesse alla proposizione del ricorso introduttivo del giudizio.

All’udienza del 10 maggio 2011 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.

Le censure con esso dedotte, la cui intima connessione le rende suscettibili di congiunto e complessivo esame, non evitano che l’appello debba essere respinto.

Al riguardo va preliminarmente rilevato che il Comune appellato nel giudizio di primo grado ha depositato il certificato di destinazione urbanistica prot. n. 18362 del 25.09.08 ove viene asseverato che il fondo dell’appellante sig.ra L., oggetto del denegato intervento edilizio e nel quale essa intende realizzare tre edifici polifunzionali di cui uno da adibire a struttura sanitaria e gli atri due da adibire ad uffici e commercio, è disciplinato dalle seguenti prescrizioni;

a) quanto alla perimetrazione del Piano generale, ricade all’interno della zona edificata urbana, e precisamente in zona B1 del vigente P.R.G., denominata "Nuovo Centro Residenziale" con specifica zonale ad attrezzature di interesse pubblico,sub specie ad attrezzature scolastiche, di interesse comune e parcheggi pubblici;

b) si applica a detto fondo la disciplina dettata dall’art. 11 delle NTA, secondo cui "… Le attrezzature in aggiunta a quelle minime fissate dalla vigente in materia possono essere realizzate da soggetti diversi dalla P.A. previa convenzione con il Comune;

c) la medesima area libera della sig.ra L. fa parte di un vasto comprensorio zonale interamente vincolato ad attrezzature di interesse pubblico;

d) in relazione alle attrezzature di interesse comune che interessano, il PRG prevede 18,00 mc/ab. come standard minimi ex 1444/1968 (4,50 per le attrezzature scolastiche; 2,50 per i parcheggi; 2 per le attrezzature di interesse comune; 9,00 per il verde attrezzato), che sono di stretta ed esclusiva cura della P.A.; prevede anche 6,36 mc/ab. come standard eccedenti quelli minimi, realizzabili, ex art. 11 NTA del PRG, anche dall’iniziativa privata previa convenzione con il Comune; in particolare, 0,99 per le attrezzature scolastiche; 3,09 per i parcheggi; 1,61 per le attrezzature di interesse comune; 0.67 per il verde attrezzato, gioco e sport;

e) nessuno dei predetti standards eccedenti quelli minimi è stato realizzato.

Riveste rilievo decisivo nella presente controversia stabilire se le prescrizioni che riguardano il fondo dell’appellante hanno carattere espropriativo, come essa ritiene o soltanto conformativo, come invece ritiene il Comune di Frattamaggiore; in questo secondo caso occorre stabilire anche se gli standards eccedenti quelli minimi realizzabili previa convenzione, sono effettivamente realizzabili in base alle prescrizione del Piano che li riguarda.

Appare allora opportuno premettere alcune considerazioni in ordine alla differenza fra vincolo "espropriativo" e vincolo "conformativo", ai fini della corretta qualificazione giuridica della fattispecie dedotta in giudizio, per poter poi stabilire se, nel caso che occupa, sussista o meno l’illegittimità del diniego impugnato del permesso di costruire adottato dal Comune di Frattamaggiore.

I criteri di individuazione dei vincoli espropriativi o di inedificabilità assoluta, rispetto ai vincoli conformativi, sono stati elaborati con le sentenze della Corte Costituzionale 20 maggio 1999, n. 179 e 18 dicembre 2001, n. 411, ma anche con la più recente sentenza 9 maggio 2003 n. 148, nella parte in cui si riferiscono a vincoli scaduti, preordinati all’espropriazione o sostanzialmente espropriativi, senza previsione di durata e di indennizzo.

