Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 10 e depositato il 12 maggio 2010, A.I. – titolare dell’omonima azienda agricola, composta di fondi situati ed estesi nel territorio dei Comuni di Follonica e di Massa Marittima, nella Provincia di Grosseto – proponeva impugnazione avverso la determinazione in data 2 marzo 2010, n. 213, mediante la quale il Comune di Follonica, su conforme parere della Provincia, le aveva negato l’approvazione di un programma di miglioramento agricolo ambientale implicante la realizzazione, sui fondi predetti, di alcuni nuovi edifici, e ne chiedeva l’annullamento, previa sospensiva, sulla scorta di tre motivi in diritto.
Costituitesi in giudizio le amministrazioni procedenti (ma non il Comune di Massa Marittima, pure intimato), nella camera di consiglio del 4 giugno 2010 la ricorrente dichiarava, per il tramite del suo difensore, di rinunciare all’istanza cautelare. Con atto di motivi aggiunti depositato il 14 luglio 2010, la I. estendeva peraltro il gravame al sopravvenuto diniego di rilascio dei titoli edilizi strumentali all’attuazione del programma oggetto del provvedimento originariamente impugnato.
La causa veniva, infine, discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 30 marzo 2011, preceduta dal deposito di memorie difensive.
Motivi della decisione
1. Come riferito in narrativa, l’impugnazione proposta con il ricorso introduttivo del giudizio è indirizzata nei confronti della determinazione n. 213 del 2 marzo 2010, con cui il Comune di Follonica ha negato alla ricorrente I. l’approvazione di un programma aziendale pluriennale di miglioramento agricolo ambientale (di seguito, P.A.P.M.A.A.) comportante l’edificazione di nuovi fabbricati sui terreni di pertinenza dell’azienda agricola della ricorrente ricadenti nel Comune di Follonica: nel programma in questione sono ricompresi, infatti, fondi per una estensione complessiva di circa dieci ettari, nove dei quali appartenenti al territorio del Comune di Massa Marittima, acquistati dalla ricorrente nel dicembre 2005 e provenienti dal frazionamento di più ampia proprietà; le nuove costruzioni (un’abitazione per la titolare dell’azienda ed i suoi familiari, e tre annessi agricoli) interessano, invece, il rimanente terreno di circa un ettaro, posto nel territorio di Follonica. La motivazione del diniego fa leva sulla previsione di cui all’art. 46 della legge regionale toscana n. 1/05, la quale, ad avviso del Comune, non consentirebbe di computare nella superficie aziendale utile ai fini edificatori i fondi ubicati nel Comune di Massa Marittima, sottoposti a vincolo decennale di inedificabilità in quanto, come detto, derivanti da frazionamento, mentre per il terreno di Follonica il P.A.P.M.A.A. non prevedrebbe attività colturali tali da generare un indice sufficiente a legittimare le nuove volumetrie.
Il diniego discende, inoltre, dal contrasto fra il programma presentato dalla ricorrente ed i vigenti strumenti urbanistici comunali e sovracomunali, dovendosi reputare che il rinvio – contenuto nella parte dispositiva della determinazione n. 231/2010 – ai "motivi ostativi in premessa descritti", nessuno escluso, non consenta di ridurre la motivazione del provvedimento impugnato alla sola sussistenza del menzionato vincolo di inedificabilità.
1.2. Con motivi aggiunti, la ricorrente I. impugna quindi il rifiuto di rilascio del permesso di costruire relativo ai manufatti da realizzare nell’ambito del programma di miglioramento agricolo a suo tempo presentato. Posto che tale rifiuto è motivato avuto esclusivo riguardo alla mancata approvazione del P.A.P.M.A.A., la trattazione dei motivi aggiunti non potrà che essere subordinata a quella del ricorso introduttivo, dotato di chiara valenza pregiudiziale.
1.3. Non giova soffermarsi sulle eccezioni preliminari sollevate dalla difesa della Provincia di Grosseto, stante l’infondatezza nel merito delle pretese avanzate dalla ricorrente I..
