Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-04-2011) 19-07-2011, n. 28476

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In data 13 gennaio 2010 il Tribunale di Genova dichiarava Z. V. colpevole del reato di truffa aggravata ( art. 640 c.p., art. 61 c.p., n. 7) commesso in (OMISSIS) ai danni di R.A., indotta dall’imputato, qualificatosi come mediatore (incaricato dal proprietario), ad effettuare una proposta di acquisto prima e a stipulare il contratto preliminare di compravendita e quello definitivo poi in relazione ad un immobile per il quale l’imputato aveva stipulato in proprio un contratto preliminare al prezzo di Euro 95.000,00 con il proprietario F. A. già in data 20 ottobre 2004. Secondo la ricostruzione accusatoria ritenuta fondata dal Tribunale, lo Z. aveva messo in vendita l’immobile al prezzo di Euro 155.000,00 (accettato dalla R.) presentandosi come mediatore incaricato dal proprietario (e titolare di una procura a vendere) e non come interessato in proprio alla vendita, cosi procurandosi l’ingiusto profitto costituito dalla differenza tra il prezzo di vendita corrisposto dalla R. e il reale valore di mercato dell’immobile (Euro 100 – 120.000,00) nonchè dalla somma (Euro 6.300,00) indebitamente percepita a titolo di provvigione. L’imputato veniva condannato, con le circostanze attenuanti genetiche equivalenti all’aggravante, alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 600,00 di multa, con il beneficio della sospensione condizionale, nonchè al risarcimento dei danni, da liquidarsi separatamente, e alla rifusione delle spese in favore della parte civile R.A. alla quale veniva assegnata una provvisionale di Euro 30.000,00.

La Corte di appello di Genova con sentenza in data 10 giugno 2010, esclusa l’aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 7, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato ascrittogli, limitato il danno alla corresponsione della mediazione, perchè razione penale non poteva essere iniziata per tardività della querela.

Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale e, tramite i rispettivi difensori, la parte civile e l’imputato.

Il Procuratore Generale deduce:

1) la manifesta illogicità della motivazione in quanto la persona offesa, se fosse stata informata che Z. agiva non come mediatore ma io proprio, non si sarebbe fidata dell’assicurazione circa la congruità del prezzo richiesto (assicurazione proveniente sostanzialmente dal venditore); osserva inoltre, per contrastate i dubbi espressi dal giudice di appello circa la conoscenza da parte della persona offesa del vero dominus dell’affare, che la proposta d’acquisto era inserita in un modulo prestampato recante l’intestazione "Zaniboni Immobiliari s.a.s" che conteneva l’incarico di sottoporre la proposta al "proprietario" (mentre il F., dopo la sottoscrizione del preliminare di vendita, non era più interessato all’esame di nuove proposte) e, inoltre, che l’imputato, il quale aveva fatto pubblicare l’annuncio di messa in vendita dell’appartamento come Zaniboni Immobiliare, aveva preteso il pagamento della provvigione del 4% per la mediazione;

2) l’erronea applicazione della legge penale poichè il reato era perseguibile d’ufficio essendo stata contestata in fatto l’aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 11, trattandosi di condotta posta in essere nella qualità di agente immobiliare che aveva agevolato la commissione del reato.

Con il ricorso della parte civile si deduce:

1) la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto inattendibile la persona offesa sulla circostanza che l’imputato, senza chiarire che era il dominus sostanziale dell’affare, si fosse presentato alla persona offesa e alla madre in veste di intermediario; ribadisce le argomentazioni contenute nel primo motivo di ricorso del Procuratore Generale, dolendosi del fatto che immotivatamente sul punto fosse stato dato maggior credito alle dichiarazioni difensive dell’imputato;

2) l’erronea applicazione della legge penale per essere comunque il reato di truffa aggravato, nel caso in esame, ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11, essendo stata detta circostanza aggravante contestata in fatto.

