Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Che:
– D.S.M., tratta a giudizio per rispondere del reato di sottrazione di compendio pignorato, in sua proprietà ed affidato alla sua giudiziale custodia (art. 388 c.p., comma 4), accertato il 12.1.2000 all’atto dell’asporto dei beni pignorati non trovati dal funzionario dell’I.V.G. di Forlì, era condannata con sentenza 6.4.2005 del Tribunale di Forlì sezione distaccata di Cesena alla pena sospesa di due mesi di reclusione ed Euro cento/00 di multa;
– detta condanna era confermata dalla epigrafata sentenza 2.3.2007 della Corte di Appello di Bologna, che in particolare evidenziava l’assenza di qualsiasi utile prova della appartenenza a terzi dei beni pignorati addotta dall’appellante D.S., su costei gravando l’onere di dimostrare l’altrui proprietà dei beni sottoposti a vincolo e repertati presso la sua abitazione (vari oggetti di arredamento);
– con il ricorso personalmente proposto contro la sentenza di appello l’imputata argomenta le seguenti tre censure:
a) violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla dichiarata contumacia della prevenuta nel giudizio di appello (udienza 2.3.2007) per avere la Corte territoriale inopinatamente disatteso la documentazione medica attestante l’impedimento a comparire dell’imputata solo per essere stata la stessa trasmessa a mezzo fax;
b) erronea applicazione dell’art. 388 c.p., avendo i giudici di appello ritenuto la sussistenza della fattispecie sanzionata dall’art. 388 c.p., comma 4, che presuppone la qualità di proprietario dei beni pignorati del custode giudiziario, qualità non rivestita dall’imputata per l’appartenenza dei beni a terze persone;
c) in subordine, violazione di legge per l’omessa pur invocata (con i motivi di gravame) riduzione dell’inflitta pena, nonostante l’avanzata età della ricorrente (78 anni);
– il ricorso non merita accoglimento per l’infondatezza delle prospettazioni critiche enunciate dalla ricorrente con i tre illustrati motivi di impugnazione;
– palesemente priva di pregio è la prima doglianza inerente la declaratoria di contumacia della prevenuta in appello, avendo correttamente la Corte felsinea reputati irricevibili gli atti sanitari sullo stato di salute della D.S. irritualmente presentati a mezzo telefax (Cass. Sez. 5^, 11.10.2005 n. 38968, Mancini, rv. 232555: "E’ inammissibile l’istanza di rinvio dell’udienza, giustificata da impedimento dell’imputato per malattia, documentata da certificazione medica tempestivamente proposta a mezzo fax, in quanto in relazione alle comunicazioni e alle notificazioni dei privati e dei difensori si applica la previsione di cui all’art. 121 c.p.p., per la quale le memorie e le richieste delle parti devono essere presentate al giudice per iscritto mediante deposito in cancelleria, mentre il telefax può essere utilizzato, per il disposto dell’art. 150 c.p.p., solo dai funzionari di cancelleria ");
– ribadito che per la realizzazione del reato di cui all’art. 388 c.p., commi 3 e 4, è sufficiente il dolo generico (inteso come consapevolezza del vincolo giuridico di indisponibilità dei beni pignorati e della volontarietà della loro amotio), idoneamente la sentenza di appello, riprendendo l’omologo argomento sviluppato dalla sentenza del Tribunale, rimarca l’affermata qualità della D. S. di proprietaria dei beni staggiti reperiti presso la sua abitazione ed affidati alla sua custodia, in difetto di concreti elementi (non addotti dall’imputata) dimostrativi dell’appartenenza dei beni a terzi, dovendosi al riguardo aggiungere che – agli effetti di cui all’art. 388 c.p., comma 3 – la nozione di "proprietario" adottata dalla norma penale ha latitudine più ampia di quella assunta in sede civilistica, includendo estensivamente qualunque persona contro la quale è eseguito il pignoramento o presso la quale sono rinvenute le cose mobili e che abbia – dunque (e salva prova contraria, non offerta nel caso di specie) – l’oggettiva disponibilità delle cose sottoposte al vincolo pignoratizio;
– inapprezzabile si rivela la censura di merito afferente all’entità della pena, il diniego della sua riduzione risultando congruamente motivato dall’impugnata sentenza in rapporto all’intrinseca gravità della condotta antigiuridica e ai trascorsi giudiziari dell’imputata;
– nondimeno il reato ascritto a D.S.M. risulta allo stato attinto da causa estintiva per sopravvenuta prescrizione, in difetto di eventi sospensivi del decorso del relativo termine, di guisa che deve prendersi atto – in carenza, per quanto prima chiarito, di cause di non punibilità riconducibili alla previsione di cui all’art. 129 cpv. c.p.p. – dell’intervenuta estinzione del reato con conseguente annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.
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