2. Con il primo motivo di ricorso sono dedotti i vizi di violazione dell’art. 46 l.r. n. 1/05, nonché di eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria ed illogicità manifesta. Secondo la ricorrente, il vincolo decennale di inedificabilità sancito dalla ridetta disposizione, per il caso di trasferimenti parziali di fondi agricoli, non opererebbe relativamente a fondi che non siano mai stati inclusi, in passato, all’interno di programmi di miglioramento agricolo approvati: in tale evenienza, infatti, non potendo il trasferimento concretizzare violazione del P.A.P.M.A.A. pregresso, neppure si giustificherebbe la previsione dell’inedificabilità, che avrebbe natura sanzionatoria; inoltre, terreni agricoli non precedentemente inclusi in programmi di miglioramento non avrebbero potuto beneficiare di alcuna edificazione a servizio della produzione, di talché non vi sarebbe motivo per escluderli dall’edificabilità per il futuro.
Per altro verso, la I. sottolinea come, nel suo caso, l’edificazione riguardi i soli terreni aziendali non provenienti da frazionamento, vale a dire quelli ubicati nel Comune di Follonica, ai quali non potrebbe essere esteso surrettiziamente il divieto di edificabilità ai sensi dell’art. 46 l.r. n. 1/05, norma di stretta interpretazione, attraverso l’esclusione dei fondi di Massa Marittima dal computo della superficie aziendale utile. L’inclusione nella superficie utile delle aree derivanti da cessione parziale non determinerebbe, del resto, il rischio di incontrollata edificazione del territorio rurale paventata dall’amministrazione comunale, posto che a fini edificatori occorrerebbe pur sempre la preventiva approvazione di un P.A.P.M.A.A..
Le censure sono infondate.
2.1. La legge regionale toscana n. 1/2005 ("Norme per il governo del territorio") dedica il proprio titolo IV, capo III, al ruolo del territorio rurale, del quale sono promosse, ai sensi dell’art. 39, la tutela e la valorizzazione "attraverso il consolidamento del ruolo multifunzionale svolto dall’attività agricola anche integrata con le altre funzioni e settori produttivi compatibili… nonché attraverso il sostegno delle famiglie residenti in funzione del mantenimento della presenza umana a presidio dell’ambiente". La medesima disposizione, al comma secondo, rimette agli strumenti della pianificazione territoriale ed agli atti di governo del territorio la disciplina degli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia "necessari allo sviluppo dell’agricoltura, delle attività ad essa connesse e delle altre attività integrate e compatibili con la tutela e l’utilizzazione delle risorse dei territori rurali e montani".
Coerentemente con tali premesse programmatiche, il successivo art. 41 della legge stabilisce che, fermo restando l’obbligo prioritario di procedere al recupero degli edifici esistenti, la costruzione di nuovi edifici rurali, nelle zone a esclusiva o prevalente funzione agricola, è consentita soltanto se necessaria alla conduzione del fondo e all’esercizio delle altre attività agricole e di quelle ad esse connesse, ed è condizionata alla preventiva approvazione di un P.A.P.M.A.A. dove si dimostri, quanto alle abitazioni, che esse sono necessarie alle esigenze dell’imprenditore agricolo, dei suoi familiari coadiuvanti o degli addetti a tempo indeterminato all’impresa, e, quanto agli annessi agricoli, che la loro costruzione è commisurata alla capacità produttiva dell’azienda agricola, il tutto unitamente all’impegno dell’imprenditore agricolo a mantenere in produzione superfici fondiarie minime non inferiori a quanto previsto dai piani territoriali di coordinamento delle province.
La necessaria strumentalità, nelle aree rurali, fra attività edificatoria, pregressa o futura, ed attività agricola emerge poi con altrettanta chiarezza dalla previsione dell’art. 42 della legge, che, nel disciplinare il contenuto del P.A.P.M.A.A., obbliga l’imprenditore ad impegnarsi a non modificare la destinazione d’uso agricola degli edifici esistenti, recuperati o di nuova costruzione, nonché a non alienare separatamente dagli edifici rurali le superfici fondiarie alla cui capacità produttiva gli stessi sono riferiti; ed ancora, a contrario, dagli oneri imposti dall’art. 45 a carico degli interventi implicanti la perdita della destinazione d’uso agricola degli edifici rurali (tali interventi sono consentiti previa sottoscrizione di convenzione o atto d’obbligo unilaterale, con cui i proprietari si impegnino, per le aree di pertinenza di dimensioni non inferiori ad un ettaro, alla realizzazione d’interventi di sistemazione ambientale, fornendo idonee garanzie, mentre, per quelle di dimensioni inferiori, in luogo della convenzione sono corrisposti specifici oneri stabiliti dal comune e connessi al miglioramento ambientale del sistema insediativo, in misura comunque non inferiore alla quota massima prevista per gli interventi di ristrutturazione edilizia e non superiore alla quota minima prevista per gli interventi di nuova edificazione).
Questo il contesto nel quale si colloca, e deve essere letto, l’art. 46 della cui interpretazione si controverte e che, al primo comma, vieta la realizzazione di nuovi edifici per i dieci anni successivi al frazionamento su tutti i terreni risultanti da trasferimenti parziali di fondi agricoli attuati, a titolo di compravendita o ad altro titolo che consenta il conseguimento di un titolo abilitativo, "al di fuori dei programmi aziendali di miglioramento": come detto, la ricorrente sostiene che tale inciso vada inteso nel senso che il vincolo decennale di inedificabilità opererebbe nei confronti dei soli terreni già ricompresi in un programma approvato e trasferiti in violazione del programma stesso (in questa ottica, l’apposizione legale del vincolo avrebbe funzione sanzionatoria della violazione). La tesi non può essere condivisa.
Il secondo comma del medesimo art. 46 prevede che il divieto di nuove edificazioni non sorga nel caso in cui i rapporti fra superfici fondiarie ed edifici utilizzati per l’attività agricola, così come stabiliti dalla Provincia nel piano territoriale di coordinamento, non siano stati superati su alcuna delle porzioni risultanti (ovvero, per i trasferimenti anteriori alla determinazione dei parametri della Provincia, laddove sia dimostrato, attraverso il programma aziendale di miglioramento, che l’indispensabilità dei nuovi edifici sussisteva in riferimento all’estensione dell’azienda ed agli edifici in essa esistenti risultanti al momento del trasferimento, ferma restando la possibilità di comprendervi i successivi ampliamenti dell’estensione aziendale). Al divieto sfuggono, in definitiva, i frazionamenti che facciano salve le superfici fondiarie minime il cui mantenimento in produzione legittima la realizzazione di nuovi edifici rurali, e che oggi sono individuate in prima battuta dai piani territoriali di coordinamento provinciali o, in mancanza, dall’art. 2 del regolamento attuativo del Titolo IV, Capo III, della legge regionale n. 1/05, cit., approvato con D.P.G.R. 9 febbraio 2007, n. 5/R (invero, l’art. 26 co. 10 del PTC della Provincia di Grosseto, anteriore al menzionato regolamento regionale attuativo, per la misura delle superfici minime rinvia ancora all’art. 4 dell’abrogata legge regionale n. 64/95). Si tratta, in effetti, delle stesse superfici fondiarie minime che l’imprenditore agricolo si impegna a mantenere in produzione ai fini dell’approvazione del P.A.P.M.A.A. implicante la costruzione di nuovi edifici, come stabilito dall’art. 41 alle lettera b) dei commi 2 e 4.