Con il ricorso dell’imputato si deduce la violazione, per erronea interpretazione, dell’art. 640 c.p. in quanto sarebbero state contestate due diverse condotte (percezione di un prezzo di vendita maggiorato e illecita percezione di una somma a titolo di mediazione) che avrebbero dovuto condurre alla contestazione di due distinti reati di truffa, come ben inteso dalla Corte di appello che aveva limitato la responsabilità dell’imputato alla percezione della provvigione come mediatore da parte dell’imputato senza un’adeguata motivazione.

I ricorsi del Procuratore Generate e della parte civile sono fondati.

Quanto al primo motivo del ricorso del Procuratore Generale, sostanzialmente coincidente con il primo motivo del ricorso presentato dalla parte civile, la Corte osserva che la pur ampia motivazione sia lacunosa e contraddittoria nella parte in cui sostenendo con toni a volte inutilmente irridenti l’inattendibilità della persona offesa, esclude che la R. fosse inconsapevole del fatto che l’imputato sostanzialmente vendesse in proprio l’immobile per il cui acquisto aveva sottoscritto in prima persona un contratto preliminare ad un prezzo sensibilmente inferiore rispetto a quello indicato nell’inserzione fatta pubblicare come titolare dell’agenzia immobiliare Z. e, nel contempo, ritiene che la persona offesa abbia in ipotesi subito un danno solo per effetto della somma ottenuta a titolo di "mediazione", danno che non giustificherebbe l’applicazione della contestata aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 7 e la cui esclusone comporterebbe la perseguibilità a querela del reato (querela presentata dalla persona offesa, ma tardivamente). Quanto alla condotta generatrice di tale minore danno, la Corte rileva peraltro che nella motivazione della sentenza impugnata non sembrano essere stati tenuti in adeguata considerazione gli elementi di natura documentale, acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale, circa la prospettata condotta truffaldina dell’imputato e consistenti nell’annuncio di vendita immobiliare che aveva destato l’interesse della persona offesa, fiuto pubblicare dall’imputato come proveniente dall’agenzia di cui era titolare, nella proposta di acquisto sottoscritta dalla R. e redatta su un modulo prestampato recante l’intestazione Zariboni Immobiliare s.a.s. (contenente, tra l’altro, l’incarico di sottoporre la proposta al "proprietario"), nell’appunto dell’imputato relativo alla somma percepita dalla persona offesa a titolo di mediazione nella misura del 4% di prezzo di vendita (complessivamente Euro 6.300,00, di cui Euro 4.500,00 in contanti e Euro 1.800,00 mediante assegno bancario).

La Corte osserva inoltre – quanto al secondo motivo del ricorso del Procuratore Generale, che corrisponde al secondo motivo del ricorso presentato dalla parte civile e riguarda la procedibilità del reato contestato – che nel caso di specie sussisteva la circostanza aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 11, che determina la perseguibilità d’ufficio del reato contestato. Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte anche in tema di attività prestata da un mediatore immobiliare (Cass. Sez. 2, 2 febbraio 2010 n.8530, Canneci; sez. 2, 1 ottobre 2008 n.38498, Ferro)," la nozione di abuso di prestazione d’opera, previsto come aggravante dall’art. 61 c.p., n. 11, si applica a tutti i rapporti giuridici che comportino l’obbligo di un facere, bastando che tra le parti vi sia un rapporto di fiducia che agevoli la commissione del reato, a nulla rilevando la sussistenza di un vincolo di subordinazione o di dipendenza". Nè può avere rilievo il fatto che nell’imputazione non si faccia riferimento all’art. 61 c.p., n. 11 poichè ai fini della contestazione di una circostanza aggravante non è indispensabile una formula specifica espressa con enunciazione letterale, nè l’indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l’imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fette integranti l’aggravante (Cass. Sez. 5, 16 settembre 2008 n. 38588, Fornaro; sez. 2, 28 ottobre 2003 n. 47863, Ruggio).

Ne consegue che il reato cosi aggravato, nonostante l’esclusione dell’aggravante prevista dall’art. 61 c.p. n. 7 per effetto della limitazione del danno alla corresponsione della mediazione, era perseguibile d’ufficio ( art. 640 c.p., u.c.) e che la sentenza impugnata deve

P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Genova per nuovo giudizio. Dichiara inammissibile il ricorso dell’imputato che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

SalvaArchiviaStampaAnnota

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *