Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza dell’11 marzo 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza del 15 gennaio 2008 che aveva condannato C.A. per il delitto di diffamazione a mezzo stampa in danno di M.D., commesso il (OMISSIS) a mezzo della pubblicazione di un articolo sul giornale "(OMISSIS)". 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C., il quale lamenta, a mezzo del proprio difensore, una erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) nonchè la mancanza o illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) con particolare riferimento alla mancata affermazione dell’esistenza della scriminante del diritto di cronaca, alla insussistenza del reato per la mancata indicazione del nominativo della parte offesa nel corpo dell’articolo giornalistico nonchè, infine, alla ritenuta eccessività della pena inflitta.
3. E’ stata, altresì, depositata memoria nell’interesse della parte civile.
Motivi della decisione
1. Il ricorso non è da accogliere.
2. Quanto al primo motivo, è nota la giurisprudenza di questa Corte che ha posto in evidenza come il corretto esercizio del diritto di cronaca giornalistica comporti il rispetto di alcuni parametri, ormai solidamente individuati nella verità della notizia, nella rilevanza sociale della stessa e nella continenza espressiva (v. da ultimo, Cass. Sez. 5, 4 novembre 2010 n. 44024).
E ancora, si è rilevato come sia configurabile la scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto l’onere di esaminare, controllare e verificare la notizia, in modo da superare ogni dubbio, non essendo, a tal fine, sufficiente l’affidamento ritenuto in buona fede sulla fonte (v. da ultimo, in tema di cronaca giudiziaria ma con principio valido anche per la cronaca normale, Cass. Sez. 5, 5 marzo 2010 n. 23696 e 9 aprile 2010 n. 27106).
Tutto ciò premesso in diritto si osserva, questa volta in fatto secondo quanto accertato dalla Corte territoriale con motivazione immune da vizi logici, come la notizia, riportata nell’articolo giornalistico in contestazione, circa il rifiuto della maestra di sostegno del ragazzo disabile di consentire la partecipazione dello stesso ad una gita scolastica non fosse vera (v. pagine da 2 a 4 della motivazione).
Dagli atti di causa si evince, altresì, come l’imputato nulla abbia fatto per dimostrare, in ipotesi, l’esistenza della prescritta attività di controllo e di verifica della bontà della notizia onde superare, questa volta in via putativa, la sua non veridicità. 3. Quanto al secondo motivo di ricorso giova premettere, anche questa volta in punto di diritto, come, effettivamente, condizione essenziale per attribuire ad una offesa rilevanza giuridica penale sia la individuazione dell’effettivo destinatario della stessa.
Nel delitto di diffamazione a mezzo stampa, però, l’individuazione del soggetto passivo pur in mancanza di una indicazione specifica, ovvero di riferimenti inequivoci a circostanze e fatti di notoria conoscenza, la cui attribuzione sia rivolta ad un soggetto indubbiamente individuabile, deve dedursi dalla stessa prospettazione dell’offesa.
Trattasi di un criterio obbiettivo, che ben si concilia con la struttura e la ratio della previsione normativa e non può essere sostituito con intuizioni o soggettive congetture che possono essere fatte da chi sia consapevole, a fronte di una generica offesa, di poter essere uno dei destinatari della stessa, se dalla pubblicazione dell’accusa denigratoria non emergono circostanze e fatti di notoria conoscenza, obiettivamente idonei alla sua individuazione e attribuzione soggettiva (v. la pacifica e non minoritaria giurisprudenza di questa stessa Sezione, Cass. Sez. 5, 8 luglio 2008 n. 33442 e 5 dicembre 2008 n. 11747).
Anche questa volta, sulla base delle dianzi evidenziate considerazioni, la Corte territoriale ha logicamente fatto discendere l’individuazione del soggetto leso dall’articolo diffamatorio dalle circostanze che esso fosse l’unico insegnante di sostegno della scuola elementare di (OMISSIS) nonchè l’unico assessore ai servizi sociali del Comune.
4. La dosimetria della pena è anch’essa immune da censure in quanto, da un lato, non sono stati superati i limiti edittali e, d’altra parte, il contenimento della pena nei suoi minimi e con la concessione delle attenuanti generiche prevalenti alla contestata aggravante rende del tutto pretestuosa la doglianza avanzata sul punto dal ricorrente.
5. Il ricorso va, in conclusione, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè ala rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.250 per onorari, oltre accessori come per legge.
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