T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 30-06-2011, n. 5733

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con il ricorso meglio indicato in epigrafe la Società Tantra Italia S.r.l. ha impugnato la determinazione dirigenziale n. 371 dell’8 marzo 2005 del Municipio II del Comune di Roma con la quale si è rigettata l’istanza tesa ad ottenere la voltura dei tassabili apposti all’esterno del locale sito in Via Flaminia n. 390 ang. Via Frà Giocondo n. 2. In particolare si tratta della voltura di una insegna luminosa e più precisamente della voltura "per n. 1 disco luminoso posto ad angolo tra Via Flaminia e Via Frà Giocondo di m. 0,80×0,60 con il seguente messaggio pubblicitario PIZZERIA FORNO A LEGNA in quanto posto su parapetto del balcone ed inoltre aggetta di oltre cm. 15 dalla facciata dell’edificio (art. 6, lett. a) e lett. e) punto c) della delibera del C.C. 260/1997)" (così, testualmente, per quel che si legge nelle premesse del provvedimento impugnato e prodotto in atti.

Sostiene la Società ricorrente che il Comune di Roma sarebbe incorso in un grossolano errore, respingendo l’istanza proposta sulla scorta di un solo asserito contrasto tra le dimensioni dell’insegna di cui alla richiesta di voltura e le prescrizioni normative comunali applicate in quanto attualmente in vigore, senza tenere in alcun conto la memoria presentata dalla medesima Società istante nel corso del procedimento, nella quale si chiariva che "il disco luminoso in questione era rimasto nella struttura assolutamente immutato per dimensioni e collocazione e che non poteva avere rilevanza la sopravvenienza di un presunto limite" (così, testualmente, alle pagg. 2 e 3 del ricorso introduttivo) normativamente creato da una deliberazione comunale varata successivamente rispetto al momento del rilascio dell’autorizzazione originaria.

In ragione di tali evidenti illegittimità la Società ricorrente chiedeva il giudiziale annullamento del provvedimento impugnato.

2. – Si è costituito in giudizio il Comune intimato contestando analiticamente le avverse prospettazioni e chiedendo, sul presupposto della legittimità del provvedimento impugnato e del corretto comportamento assunto dagli Uffici nella specie, la reiezione del gravame.

In particolare la difesa comunale sottolineava come gli Uffici avessero soltanto fatto applicazione delle disposizioni introdotte nel settore oggetto del contenzioso dalla delibera consiliare n. 260 del 1997, non ancora vigente al momento del rilascio dell’autorizzazione originaria, ma necessariamente applicabile nel momento in cui, presentata la domanda di voltura, l’Amministrazione ha dovuto valutare la compatibilità dell’insegna luminosa alla luce delle prescrizioni normative che al momento regolano il rilascio delle autorizzazioni in materia.

Con ordinanza n. 3053 dell’8 giugno 2005, questo Tribunale ha accolto l’istanza cautelare proposta dalla parte ricorrente sul presupposto che l’attività che avrebbe dovuto svolgere l’Ufficio competente corrispondeva ad una "semplice voltura di precedente autorizzazione priva di contenuto discrezionale".

All’udienza pubblica del 23 febbraio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

3. – Sostiene la Società ricorrente che la motivazione del provvedimento impugnato non può legittimamente assistere la decisione negativa assunta dal Comune con riferimento alla richiesta di rilascio della voltura per una insegna luminosa già a suo tempo autorizzata dal medesimo Comune. Peraltro gli Uffici, nell’adottare il provvedimento negativo che qui si impugna, non hanno tenuto in alcun conto le osservazioni ritualmente presentate dalla Società, nelle quali erano adeguatamente chiarite le ragioni di fatto e giuridiche che rendevano implausibile non autorizzare la richiesta voltura.

Controdeduce l’Amministrazione comunale che, indipendentemente dalla circostanza che l’esposizione dell’insegna luminosa fosse stata regolarmente autorizzata alla dante causa della Società Tantra con ordinanza sindacale n. 59 del 28 febbraio 1984, l’aver avanzato istanza di voltura dell’autorizzazione costituiva una richiesta dalla quale necessariamente prendeva avvio un nuovo procedimento che imponeva la verifica attuale della legittimità, anche sotto il profilo delle dimensioni, del mantenimento in vita dell’autorizzazione. Dal momento che la sopravvenuta deliberazione consiliare n. 260 del 1997 impone che le insegne con lettere e disegni non possono "superare l’altezza massima di cm 60 e la sporgenza di cm 15 dalla facciata degli edifici" e verificata la inadeguatezza dell’insegna luminosa in questione rispetto ai criteri sopra riprodotti, indipendentemente dal contenuto delle osservazioni presentate dagli odierni ricorrenti nel corso della procedura, il dirigente del competente Ufficio non poteva che respingere l’istanza, disponendo altresì la rimozione del "tassabile".