Se così è, la ragion d’essere del divieto va rinvenuta nella volontà del legislatore regionale di disincentivare la possibilità di parcellizzare, al di fuori del controllo dell’amministrazione, i fondi agricoli in superfici edificate inferiori a quella minima, superfici in relazione alle quali viene meno – per definizione – la funzione strumentale che, nelle aree rurali, l’attività edilizia deve sempre e comunque presentare nei confronti di quella agricola, secondo il disegno d’insieme che traspare dalle norme della legge n. 1/2005. La norma, riguardata in una diversa prospettiva, rivela l’esigenza di salvaguardare la riserva di discrezionalità amministrativa che, in ordine al corretto sfruttamento del territorio, viene esercitata mediante il potere di approvazione del P.A.P.M.A.A.: tale potere ha infatti per oggetto sia le nuove edificazioni, sia i trasferimenti fondiari, come si ricava dal fatto che l’art. 46 riferisce l’insorgere del divieto di nuova edificazione ai soli trasferimenti parziali attuati "al di fuori dei programmi aziendali di miglioramento". Ed allora il significato di quest’ultimo inciso, una volta stabilito che la ratio del divieto è di osteggiare i frazionamenti effettuati in pregiudizio del rapporto di strumentalità fra edificazione ed attività agricola, non può essere quello limitativo prospettato dalla ricorrente I., ma, per evidenti ragioni sistematiche, va necessariamente esteso a ricomprendere qualsiasi ipotesi di trasferimento non sottoposto al vaglio preventivo dell’amministrazione, vale a dire sia il trasferimento violativo di un P.A.P.M.A.A. già approvato, sia quello effettuato in completa assenza di programma di miglioramento, non giustificandosi in alcun modo un trattamento differenziato delle due ipotesi.
Né, in contrario, vale sostenere che l’esclusione dalla edificabilità si spiegherebbe come sanzione per il mancato rispetto del programma di miglioramento approvato dall’autorità, di talché essa non riguarderebbe i terreni non previamente inseriti in P.A.P.M.A.A.. Le violazioni del programma di miglioramento sono, infatti, autonomamente sanzionate ai sensi dell’art. 42 co. 8 della più volte citata legge regionale n. 1/2005, secondo cui la realizzazione del programma aziendale è garantita da un’apposita convenzione, o da un atto d’obbligo unilaterale, contenenti – proprio a tutela di quella strumentalità fra edifici e conduzione dei fondi posta dall’art. 41 della stessa legge al fine di consentire la deroga al divieto di nuova costruzione in zone agricole – l’impegno dell’imprenditore agricolo di effettuare gli interventi in relazione ai quali è richiesta la realizzazione di nuovi edifici rurali, di non modificare la destinazione d’uso agricola degli edifici nuovi o preesistenti, e di non alienare separatamente dagli edifici rurali le superfici fondiarie alla cui capacità produttiva gli stessi sono riferiti (il mancato rispetto degli impegni assunti comporta l’assoggettamento dell’imprenditore alle penali previste nella convenzione o nell’atto d’obbligo, in misura non inferiore al maggior valore determinato dall’inadempienza).
Ne consegue che limitare l’applicabilità del divieto di cui all’art. 46 ai soli terreni che abbiano già "beneficiato" di edificazione per essere stati inseriti in un P.A.P.M.A.A. equivarrebbe a frustrare la funzione generalpreventiva, più che sanzionatoria, della norma, che è quella di evitare i frazionamenti non rispettosi dell’equilibrio voluto dalla legge fra edificazione ed attività agricola, con riferimento ai trasferimenti parziali di terreni operati in assenza di un programma di miglioramento. Il che, per le ragioni già esposte, è irragionevole.
2.2. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve anche respingersi l’ulteriore affermazione della ricorrente, la quale sostiene che il divieto ex art. 46 l.r. n. 1/05 sarebbe inapplicabile nella specie, in quanto le nuove edificazioni previste dal programma di miglioramento da lei presentato ricadrebbero per intero nel terreno di Follonica, non proveniente da frazionamento, e mai incluso in precedenti programmi.
