Avviso di Deposito
del
a norma dell’art. 55
della L. 27 aprile
1982 n. 186
Il Direttore di Sezione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:
Giuseppe Di Nunzio Presidente
Marco Morgantini Primo Referendario
Brunella Bruno Referendario, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi riuniti:
1) n. 3406/95, proposto dal Signor Piva Sergio, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Gian Paolo Sardos Albertini, Nicoletta Scaglia e Luigi Annunziata di Verona unitamente all’Avv. Franco Zambelli di Venezia- Mestre, con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo in Via Cavallotti n.22 e dalla Signora Ivana Giacomello, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Gian Paolo Sardos Albertini, Nicoletta Scaglia e Franco Zambelli, con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo, come da mandato;
CONTRO
il Comune di Soave, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio.
PER
l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento sindacale del 25.07.1995 relativo alla decadenza della rilasciata C.E. n. 1543/93 ed ordinanza di demolizione e messa in pristino dei luoghi;
nonché per il risarcimento del danno ingiusto, ai sensi degli artt. 33 e 35 del D.Lgs. n.80/98, chiesti con atto notificato il 13 maggio 2000;
2) n. 30/96 proposto dal Signor Piva Sergio, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Gian Paolo Sardos Albertini, Nicoletta Scaglia e Luigi Annunziata di Verona unitamente all’Avv. Franco Zambelli di Venezia- Mestre, con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo in Via Cavallotti n.22 e dalla Signora Ivana Giacomello, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Gian Paolo Sardos Albertini, Nicoletta Scaglia e Franco Zambelli, con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo, come da mandato;
CONTRO
il Comune di Soave, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio.
PER
l’annullamento del provvedimento sindacale del 25.10.1995 relativo al diniego del rilascio di concessione edilizia;
nonché per il risarcimento del danno ingiusto, ai sensi degli artt. 33 e 35 del D.Lgs. n.80/98, chiesti con atto notificato il 13 maggio 2000;
Visto il ricorso n. 3406/95, notificato il 4 novembre 1995 e depositato presso la Segreteria il 10 novembre 1995, con i relativi allegati;
Visto l’atto con cui, in relazione al ricorso 3406/95, è stata proposta l’azione di risarcimento del danno;
Visto il ricorso n. 30/06, notificato il 29 dicembre 1995 e depositato presso la Segreteria il 4 gennaio 1996, con i relativi allegati;
Visto l’atto con cui, in relazione al ricorso n.30/95, è stata proposta l’azione di risarcimento del danno;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti di causa;
Uditi nella pubblica udienza del 19 febbraio 2009- relatore il Referendario Dott.ssa Brunella Bruno – l’avv.Avino in sostituzione di Sardos Albertini per il ricorrente ;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 1824/95 i ricorrenti – proprietari di un appezzamento di terreno sito nel Comune di Soave acquistato allo scopo di costruirvi una villa destinata a propria abitazione – agiscono in giudizio avverso il provvedimento sindacale dichiarativo della decadenza della concessione edilizia n. 1543/93 con il quale è stata anche ordinata la demolizione e messa in pristino dei luoghi.
L’Amministrazione comunale non si è costituita in giudizio per resistere al gravame.
Il Tribunale ha accolto, con ordinanza n. 1824/95, la domanda di sospensione del provvedimento impugnato limitatamente alla disposta demolizione e ripristino.
Con memoria notificata al Comune di Soave il 13 maggio 2000 e depositata presso la Segreteria il 17 maggio 2000, il Signor Piva Sergio, previa costituzione con i nuovi difensori, ha avanzato richiesta di risarcimento del danno ai sensi degli artt. 33 e 35 del D.Lgs. n. 80/98.
Con atto del 20 febbraio 2006, depositato presso la Segreteria il 24 febbraio 2006, la Signora Ivana Giacomelli si è costituita in giudizio con i nuovi difensori.
Con il ricorso n. 30/96 il Signor Piva Sergio e la Signora Giacomelli Ivana hanno impugnato il provvedimento sindacale del 28.10.1995 relativo al diniego del rilascio della concessione edilizia. I ricorrenti, infatti, senza fare acquiescenza al provvedimento di decadenza della concessione edilizia, hanno ritenuto opportuno presentare una nuova domanda, corredata di relazioni tecniche, con lo stesso progetto che era stato in precedenza approvato al fine di ottenere una nuova concessione edilizia.
L’Amministrazione non si è costituita in giudizio per resistere al gravame.
Con memoria notificata al Comune di Soave il 13 maggio 2000 e depositata presso la Segreteria il 17 maggio 2000, il Signor Piva Sergio, previa costituzione con i nuovi difensori, ha avanzato richiesta di risarcimento del danno ai sensi degli artt. 33 e 35 del D.Lgs. n. 80/98 anche in relazione a tale giudizio.
Con atto del 20 febbraio 2006, depositato presso la Segreteria il 24 febbraio 2006, la Signora Ivana Giacomelli si è costituita in giudizio con i nuovi difensori.
All’udienza del 19.02.2009 i ricorsi venivano trattenuti per la decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente il Collegio dispone la riunione dei giudizi per deciderli con un’unica sentenza. Alla connessione soggettiva, infatti, si associa una connessione oggettiva e fattuale, atteso che entrambi i ricorsi ineriscono ad attività provvedimentali riferite al medesimo intervento edilizio avviato dai ricorrenti.
2. In relazione al ricorso iscritto al n. 3406/95 il Collegio ritiene che i punti fondamentali da trattare siano rappresentati dalla individuazione della data in cui può dirsi avvenuto l’inizio dei lavori – rilevante ai fini della decadenza della concessione edilizia prevista dall’art. 31 della legge n. 1150 del 1942 – dal relativo onere probatorio e dal suo adempimento.
Si osserva, infatti, che la concessione edilizia è stata notificata al ricorrente il 20 aprile 1993 e, dunque, l’obbligo di inizio dei lavori avrebbe dovuto essere adempiuto dai titolari della concessione entro il 20 aprile 1994.
1. Sul punto si osserva che la pronuncia di decadenza della concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine annuale è espressione di un potere vincolato ed ha natura ricognitiva con effetti ex tunc, atteso che l’effetto decadenziale discende direttamente dalla legge per il solo fatto del verificarsi del relativo presupposto. La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che ai fini della sussistenza dei presupposti della decadenza della concessione edilizia occorre verificare l’idoneità delle opere eseguite a manifestare una effettiva volontà da parte del titolare della concessione di realizzare il manufatto assentito; valutazione, questa, che deve essere condotta non in termini generali ed astratti ma con specifico e puntuale riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edificatorio programmato ed autorizzato (ex multis, Tar Liguria- Genova, sez.I, 19 ottobre 2007, n. 1775; Consiglio di Stato, sez. V, 29 novembre 2004, n. 7748; Consiglio di Stato, sez. V, 3 marzo 2003, n. 1166).
2. Il provvedimento gravato adduce, in parte motiva, una serie di elementi volti a suffragare la circostanza del mancato inizio dei lavori nel termine annuale. Tra questi, in particolare, le comunicazioni del 7 luglio del 1994 e del 28 settembre 1994 con le quali il direttore dei lavori informa che gli scavi di fondazione sono iniziati in data 24 marzo 1994 mentre i lavori di costruzione del fabbricano hanno avuto avvio l’8 luglio 1994; le dichiarazioni rilasciate dai cittadini confinanti dalle quali risulta che i lavori sarebbero iniziati esclusivamente verso la metà del settembre 1994; la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà del 30 maggio 1995 a firma del Signor Piva Sergio, del Signor Cestonato Giulio (legale rappresentante dell’impresa costruttrice) e dell’architetto Dott. Serafin Maurizio (direttore dei lavori) attestante la circostanza che, in data 24 marzo 1994, sono iniziati i lavori di “predisposizione del cantiere, scavo di sbancamento superficiale al fine di mettere a nudo il terreno sottostante ed inizio scavo fondazioni per verificare la consistenza del terreno per poter predisporre adeguati calcoli statici da depositare al Genio Civile di Verona”. In relazione a ciò, ed anche considerando quanto rappresentato dall’Avvocato Italo Paolillo (che ha assistito i ricorrenti nella fase procedimentale) con le note di controdeduzione inviate il 27 marzo 1995, l’Amministrazione ha ritenuto che le attività poste in essere non fossero sufficienti a far ritenere i lavori iniziati ed a lumeggiare quella effettiva volontà di realizzare il manufatto assentito, necessaria per scongiurare il prodursi dell’effetto decadenziale.
L’Amministrazione ha, dunque, dato puntuale adempimento all’obbligo di motivazione come pure ha assolto all’onere probatorio a suo carico gravante, come specificato dal costante orientamento della giurisprudenza sul punto.
3. A fronte degli sviluppi argomentativi e motivazionali articolati dall’amministrazione procedente nel provvedimento impugnato, parte ricorrente ha, invero, addotto una serie di elementi tesi a comprovare che, a differenza di quanto sostenuto dal Comune, le opere eseguite anteriormente alla scadenza dell’anno dalla notificazione della concessione edilizia sarebbero tali da dimostrare l’effettiva e seria volontà di realizzare i lavori assentiti. In particolare, la difesa dei ricorrenti si appunta, oltre che sull’esecuzione dei lavori di scavo e sbancamento e sulla creazione di una strada di accesso al cantiere anche sulle caratteristiche geologiche del terreno che, essendo di natura rocciosa, ha richiesto una serie di operazioni prodromiche come pure sulle iniziative “ostruzionistiche” dei vicini, sfociate peraltro in controlli eseguiti su richiesta della Provincia di Verona tesi a verificare la sussistenza di lavori di escavazione o di estrazione di materiali dal sottosuolo. Parte ricorrente, inoltre, ha prodotto anche una nota dell’impresa di costruzione del 30 marzo 1994 che, a consuntivo di spesa dei lavori di “pulizia lotto, tracciamento dello stesso e scavo di fondazioni” eseguiti dal 24 marzo 1994, indica la somma dovuta di lire 994.962 ed una fattura del 23 marzo 1995 attestante il pagamento da parte dei ricorrenti di lire 38.080.000 per le opere indicate nel consuntivo di spesa e per quelle successive di demolizione di roccia ed apertura di accesso alla strada.
4. Alla luce di tali elementi deve, dunque, valutarsi se, alla data del 20 aprile 2004, i lavori eseguiti siano stati di una consistenza tale da denotare una effettiva volontà edificatoria. Il Collegio ritiene che, nonostante gli sforzi profusi dalla difesa dei ricorrenti, gli elementi addotti non sono tali da confutare le risultanze dell’istruttoria condotta dall’Amministrazione e gli elementi fattuali costituenti presupposto del provvedimento gravato.
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario, da cui il Collegio non ritiene di discostarsi, esclude, infatti, che lo sbancamento del terreno possa essere considerato come inizio dei lavori senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e vi siano altri indizi che dimostrino il reale proposito del titolare delle concessione edilizia di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione ed al completamento dell’opera (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 3 ottobre 2000, n. 5242; Consiglio di Stato, sez. V, 22 novembre 1993, n. 116; Tar Lazio- Roma, 23 febbraio 2007, n. 132). Ciò tanto più nel caso in esame in cui proprio dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà del 30 maggio 1995 emerge la circostanza che, in data 24 marzo 1994, sono iniziati esclusivamente i lavori di “predisposizione del cantiere, scavo di sbancamento superficiale al fine di mettere a nudo il terreno sottostante ed inizio scavo fondazioni per verificare la consistenza del terreno per poter predisporre adeguati calcoli statici da depositare al Genio Civile di Verona”. La giurisprudenza di questa Sezione, infatti, ha avuto modo di precisare l’insufficienza del parziale inizio degli scavi delle fondamenta per giustificare la conservazione della concessione edilizia, essendo necessario il completo scavo delle fondamenta (Tar Veneto, sez. II, 4 dicembre 2006, n. 3695)
Nessun elemento certo e concreto consente, inoltre, di ritenere avvenuta, alla data del 20 aprile 1994, la demolizione del preesistente rustico urbano; il ragionamento induttivo sviluppato dalla difesa del ricorrente secondo cui, attese le risultanze attestanti l’avvio entro l’anno delle attività di sbancamento ed escavazione dovrebbero desumersi già avvenute quelle di demolizione non appare convincente. Ciò, in primo luogo, in base al fatto (peraltro asserito dagli stessi ricorrenti nelle controdeduzioni prodotte il 27 ottobre 1994) che il fabbricato di progetto è localizzato per buona parte ma non completamente nell’area di sedime del fabbricato esistente e la difesa del ricorrente non ha fornito alcun elemento idoneo ad evidenziare l’eseguita demolizione ben potendo le attività preliminari di sbancamento superficiale avere interessato una porzione di terreno diversa da quella in cui era allocato il rustico in argomento. A ciò si aggiunga che le sopra citate dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà del 30 maggio 1994 e la stessa nota del 30 marzo 1994 avente ad oggetto il consuntivo di spesa delle opere eseguite a partire dal 24 marzo 1994 non recano riferimento alcuno ad attività di demolizione. Vero è che nella relazione redatta dal tecnico comunale si attesta l’avvenuta demolizione del rustico ma tale relazione è datata 18 ottobre 1994, e risale, quindi, a quasi sei mesi dopo la scadenza del termine annuale per l’inizio dei lavori.
