Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con sentenza del 10.6.2010 la Corte di appello di Potenza confermava la sentenza del Tribunale di Melfi del 19.11.2008 di condanna del ricorrente alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 600,00 di multa per concorso in estorsione per avere costretto P.S. a consegnare la somma di Euro 150,00 per ritrovare l’impianto stereo che gli era stato sottratto.
Il P., dopo aver subito il furto di cui si è detto, veniva avvicinato da certo C.L. da lui conosciuto che gli diceva che se voleva recuperare il bene sottratto doveva dargli la somma di Euro 150. Il P. procuratosi il denaro, saliva in una vettura ove si trovavano il C. e tal D.R. che pretendevano minacciosamente la consegna della somma, poi si recavano in un maneggio, facevano ingresso in una roulotte e quindi assicuravano alla parte offesa che il giorno dopo avrebbe ricevuto lo stereo, il che poi non era avvenuto. La Corte territoriale rilevava che non vi era dubbio che sussistesse il reato contestato, e cioè una estorsione con il cosidetto metodo del "cavallo di ritorno".
La misura della pena veniva giustificata in relazione ai numerosi predenti penali del ricorrente ed alla sua spiccata pericolosità sociale (nei suoi confronti era stata disposta una misura di sorveglianza speciale di P.S.).
Con il primo motivo si allega la violazione del principio di correlazione con l’accusa contestata, la minaccia prospettata si riferiva a quella di subire altri furti, non ad altre circostanze non contestate e valutate poi in sentenza.
Con il secondo motivo si allega che il capoverso dell’art. 629 c.p. non era mai stato contestato neppure in fatto.
Inoltre mancava ogni elemento in ordine all’elemento psicologico del reato: le Euro 150 servivano per compiere insieme un viaggio a (OMISSIS).
Inoltre i fatti al più integravano il reato di cui all’art. 640 c.p. perchè il denaro serviva ad un viaggio a (OMISSIS).
Motivi della decisione
Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.
Circa il primo motivo la Corte territoriale ha già esaurientemente risposto richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e difesa solo allorchè a base della decisione secondo la quale ( cass. n. 36551/2010) "In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione" (cfr. anche N. 16900 del 2004 Rv. 228042. N, 10103 del 2007 Rv. 236099): tale radicale immutazione del fatto certamente non è avvenuta nel caso in esame. In ordina al secondo motivo l’aggravante in parola risulta contestata "in fatto" (cfr. prima riga della contestazione). Circa l’ultimo motivo si tratta di censure generiche di mero fatto in quanto emerge chiaramente dalla motivazione delle sentenze di merito che il ricorrente consegnò il denaro per ottenere in restituzione quanto sottrattogli e quindi per il timore di perdere definitivamente il bene secondo il classico sistema cosiddetto del "cavallo di ritorno".
Circa l’ultimo motivo sussistono gli elementi costitutivi, per le ragioni già dette, del reato di estorsione; l’allegata in ricorso finalità della richiesta di denaro è stata persuasivamente e logicamente esclusa dalla Corte territoriale.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro Mille alla Cassa delle ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.