4. – Osserva il Collegio che la richiesta di voltura di una autorizzazione già rilasciata provoca l’avvio di una procedura ove l’esercizio del potere da parte dell’Amministrazione competente è di tipo vincolato, non potendosi confondere tale intervento modificativo del titolare dell’autorizzazione (già a suo tempo rilasciata) con l’esercizio del potere di rilascio di (una nuova) autorizzazione che costituisce tipicamente attività discrezionale.

Analogamente per quel che avviene nell’ambito dell’edilizia – ambito nel quale la giurisprudenza ha chiarito come la voltura di un permesso di costruire non dà luogo ad altro che a una novazione soggettiva del rapporto, in particolare essa non implica il rilascio di un nuovo e autonomo titolo edilizio e non richiede né presuppone pertanto una nuova verifica in ordine alla compatibilità del progetto con la normativa urbanisticoedilizia ma solo una verifica, a contenuto non discrezionale, in ordine alla trasferibilità del titolo ai successori (cfr., tra le altre, T.A.R. Lazio, Latina, 12 gennaio 2010 n. 3 e T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 15 febbraio 2007 n. 276); e infatti, ai fini della validità e efficacia della concessione edilizia è persino irrilevante che si proceda a voltura nel senso che l’attività edificatoria può essere realizzata sia dal proprietario del suolo, titolare della relativa concessione, sia dai suoi successori od aventi causa, onde non è necessaria la voltura del titolo concessorio per legittimare la realizzazione delle opere autorizzate da questi ultimi (cfr., in tal senso, T.A.R. Marche, 14 maggio 2008 n. 266) – anche in materia di rilascio di titoli abilitativi inerenti l’attività di commercio la richiesta della voltura dell’autorizzazione non implica il riesercizio del potere discrezionale attivato al momento del rilascio dell’atto autorizzativo, ma solo un accertamento, di natura vincolata, avente ad oggetto l’individuazione del nuovo intestatario dell’autorizzazione e la verifica del possesso in capo ad esso dei requisiti soggettivi per poter svolgere l’attività descritta nell’autorizzazione a suo tempo rilasciata ad altro intestatario.

Del resto, qualora la disposizione, anche regolamentare (come è, nel presente caso, la prescrizione della delibera del Consiglio comunale n. 260 del 1997 richiamata nel provvedimento impugnato dalla Società ricorrente), che stabilisce nuove prescrizioni per il rilascio dell’autorizzazione in un determinato settore (nella specie commerciale), intenda imporre l’applicazione delle nuove regole alle autorizzazioni già rilasciate, dovrebbe prevedere tale retrodatazione normativa espressamente, motivando puntualmente ed attentamente tale grave ed eccezionale portata retroattiva, imputandone peraltro le adeguate ragioni a motivi di sopravvenuto superiore interesse pubblico (rispetto al buon diritto degli autorizzati di far valere la posizione acquisita con il rilascio, a suo tempo, dell’autorizzazione) pena l’indiscutibile illegittimità della norma.

5. – Sotto il profilo normativo, d’altronde (e tenuto conto che le precisazioni che seguono non sono riferibili ratione temporis ai fatti per i quali è controversia, ma che comunque ben possono qui essere richiamati nella sola veste di elementi di conferma rafforzativa delle suesposte valutazioni), il sopra esposto indirizzo interpretativo trova piana aderenza alle prescrizioni contenute, proprio in materia di attività commerciale, nelle disposizioni dell’art. 64 del decreto legislativo 26 marzo 2010 n. 59 (decreto recante le norma di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno).

La disposizione in questione, nello stabilire le modalità di rilascio dei titoli abilitativi nell’ambito dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande (perfettamente calzante al caso di specie, svolgendo la ricorrente attività di ristorazione), al comma 1 precisa che: "L’apertura degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, di cui alla legge 25 agosto 1991, n. 287, è soggetta ad autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio. Il trasferimento di sede e il trasferimento della gestione o della titolarità degli esercizi di cui al presente comma sono soggetti a dichiarazione di inizio di attività da presentare allo sportello unico per le attività produttive del comune competente per territorio, ai sensi dell’articolo 19, comma 2, rispettivamente primo e secondo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241".