Sebbene emergano, inoltre, le rappresentate difficoltà di una celere esecuzione dei lavori a motivo tanto delle caratteristiche geologiche del terreno quanto delle iniziative assunte dai vicini per ostacolare la realizzazione del progetto, non vi è dubbio che tali circostanze non rilevano ai fini della produzione degli effetti decadenziali ma avrebbero potuto costituire elementi idonei ad assentire ad una proroga, ove i titolari della concessione l’avessero richiesta.
Il Collegio osserva, altresì, che la produzione dei menzionati documenti attestanti le spese sostenute dai ricorrenti non consente di rilevare indici di una effettiva consistenza dei lavori eseguiti. Il documento contabile con valore fiscale qual è la fattura prodotta dalla difesa dei ricorrenti reca la data del 23 marzo 1995 (quasi un anno dopo la scadenza del termine di inizio dei lavori) e dal dettaglio dei lavori eseguiti emerge che, a fronte di opere di carattere preliminare (tra le quali non risulta, peraltro, alcuna attività di demolizione) risalenti ad un arco temporale molto ristretto (dal 24 al 30 marzo 1994) per le quali è stata imputata una spesa di lire 900.000, i lavori più onerosi e, dunque, consistenti, sono stati quelli eseguiti successivamente.
5. Alla luce di ciò, entrambi i motivi di ricorso sono infondati e devono essere disattesi. Per le ragioni suesposte, dunque, il ricorso iscritto al n. 3406/95 deve essere rigettato. All’infondatezza del ricorso avverso il provvedimento dichiarativo della decadenza della concessione edilizia segue anche la reiezione della domanda risarcitoria.
Non si dispone in ordine alle spese del giudizio in ragione del comportamento processuale della intimata Amministrazione, non costituitasi in giudizio.
3. Passando all’esame del ricorso iscritto al n. 30/96 con cui i ricorrenti hanno impugnato il provvedimento di diniego della concessione in epigrafe indicato, il Collegio ritiene tale ricorso fondato e deve essere, pertanto, accolto.
1. A tal fine il Collegio reputa assorbente il motivo di ricorso afferente alla violazione delle Norme Tecniche di Attuazione al PRG. L’illegittimità del provvedimento gravato risulta, infatti, evidente dall’analisi della relativa motivazione che, in particolare, indica quale giustificativo della reiezione della domanda di concessione la necessità di una previa approvazione del piano particolareggiato nel cui ambito si sarebbero dovute considerare le “modeste correzioni eventualmente necessarie”. Come correttamente rilevato dalla difesa dei ricorrenti, in forza dell’art. 3 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG, il Sindaco, avrebbe dovuto non rigettare ma sospendere la domanda di concessione ed adottare il piano nel termine di 180 giorni trascorso il quale la domanda avrebbe dovuto avere “regolare corso”. Tale locuzione che figura nell’ultimo comma del citato art. 3 delle Norme tecniche di attuazione è da interpretare non nel senso che le domande di concessione sospese, una volta decorsi i 180 giorni, debbano essere senz’altro accolte bensì nel senso che la decorrenza di tale termine senza l’intervenuta approvazione del piano particolareggiato determina la prosecuzione del procedimento concessorio e la sua definizione con un esito positivo o reiettivo. Ciò precisato, non vi è dubbio che il rigetto della domanda di concessione in luogo della sospensione prevista dal citato art. 3 in vista dell’adozione del piano particolareggiato (che, peraltro, non è avvenuta) vale a determinare l’illegittimità del provvedimento gravato.
2. Affermata l’illegittimità del provvedimento gravato, il Collegio procede all’esame della domanda di risarcimento del danno introdotta dalla difesa del Signor Piva Sergio con i motivi aggiunti e riferita al consistente ritardo con cui potranno riprendere e portare a completa esecuzione i lavori di edificazione dell’immobile residenziale dovendo sostenere anche costi di costruzione certamente più significativi di quelli cui sarebbero andati incontro nel 1994 ed al mancato uso dell’immobile che avrebbe dovuto essere destinato a casa di abitazione.
3. Al tal fine, il Collegio deve, dunque, procedere alla verifica della sussistenza dei presupposti richiesti al fine della configurabilità della responsabilità dell’amministrazione derivante da provvedimento di diniego illegittimo, lesivo dell’interesse legittimo pretensivo. Come noto, a partire dalla nota pronuncia delle S.U. n. 500 del 1999 i presupposti per il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo lesivo di interessi legittimi pretensivi sono stati individuati oltre che nella illegittimità del provvedimento di diniego nella spettanza del bene della vita ingiustamente negato, nell’elemento soggettivo, nella sussistenza e prova del danno e del nesso di causalità tra illegittimità del provvedimento e l’evento dannoso. L’orientamento giurisprudenziale e dottrinario prevalente è nel senso, infatti, di una qualificazione della responsabilità del Pubblica Amministrazione per attività provvedimentale illegittima in termini di responsabilità extracontrattuale ai sensi degli artt. 2043 ss. c.c..