Sul punto, colgono nel segno le difese del Comune resistente laddove, muovendo dal carattere unitario della valutazione di ammissibilità degli interventi edilizi contemplati dal P.A.P.M.A.A., insistono sulla legittimità della scelta di escludere dal computo della superficie aziendale utile i fondi interessati dal vincolo decennale di inedificabilità. Diversamente opinando, infatti, il vincolo si presterebbe ad essere agevolmente eluso attraverso la disponibilità aggiuntiva di un appezzamento, ancorché di estensione inferiore alla superficie fondiaria minima, ove concentrare tutte le costruzioni che non sarebbero altrimenti assentibili; ed, ancora una volta, ne risulterebbe violato il principio della necessaria strumentalità tra attività edilizia ed attività agricola, giacché si finirebbe per autorizzare la formazione di fondi agricoli edificati pur in assenza delle condizioni richieste dalla legge (l’effetto è tanto più vistoso nel caso di specie, ove si consideri che il fondo non interessato dal vincolo di inedificabilità – di estensione pari a circa un decimo della superficie aziendale complessiva, e comunque inferiore alla superficie fondiaria minima prevista dalla vigente pianificazione urbanistica – è anche situato a considerevole distanza da quelli vincolati).
La conclusione è avallata, sul piano positivo, dal rinvio che l’art. 41 co. 2 l.r. n. 1/05 fa al successivo art. 46, suggerendo che la verifica di ammissibilità del P.A.P.M.A.A. non possa non implicare il controllo sul rispetto del rapporto tra superfici fondiarie ed edifici destinati all’attività agricola. Essa non vale, peraltro, nell’ipotesi in cui la porzione dei fondi aziendali non soggetta a vincolo di inedificabilità giustifichi autonomamente, per le sue caratteristiche, la realizzazione di nuove costruzioni a servizio della conduzione agricola.
L’inedificabilità del terreno della ricorrente posto nel territorio di Follonica non consegue, dunque, all’estensione analogica del divieto ex art. 46, bensì alla lineare applicazione dei principi stabiliti dalla legislazione regionale, che impongono di escludere i fondi colpiti dal vincolo di inedificabilità anche dal computo della superficie utile a fini edificatori.
3. Con il secondo ordine di censure, la ricorrente I. deduce in via subordinata l’illegittimità costituzionale dell’art. 46 co. 1 della legge regionale n. 1/05, per violazione degli artt. 3, 42, 97 e 117 Cost..
La questione è manifestamente infondata.
3.1. La disciplina dettata dagli artt. 41 e segg. della legge regionale n. 1/05 cit. costituisce manifestazione della potestà legislativa concorrente in materia di "governo del territorio", prevista dall’art. 117 co. 3 Cost.. Come già osservato, il complesso delle disposizioni in esame condiziona alle esigenze dell’agricoltura l’esercizio dello jus aedificandi nelle zone ad esclusiva o prevalente funzione agricola, implicando l’esistenza di un limite al diritto dominicale, di natura chiaramente conformativa, che si esplica in primo luogo nell’assoggettamento all’approvazione preventiva di un P.A.P.M.A.A.. Nella medesima ottica conformativa debbono essere letti anche il vincolo decennale di inedificabilità di cui all’art. 46 co. 1 ed il consequenziale divieto di computare i terreni vincolati nella superficie utile ai fini edificatori, che, al contrario di quanto affermato dalla ricorrente, non rappresentano la conseguenza ex lege dell’esercizio di un diritto (il trasferimento parziale della proprietà immobiliare), ma l’effetto – preventivo, a salvaguardia della valorizzazione e del corretto sfruttamento delle limitate risorse del territorio rurale (cfr. artt. 39 e 40 l.r. n. 1/05) – dell’aver sottratto il trasferimento al preventivo vaglio dell’amministrazione (vaglio, a sua volta, suscettibile di sindacato giurisdizionale), eventualità che non irragionevolmente impedisce al proprietario dei fondi provenienti dal frazionamento di esercitare per un tempo determinato la facoltà di costruire; e poiché è pacifico che non solo la legge statale, ma anche quella regionale, costituisca strumento perfettamente idoneo ad assicurare la funzione sociale della proprietà, soddisfacendo la riserva di legge stabilita dall’art. 42 Cost. (già prima della riforma del Titolo V Cost., cfr. Corte Cost., 31 maggio 2000, n. 164; id., 11 luglio 1989, n. 391), la prospettata incostituzionalità va esclusa con riferimento a ciascuno dei parametri che si assumono violati, ivi compreso il principio di uguaglianza quale si esprime nel c.d. limite del diritto privato alla legislazione regionale.
4. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce l’inconsistenza delle ragioni ostative di matrice urbanistica che completano la motivazione del provvedimento impugnato.
Da un lato, la I. sostiene che, in assenza di vincoli paesaggistici, il diniego di approvazione del P.A.P.M.A.A. non potrebbe fondarsi sulla asserita violazione dell’art. 15 N.T.A. della variante al PRG, il quale legittimerebbe al più l’imposizione di prescrizioni; dall’altro, la conformità edilizio/urbanistica dell’intervento non potrebbe essere parametrata alle generiche previsioni del piano strutturale, ovvero del PTCP e del piano di assetto idrogeologico, e neppure a quelle del regolamento urbanistico adottato e non ancora approvato.
Le censure sono fondate per quanto di ragione.
4.1. Nell’impugnata delibera n. 231/2010 si legge che "la realizzazione della nuova abitazione rurale con annessi agricoli, comportando l’esecuzione di notevoli movimenti di terra tali da stravolgere l’assetto morfologico originario, risulta in contrasto con le disposizioni che determinano la corretta localizzazione dell’intervento proposto nel rispetto dei caratteri del territorio e del paesaggio…"; e, con riferimento alla previsione dettata dall’art. 15 N.T.A. sopra citato, che "le nuove sistemazioni esterne, nonché i movimenti di terra proposti per il piano di posa, porterebbero il nuovo edificio a ubicarsi ad una quota di pochi metri inferiore al complesso monumentale del Castello di Valle; il notevole sbancamento dei terreni necessario per la realizzazione dell’intervento comporterebbe poi una eccessiva e negativa alterazione dell’equilibrio idrogeologico e delle caratteristiche ambientali e paesaggistiche". Premesso che il giudizio espresso dall’amministrazione procedente non è contestato sotto il profilo della effettiva sussistenza dei presupposti di fatto, né della correttezza delle conclusioni raggiunte circa l’impatto ambientale delle opere in progetto, esso risulta del tutto coerente con la previsione applicata, in forza della quale le modificazioni del suolo non debbono comportare alterazioni dell’equilibrio idrogeologico e delle caratteristiche ambientali e paesaggistiche dei luoghi; deve di contro escludersi, alla luce del chiaro tenore della normativa in questione, che il Comune fosse tenuto ad approvare il programma salvo apporre prescrizioni operative al titolo abilitativo, e questo tenuto anche conto del fatto che, stando agli elementi disponibili, le prescrizioni avrebbero dovuto spingersi fino a comportare una radicale modifica della progettazione proposta, vedendo così snaturata la propria funzione.
4.2. Gli eccessivi volumi di sbancamento del terreno legittimano altresì il ritenuto contrasto dell’intervento proposto dalla I. con l’art. 169 del regolamento urbanistico, attuativo dell’art. 74 del piano strutturale e adottato nelle more del procedimento, che per le nuove abitazioni rurali impone il mantenimento della rete scolante e del sistema delle acque superficiali, oltre a chiedere la prova della fattibilità dell’intervento in riferimento al consumo delle risorse e alle problematiche di natura idrogeologica (tale ultimo inciso non è espressamente richiamato dal provvedimento impugnato, ma riflette la ratio più generale della disposizione). La circostanza che, all’epoca dei fatti di causa, si trattasse di regolamento solo adottato, ma non approvato, non è di ostacolo alla sua applicabilità al P.A.P.M.A.A. presentato dalla ricorrente ai sensi della norma di salvaguardia di cui all’art. 182 co. 1 del medesimo regolamento, che prevedeva la sospensione di ogni determinazione sui procedimenti in itinere ove gli interventi in essi previsti contrastassero in tutto o in parte con l’atto di governo del territorio adottato. Limitatamente a questo aspetto, possono peraltro condividersi le doglianze della ricorrente, secondo la quale il Comune avrebbe dovuto pronunciarsi in maniera interlocutoria, e non definitiva, anche se ciò non è sufficiente ad infirmare la complessiva legittimità del diniego, che continua ad essere sostenuto dai capi motivazionali rimanenti (si osserva, per inciso, che l’art. 169 cit. non ha ricevuto significative modificazioni in sede di approvazione definitiva del regolamento, intervenuta con recente delibera del 30 giugno 2011).
