Cass. pen., sez. II 18-04-2008 (02-04-2008), n. 16356 Accertamento dattiloscopico – Attendibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1.1. Con sentenza in data 21-9-2007 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza in data 22-2-2007 con cui il G.I.P. di Roma aveva condannato C.L.H. (alias C.R.), applicata la diminuente del rito, alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa, oltre pene accessorie, ritenendo l’imputato responsabile del reato ex art. 110 c.p., art. 628 c.p., commi 1 e 3, n. 1, prima e terza ipotesi, perchè, in concorso con altra persona non identificata, con violenza e minaccia, consistite nel puntare un taglierino contro il direttore di un’agenzia della Banca Antonveneta e nel pronunciare la frase "questa è una rapina", si impossessava della somma di Euro 23.000,00 circa, sottraendola alla cassa della banca (con recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale).
In motivazione la Corte territoriale individuava il riscontro probatorio dell’accusa negli esiti dell’accertamento dattiloscopico, che rivelavano ben venti punti caratteristi ci coincidenti con il dito medio della mano dx del prevenuto, nonchè nei risultati dell’accertamento antroposomatico effettuato sulle immagini riprese dalla telecamera interna all’agenzia, che avevano consentito un giudizio di compatibilità con i cartellini segnaletici di C. L.H. e/o C.R.; precisava che il particolare della stempiatura, evidenziato dal raffronto, era confermato da due testi oculari.
1.2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, personalmente, C.L.H., formulando i seguenti motivi:
1) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 192 c.p.p. e art. 628 c.p.;
2) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per carenza, contradditorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata assoluzione dell’imputato per non avere commesso il fatto o perchè la prova raggiunta non è piena.
Sotto il primo profilo il ricorrente deduce che gli elementi a carico hanno natura meramente indiziaria, come tali inidonei a fornire la prova richiesta per giungere a un giudizio di colpevolezza; in particolare le immagini poste a confronti sarebbero sfocate, l’impronta posta a confronto sarebbe costituita da un mero frammento inidoneo alla verifica e le descrizioni dei testimoni sarebbero discordanti. Sotto il secondo profilo il ricorrente lamenta che la Corte territoriale si sia limitata a riprodurre la motivazione di primo grado, senza fornire una convincente ed esaustiva risposta alle deduzioni difensive.
Il difensore ha depositato memoria in cui insiste nei motivi di ricorso, segnatamente lamentando l’assenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2. 2. Il ricorso costituisce, con tutta evidenza, reiterazione delle difese di merito ampiamente e compiutamente disattese dai giudici del merito, oltre che censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici. Invero l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione di merito ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di procedere ad una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al Giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
Merita altresì puntualizzare – in conformità a principi acquisiti dalla giurisprudenza di questa S.C. – che la sentenza di appello non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado ad essa conforme, essendo anche possibile che la motivazione di seconda istanza attinga per relationem a quella di primo grado, trascurando di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati. In tale prospettiva la motivazione per relationem della sentenza d’appello non è consentita quando si traduca nella mera ritrascrizione della motivazione di primo grado, che resta cosi non assoggettata alla doverosa revisione critica imposta dagli argomenti svolti dall’appellante; mentre è legittima quando sia integrata con la risposta ai rilievi critici formulati nell’atto di appello.