Dalla norma surriprodotta (e tenuto conto che nella specie essa può trovare applicazione in quanto la richiesta di volturazione dell’autorizzazione ad esporre una insegna luminosa servente ad un esercizio in cui si svolge l’attività di somministrazione di alimenti e di bevande ben può equipararsi al trasferimento di sede ovvero al trasferimento della gestione o della titolarità dell’esercizio, operazioni che accedono tutte alla originaria autorizzazione commerciale pur investendo ambiti di valutazione diversi e coinvolgenti, ad esempio, il corretto assetto territoriale della distribuzione commerciale), può chiaramente evincersi che, in materia di somministrazione di alimenti e di bevande, in disparte la richiesta di autorizzazione che comporta l’avvio di un ordinario procedimento e l’adozione di un provvedimento espresso (ovvero, nel caso di inerzia dell’Amministrazione, della formazione del silenzioassenso, non potendo ricondursi la fattispecie tra quelle escluse dall’applicazione dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990, né rinvenendosi all’interno del decreto legislativo n. 59 del 2010 una disposizione che impedisca tale forma "alternativa e silenziosa" di conclusione del procedimento rispetto all’adozione del provvedimento espresso (si veda espressamente ed in questo senso la circolare esplicativa del Ministero dello sviluppo economico n. 3635/C del 6 maggio 2010, in part. pag. 8 e ss.)), ogni altra attività che riguardi l’esercizio del commercio di alimenti e bevande già autorizzato si realizza attraverso il meccanismo disciplinato dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990 (all’epoca dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010, vale a dire l’8 maggio del 2010, attraverso il meccanismo di cui all’istituto della dichiarazione di inizio attività e dal 14 agosto 2010, data di entrata in vigore dell’art. 49, comma 4bis, introdotto nel testo del decreto legge 22 maggio 2010 n. 78 dalla legge 30 luglio 1978 n. 122, per il tramite della nuova procedura che collegata alla presentazione della segnalazione certificata di inizio attività).

In conclusione, appare evidente che, tenuto conto della portata applicativa dell’istituto descritto dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990 riferibile, per espressa indicazione contenuta nel comma 1 dell’articolo succitato, esclusivamente alle ipotesi in cui l’Amministrazione esercita il potere attribuitogli dalla fonte primaria di accordare all’avente diritto titoli abilitativi a svolgere una attività in ambito economico "il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale", vale a dire con esercizio di potere di tipo vincolato, a maggior ragione deve ritenersi come l’attività comunale di volturazione dell’autorizzazione ad esporre una insegna luminosa:

a) si realizzi attraverso una procedura di controllo volta all’accertamento circa la sussistenza dei presupposti che sorreggono la richiesta;

b) sia disciplinata dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990 (per come richiamato dal decreto legislativo n. 59 del 2010 e, nel caso di specie, dall’art. 64, comma 1, nell’ipotesi in cui l’insegna sia relativa ad un esercizio in cui si svolge il commercio di somministrazione di alimenti e di bevande, indipendentemente dalla circostanza che sia diverso l’ambito di verifica del possesso dei presupposti per svolgere una attività commerciale e quello che consente di esporre una insegna luminosa, per quel che si è più sopra chiarito circa la portata attrattiva, in ordine al tipo di potere esercitato dall’Amministrazione, dell’attività che deve essere svolta nell’esercizio commerciale);

c) non dia luogo ad esercizio di attività discrezionale e quindi non si esprima attraverso un procedimento amministrativo che deve concludersi con un provvedimento espresso;

d) abbia ad oggetto la sola verifica dei presupposti soggettivi per accordarla;

e) produca una semplice novazione soggettiva dell’intestatario dell’autorizzazione già rilasciata;

f) limiti alle verifiche sopradette l’attività istruttoria degli uffici competenti, senza che vi sia spazio per una valutazione attualizzata dei presupposti per il rilascio dell’autorizzazione;

g) non debba tenere conto della normativa sopravvenuta rispetto al momento del rilascio dell’autorizzazione originaria, a meno che la nuova normativa (evidentemente incidente sulle condizioni di rilascio dell’autorizzazione) non contenga espressamente un riferimento alla propria efficacia retroattiva, debitamente motivato.

6. – In ragione delle suesposte considerazioni il ricorso va accolto con annullamento dell’atto impugnato.

Sussistono nondimeno i presupposti per compensare integralmente tra le parti costituite le spese di giudizio, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. come richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., tenuto conto della peculiarità delle questioni sottese alla controversia qui decisa.

P.Q.M.

pronunciando in via definitiva sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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