Nel caso oggetto di giudizio unitamente alla illegittimità del provvedimento impugnato sono riscontrabili anche altri presupposti sopra menzionati. Occorre in proposito soffermarsi, in primo luogo, sulla spettanza del bene della vita ingiustamente negato. La nota sentenza n. 500 del 1999, infatti, ha precisato che per gli interessi pretensivi occorre effettuare un “giudizio prognostico”, secondo criteri di normalità, sulla fondatezza o meno dell’istanza, onde stabilire se la pretesa del ricorrente fosse destinata ad un esito favorevole. Nel caso in esame non solo il provvedimento gravato non dà atto di nessun ulteriore elemento ostativo all’accoglimento della domanda rispetto a quello rappresentato dalla preventiva approvazione del piano particolareggiato ma emergono, invero, una serie di elementi da considerare ai fini della valutazione circa la spettanza del provvedimento favorevole, non contraddetti dal Comune che non si è costituito in giudizio. Tra questi, in particolare, la circostanza che per lo stesso progetto correlato dei medesimi allegati l’Amministrazione aveva proceduto circa due anni prima a rilasciare una concessione edilizia poi decaduta per mancato inizio dei lavori nei termini; l’assenza di modifiche alla disciplina edilizia e urbanistica applicabile; la sussistenza di un parere richiesto dal Comune al Prof. Arch. Domenico Bolla, redattore del PRG, nel quale si affermano, in maniera articolata, le ragioni dell’assentibilità sotto il profilo tecnico del progetto peraltro confermando quanto già rappresentato dallo stesso professionista in altro parere reso nell’ambito del primo procedimento conclusosi con il rilascio del titolo edilizio poi decaduto. Risulta, inoltre, sufficientemente provato anche l’elemento soggettivo potendosi ravvisare la colpa della PA tanto nell’illegittimità in cui è incorsa quanto in considerazione delle concrete circostanze addotte dalla difesa dei ricorrenti e, in specie, dalla assenza di un substrato fattuale e normativo diverso da quello sussistente al tempo del rilascio della concessione edilizia poi decaduta come pure dal tenore del parere reso dal Prof. Bolla. Il Collegio ritiene opportuno in proposito richiamare il principio anche di recente ribadito dal Consiglio di Stato (sez. VI, 13 febbraio 2009, n. 776) in base al quale“la sola esistenza di episodi di illegittimità attizia, pur non fornendo ex se elementi inconfutabili nel senso della sussistenza di una condotta colposa da parte dell’ Amministrazione , nondimeno fornisce rilevanti elementi nel senso di una presunzione (relativa) di colpa dell’ Amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o, comunque, ad una violazione ingiustificata delle regulae agendi ad essa imposte”.
Nel caso in esame, tuttavia, il Collegio non ritiene di poter procedere alla liquidazione del danno in quanto non può dirsi adempiuto il relativo onere probatorio gravante sui ricorrenti che non hanno concretamente prodotto alcun elemento idoneo a dimostrare i pregiudizi sofferti in conseguenza della reiezione della domanda di concessione edilizia (sul punto, ex multis, Corte di Cassazione, sez. II, 27 ottobre 2008, n.25849; Consiglio di Stato, sez. V, 13 giugno 2008, n.2967). A ciò si aggiunga che, anche ove si procedesse alla valutazione del diverso e successivo profilo afferente il quantum della pretesa risarcitoria, emerge una condotta negligente dei ricorrenti, rilevante ai sensi dell’art. 1227 c.c., che dall’ottobre del 1995 non risulta che abbiano più avanzato alcuna domanda per ottenere il titolo edilizio necessario per la realizzazione dell’opera.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda Sezione, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe indicati previa loro riunione, così decide:
* rigetta il ricorso n. 3406/95;
* accoglie il ricorso n. 30/96 limitatamente alla domanda di annullamento e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato; respinge la domanda risarcitoria;
* nulla sulle spese relativamente al ricorso 3406/95;
* condanna il Comune di Soave al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio, complessivamente liquidati in € 2.000,00 (duemila/00) al netto di I.V.A. e C.P.A., a favore dei ricorrenti.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio del 19 febbraio 2009.
Il Presidente L’Estensore
Il Segretario
SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Seconda Sezione
T.A.R. Veneto – II Sezione n.r.g. 3406/95 – 30/96
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it