Orbene è quest’ultimo il tipo di argomentare dell’impugnata sentenza, giacchè – contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente – la Corte territoriale non sia limitata ad una supina adesione alla decisione del primo Giudice, ma ha espresso le ragioni della sua conferma, dando conto dei motivi d’impugnazione e delle argomentazioni ostative all’accoglimento degli stessi. In particolare la sentenza impugnata:
a) ha sgombrato il campo dai dubbi sollevati dalla difesa in ordine all’accertamento antroposomatico, effettuato dalla sezione "Fonica e Audiovideo" del R.I.S. di (OMISSIS), osservando che "le immagini riprese all’interno della sede bancaria (nn. 1-4 del citato fascicolo fotografico) opportunamente sviluppate, mostrano raffigurato in modo nitido e completo il volto di uno dei due autori della rapina"; ha, altresì, motivatamente condiviso il giudizio di compatibilità espresso dal R.I.S., rimarcando la peculiarità di due caratteristiche coincidenti nelle immagini e nei cartellini segnaletici del prevenuto (la cicatrice al sopracciglio dx e il porro nel padiglione auricolare dx), nonchè il riscontro nelle deposizioni testimoniali dell’ulteriore elemento caratteristico della calvizie;
b) ha, altresì, affermato la piena idoneità al raffronto dell’impronta digitale rilevata sul pulsante della bussola di ingresso nella sede bancaria, chiarendo le ragioni dell’esito negativo di un primo confronto (per essere stato l’impronta attribuita al dito indice) e precisando che più compiuti accertamenti, riguardanti il dito medio della mano dx, avevano messo in evidenza "non solo lo stesso andamento del disegno generale delle anse delle due – impronte … ma soprattutto l’esistenza, tra le due impronte messe a confronto, di venti punti caratteristici, coincidenti; consentendo di ritenere acclarata la provenienza delle impronte stesse da uno stesso dito, quello appunto della mano destra del prevenuto";
c) ha, altresì, evidenziato come il quadro probatorio acquisito non fosse contrastato dalle sommarie informazioni testimoniali, che consentivano di individuare nel C.L.H. l’individuo ("quasi completamente calvo" ovvero "con ampia stempiatura") che era entrato per primo nell’agenzia bancaria, come del resto emergeva dalle immagini della telecamera interna.
Sotto questo profilo non può, dunque, rilevarsi il difetto di motivazione, in quanto ogni elemento posto a carico dell’imputato viene esaminato in maniera analitica e completa. I criteri di valutazione utilizzati sono ineccepibili e conformi alla norma generale espressa dall’art. 192 c.p.p., comma 1, che è quella del libero convincimento del Giudice, inteso come libertà di valutare gli elementi probatori, con il limite, qui rispettato di dare conto dei criteri adottati; la valutazione compiuta dei singoli e specifici elementi è valutazione di merito, come tale non censurabile in sede di legittimità perchè sorretta da una motivazione congrua e logica.
E’ il caso di precisare – dal momento che il ricorrente richiama i criteri fissati dal cit. art. 192 c.p.p., comma 2 per la valutazione degli indizi – che, nella fattispecie, non si è fatto ricorso alla prova indiretta o critica, posto che gli elementi probatori assunti (impronta digitale, immagini della telecamera, sommarie informazione) sono direttamente rappresentativi degli elementi investigati. Si rammenta in particolare che per costante giurisprudenza – il giudice ben può fondare il suo convincimento sulle indagini dattiloscopiche, poichè queste offrono piena garanzia di attendibilità e possono costituire legittima fonte di prova (Cass. sez. 2, 2/10/1981 n. 11129 riv. 151332), senza bisogno perciò di elementi sussidiali di conferma, anche nel caso in cui esse riflettono l’impronta di un solo dito, purchè evidenzino la sussistenza di almeno sedici o diciassette punti caratteristici uguali per forma e posizione, e ciò in base al risultato di esperienze compiute in vari paesi del mondo (Cass. sez. 4, 2/02/1989 n. 4254 riv. 180856), laddove nella fattispecie ne sono stati rinvenuti ben venti. Inoltre – come si è visto – gli esiti dell’indagine dattiloscopica sono stati collegati dai Giudici del merito alle ulteriori risultanze probatorie, così pervenendo in modo logico e coerente all’affermazione della certezza della responsabilità del prevenuto.
Per altro verso il gravame – pur formulato sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio logico – si pone, in sostanza, sul terreno del merito, tentando surrettiziamente di ottenere una nuova e diversa valutazione di quelle prove che già risultano essere compiutamente esaminate nella sede propria. Il ricorrente non sottopone a concreta critica la logicità della motivazione, ma attraverso un arbitrario (e comunque, non controllabile in questa sede) richiamo a dati fattuali tenta di sminuire il risultato del compendio probatorio a suo carico.
In definitiva i motivi di ricorso incorrono tutti nella sanzione di inammissibilità.
A mente dell’art. 616 c.p.p. alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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