In base ai suddetti criteri nonché a quelli elaborati dalla giurisprudenza amministrativa formatasi in relazione all’art. 2 della legge n. 1187 del 1968, i vincoli di piano regolatore, ai quali si applica il principio della decadenza quinquennale, sono soltanto quelli che incidono su beni determinati, che sono preordinati all’espropriazione ovvero che hanno carattere sostanzialmente espropriativo, tali da determinare l’inedificabilità dei beni colpiti e, dunque, lo svuotamento del contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero da diminuirne in modo significativo il valore di scambio (ex plurimis: Cons. Stato, Sez.V, n. 3 del 3.1.2001 e n. 745 del 24.2.2004), con conseguente violazione sostanziale del III° comma dell’art. 42 Cost.

Tali indicazioni possono valere anche con riferimento all’attuale sistema, che, con l’art. 9, commi 3 e 4, del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, entrato in vigore il 30 giugno 2003, ha soltanto esplicitato con una diversa terminologia la regola della durata quinquennale, disciplinando espressamente gli istituti della decadenza e della reiterazione.

Invece, la previsione di una determinata tipologia urbanistica non configurante né un vincolo preordinato all’espropriazione né l’inedificabilità assoluta, essendo una prescrizione diretta a regolare concretamente l’attività edilizia, inerisce alla potestà conformativa propria dello strumento urbanistico generale, la cui validità è a tempo indeterminato, come espressamente stabilito dall’art. 11 della legge 17 agosto 1942 n.1150.

Si parla, in tal caso, di vincoli urbanistici di tipo "conformativo", per indicare i vincoli relativi ai beni culturali e paesaggistici, posti direttamente dalla legge ovvero mediante un particolare procedimento amministrativo a carico di intere categorie di beni, in base a caratteristiche loro intrinseche, con carattere di generalità ed in modo obiettivo: tali limitazioni delle facoltà del proprietario ricadono nella previsione non del comma terzo, bensì del comma secondo, dell’art. 42, Cost. e non sono indennizzabili.

In proposito, la precitata sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1999, al punto 5 della parte in diritto, ha precisato che "sono al di fuori dello schema ablatorioespropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblicoprivata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento".

Pertanto, i limiti non ablatori normalmente posti nei regolamenti urbanistici o nella pianificazione urbanistica e relative norme tecniche, riguardanti altezza, cubatura, superficie coperta, distanze, zone di rispetto, indici di fabbricabilità, limiti e rapporti per zone territoriali omogenee e simili, sono vincoli conformativi, connaturali alla proprietà, e non comportano indennizzo.

Inoltre, se pure hanno carattere particolare, i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento (ad es. parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, zone artigianali, industriali o residenziali), sfuggono allo schema ablatorio, con le connesse garanzie costituzionali in termini di alternatività fra indennizzo e durata predefinita.

Se è vero, infatti, che la previsione dell’indennizzo è doverosa non soltanto per i vincoli preordinati all’ablazione del suolo, ma anche per quelli "sostanzialmente espropriativi" (secondo la definizione di cui all’art. 39, comma 1, del precitato D.P.R. 327/2001), è anche vero che non possono essere annoverati in quest’ultima categoria, quei vincoli derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato (cfr., ex multis, Cons. St., IV, 28 febbraio 2005, n. 693; VI, 14 maggio 2000, n. 2934; Cass. Civ., I, 26 gennaio 2006, n. 1626 e 27 maggio 2005, n. 11322).

Ciò, in quanto la disciplina urbanistica che ammette la realizzazione di interventi edilizi da parte di privati, seppur conformati dal perseguimento del peculiare interesse pubblico che ha determinato il vincolo, non si risolve in una sostanziale espropriazione, ma solo in una limitazione, conforme ai principi che presiedono al corretto ed ordinario esercizio del potere pianificatorio, dell’attività edilizia realizzabile sul terreno.

Pertanto, siffatta categoria di vincoli, non avendo un contenuto sostanzialmente espropriativo, ma derivando dal riconoscimento delle caratteristiche intrinseche del bene, nell’ambito delle scelte di pianificazione generale, risulta determinata nell’esercizio della potestà conformativa propria dello strumento urbanistico generale, per cui ha validità a tempo indeterminato, come espressamente stabilito dall’articolo 11 della legge 1150/1942.