4.3. In parte fondate sono anche le censure attinenti al presunto contrasto fra il P.A.P.M.A.A. e la pianificazione di livello sovracomunale, dal momento che l’art. 26 c. 7 del PTCP approvato con D.C.P. del 7 aprile 1999 ha carattere di norma di mero indirizzo, volta a stabilire i criteri da perseguirsi ad opera degli strumenti urbanistici comunali ai fini dell’inserimento paesisticoambientale degli interventi, e lo stesso vale per l’art. 18 del P.A.I., che impartisce le direttive cui debbono attenersi gli strumenti per il governo del territorio per la disciplina delle aree di particolare attenzione per la prevenzione dei dissesti idrogeologici; quanto all’art. 23 co. 14 del nuovo P.T.C.P., adottato con D.C.P. del 20 aprile 2009, ancora una volta il Comune avrebbe dovuto sospendere il rilascio del titolo, e non denegarlo in via definitiva, ai sensi delle disposizioni transitorie dello stesso piano (art. 7 co. 3). Nell’uno e nell’altro caso, ancora una volta, i vizi rilevati non possono tuttavia determinare la caducazione del diniego, legittimamente sorretto dalla restante motivazione.
5. Con il ricorso per motivi aggiunti è impugnato il diniego di rilascio del permesso di costruire relativo ai nuovi fabbricati da edificare a servizio dell’azienda agricola della I..
Con riguardo ai vizi che affliggerebbero l’atto in via derivata, valga il rinvio a tutte le considerazioni svolte ai punti precedenti in merito ai vizi dedotti con il ricorso principale. La piena legittimità del provvedimento discende perciò, ai sensi dell’art. 41 co. 2 e dell’art. 42 co. 2 della legge regionale n. 1/05, dalla mancata approvazione del P.A.P.M.A.A. presentato dalla I., che, per espresso dettato normativo, rappresenta la condizione preliminare per la costituzione dei titoli edilizi abilitativi. In assenza di approvazione del programma di miglioramento, il diniego del permesso di costruire costituisce, in buona sostanza, atto vincolato da parte dell’amministrazione, rilievo che evidenzia l’inaccoglibilità della censura afferente la violazione dell’art. 10bis della legge n. 241/90, dedotta in via autonoma contro la determinazione del 21 maggio 2010: questo sia perché l’esistenza di un motivo ostativo assorbente, quale la mancanza di un atto presupposto, esime il Comune dal replicare dettagliatamente alla controdeduzioni dell’interessata, riferibili nel loro contenuto al diniego di approvazione del P.A.P.M.A.A.; sia, in ogni caso, perché si è in presenza di uno di quei vizi procedimentali che, secondo quanto disposto dall’art. 21octies co. 2 della stessa legge n. 241/90, precludono l’annullamento, ove sia palese che il contenuto dispositivo dell’atto impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
6. Le considerazioni esposte impongono, alla luce dell’accertata legittimità dell’operato delle amministrazioni resistenti, il rigetto delle domande di annullamento proposte dalla ricorrente, e, con esse, della domanda accessoria di risarcimento danni.
Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge le domande proposte dalla ricorrente I..
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, ad I.V.A. e C.P.A. come per legge, in favore di ciascuna delle controparti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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