CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 22 luglio 2010, n.17216 EQUITAZIONE = ATTIVITÀ PERICOLOSA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. in relazione all’art. 2050 c.c., non avendo la Corte d’Appello rilevato l’assenza della prova liberatoria che gravava sul gestore del maneggio.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. 2050, 2052 c.c. in relazione alla valutazione dell’onere della prova.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2050 c.c. nonché la nullità della sentenza e il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla mancata pronunzia di condanna del gestore del maneggio presso il quale avvenne il fatto.

Tutti e tre i motivi vanno trattati congiuntamente, in quanto tra loro connessi.

Osserva la Corte che tanto in primo che in secondo grado, l’attività svolta presso il maneggio era da qualificare come “pericolosa” ai sensi dell’art. 2050 c.c., conformemente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, che ha precisato che tale disciplina è da applicare quando si verta in tema di danni conseguenti a esercitazioni di un principiante o di allievi giovanissimi (il C., all’epoca omissis, era un principiante, frequentava il maneggio da circa due mesi e aveva preso una decina di lezioni) quindi non in grado di governare le imprevedibili reazioni dell’animale (in tal senso: Cass. 19 giugno 2008 n. 16637; Cass. 9 marzo 2010 n. 5664). Sul punto, la valutazione dei giudici del merito appare adeguata e corretta e si sottrae ad ogni censura sul piano del presente giudizio di legittimità.

È quindi applicabile la presunzione prevista dalla norma di cui all’art. 2050 c.c., che prevede l’obbligo per il gestore della attività pericolosa di risarcire il danno a meno che non provi di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. La valutazione della Corte territoriale, secondo la quale “esiste un margine di rischio, ineliminabile, che chi frequenta un maneggio, accetta preventivamente”, non può trovare spazio nella disciplina in esame, dovendosi unicamente verificare se il titolare della attività pericolosa abbia in concreto fornito la prova liberatoria prevista dall’ultima parte dell’art. 2050 c.c.

La sentenza impugnata deve essere quindi cassata sul punto, perché il giudice del rinvio effettui la verifica di cui sopra.

Le spese del presente giudizio di cassazione saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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