Quanto all’obbligo dell’indennizzo, occorre precisare che il problema della temporaneità e della conseguente indennizzabilità della protrazione dei vincoli urbanistici si può porre solo nei confronti dei vincoli preordinati all’espropriazione o sostanzialmente ablativi: restano, di conseguenza, fuori dai problemi enunciati tutti gli altri vincoli attinenti a destinazioni non coinvolgenti l’esecuzione di opere pubbliche, ma rimessi alla iniziativa (anche concorrente) dei singoli proprietari (come il verde condominiale e gli accessi privati pedonali), trattandosi di vincoli meramente conformativi.

In questa duplice e correlata prospettiva, si può ritenere, in via generale, ad esempio, che le destinazioni relativamente alle zone F del D.M. n.1444/1968, possono essere anche interpretate, se non accompagnate da alcuna altra specificazione o limitazione, nel più generale senso della assentibilità di interventi tanto pubblici quanto privati, con l’unico limite della destinazione di quanto realizzato ad un uso, appunto, "collettivo", poiché il detto D.M. (che, com’è noto detta le linee guida per la suddivisione del territorio comunale in zone territoriali omogenee, da operarsi nel P.R.G.) afferma che, con la lettera F, debbono essere indicate "le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale".

In effetti, in linea generale, le opere di interesse generale costituiscono una categoria logicogiuridica nettamente differenziata rispetto a quella delle "opere pubbliche", poiché si riferiscono a quegli impianti ed attrezzature che, sebbene non destinate a scopi di stretta cura della pubblica Amministrazione, sono idonei a soddisfare bisogni della collettività, ancorché vengano realizzate e gestite da soggetti privati: in tale ambito, ci si riferisce a supermercati, strutture alberghiere, stazioni di servizio, banche, discoteche, etc. (cfr. Cons. di Stato sez. V, n° 405 del 23.3.1993; Cons. di Stato sez. V, n. 268 del 27.4.1988; Cons. di Stato sez. V, n. 1000 dell’11.7.1975; T.A.R. Campania – Napoli n. 6604 del 23.10.2002; T.A.R. Puglia – Bari n. 4632 del 21.10.2002; T.A.R. Puglia – Bari n. 1157 del 28.2.2002; T.A.R. Basilicata n. 288 del 21.10.1996; T.A.R. Campania -Napoli n. 180 del 22.5.1990; T.A.R. Lombardia – Brescia n. 693 dell’8.9.1987; T.A.R. Piemonte n. 321 del 29.10.1984).

Nel caso di specie, risulta che il fondo di proprietà della sig.ra L., ha la destinazione che si è in precedenza veduta nel riportare il contenuto del certificato di destinazione urbanistica.

Applicando i già ricordati principi al caso di specie, discende che le destinazioni a zona pubblica per attrezzature di pubblico interesse ne discende, avuto particolare riguardo alla realizzabilità anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, la sua non sussumibilità nello schema ablatorio, ma, piuttosto, nella tipologia dei vincoli urbanistici di tipo "conformativo", che non pongono particolari limitazioni alle facoltà del proprietario, riconducibili, come tali, alle previsione non del comma terzo, bensì del secondo comma, dell’art. 42, Cost..

Conseguentemente, tale normazione di zona non può che avere validità a tempo indeterminato, come espressamente stabilito dall’art. 11 della legge 17 agosto 1942 n.1150.

Conclusivamente, nella specie, si deve ritenere che, il fondo di proprietà del ricorrente, non risulta gravato da vincolo preordinato all’espropriazione.

Quanto alla contestazione di parte appellante relativa all’assenza di concreta possibilità del convenzionamento privato, è sufficiente osservare in contrario, a prescindere dalla considerazione che la sola previsione della possibilità del convenzionamento è sufficiente ad escludere la natura espropriativa del vincolo, che la presenza di standard minimi realizzati dal Comune al momento della elaborazione del PRG pari 7,3 mq/abitante, e dunque in misura inferiore a 18 mq/ab. di cui al d.m. 1444/1968, non interferisce affatto sulla possibilità che l’iniziativa privata possa autonomamente intraprendere la realizzazione diretta delle attrezzature che è ancora possibile realizzare e che rientrano negli standards eccedenti quelli minimi la cui realizzazione è compito esclusivo del Comune.

Gli standards per attrezzature collettive sono distinti da quelli minimi che riguardano essenzialmente opere pubbliche e sono oggetto della prescritta possibilità di convenzionamento in base alla quale l’appellante potrebbe realizzarle utilizzando il rapporto 6,36 mq/ab, per il quale il proprio fondo non è contestato che sia capiente.

Infine, anche ad ammettere che il vincolo che grava sul fondo dell’appellante sia di natura espropriativa, e dunque, come si sostiene, decaduto per decorso del quinquennio ex art.2 l.n.1187/1968, comunque quest’ultima potrebbe beneficiare della realizzazione del progetto produttivo respinto dal Comune. e riguardante di "n. 3 edifici polifunzionali di cui uno da adibire a struttura sanitaria, e gli altri due da adibire ad uffici e commercio".

Ciò ove si consideri che la sua localizzazione ricade senza dubbio all’interno del centro storico; localizzazione che parte appellante nonostante il certificato di destinazione urbanistica in atti contesta, senza però dimostrare alcunché in ordine a quanto afferma.

L’assimilazione per effetto della decadenza dell’efficacia quinquennale del vincolo espropriativo com’è noto, dell’area interessata a "zona bianca", comporta l’applicazione dell’art. 4, u.c., l. 10/1977, (oggi l’art. 136 d..p.r. 38012001) e nella Regione Campania dell’art. 38 1.r. 16/04, in combinato disposto con l’art. 4 l.r.17/82, come modificato dal comma 2 dell’art. 9 1.r. n. 1512005.

In forza del citato art. 38 l.r. n.16/2004, in linea con quanto prevede la normativa nazionale (art.9 d.p.r. 380/2001) nelle aree poste all’interno del centro storico sono consentiti meri interventi conservativi del preesistente edificato; mentre nella aree poste all’esterno del centro storico va rispettato il limite fondiario di 0,03 mc./mq. per l’edificazione a scopo residenziale e, quanto agli edifici o complessi produttivi, l’ulteriore limite massimo, più severo di quello nazionale, di 1/6 di copertura dell’area di proprietà.(Cons.Stato sez.IV, n.679/2009)

A prescindere quindi dalla natura conformativa del vincolo che ricade sull’area dell’appellante, quest’ultima in forza del descritto quadro normativo urbanistico di riferimento, con il progetto anzidetto, si pone di raggiungere un obiettivo oggettivamente irrealizzabile.

Nè risponde al vero che la realizzazione di impianti o insediamenti produttivi può avvenire senza limiti di cubatura.posto che, come chiarito anche di recente da questa Sezione l’edificazione a fini produttivi deve osservare, cosa che non avviene con il progetto per cui è causa, il doppio limite sopra indicato, sia volumetrico che superficiatario (v.sent. del C.d.S. Sez. IV, citata).

Per effetto del rigetto dell’appello principale, e della conferma della sentenza di primo grado non occorre addentrarsi nell’esame dell’appello incidentale condizionato proposto dal Comune di Frattamaggiore.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue per entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto,.conferma la sentenza impugnata.

Condanna la parte appellante al Pagamento delle spese del doppio grado che si liquidano in complessivi euro 5.000,00 di cui euro 3,500,00 in favore del Comune di Frattamaggiore e di euro 1.500,00 in favore della Provincia di Napoli

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere, Estensore

Raffaele Greco, Consigliere

Guido Romano, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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