Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell’adunanza del 19 febbraio 2009, ha deliberato, tra l’altro, che:
c) la pratica commerciale descritta al punto II del provvedimento, posta in essere dalla società I.M. S.p.a., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20 e 22, co. 1 e 2, d.lgs. 206/2005, come modificato dal d.lgs. 146/2007, e ne ha vietato l’ulteriore diffusione;
d) alla società I.M. S.p.a. sia irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 60.000 (sessantamila).
Di talché, la I.M. S:p.a. ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi:
Violazione e falsa applicazione del combinato disposto risultante dalle norme dettate dagli artt. 21, co. 3 e 4, e 27, co. 7, 8 e 9, del codice del consumo. Violazione dell’art. 3 l. 241/1990. Ingiustizia manifesta. Disparità di trattamento. Violazione del principio di non aggravamento del procedimento.
In tutti i casi in cui le pratiche commerciali non siano manifestamente scorrette o gravi, l’amministrazione dovrebbe obbligatoriamente avviare il procedimento per negoziare gli impegni utili ad apprestare comunque un’adeguata tutela ai consumatori, mentre, nella fattispecie in esame, difetterebbe ogni motivazione in ordine al mancato esercizio del potere discrezionale.
La ricorrente, ex ante e spontaneamente, si sarebbe astenuta dal continuare la condotta ancor prima di essere notiziata dell’avvio del procedimento.
L’Autorità, quindi, avrebbe inflitto la sanzione amministrativa pecuniaria, laddove tale sanzione dovrebbe porsi come extrema ratio per le ipotesi in cui l’attività di negoziazione con le parti si fosse rivelata non appagante per l’interesse pubblico.
Il provvedimento sanzionatorio, inoltre, sarebbe contraddittorio nella parte in cui vieta una pratica commerciale che ha cessato di essere portata a compimento in quanto riconosciuta dalla stessa Autorità come di carattere episodico e strettamente contingente.
La ricorrente, ad ogni buon conto, ha impugnato i regolamenti adottati con delibere dell’AGCM nn. 17589/2007 e 17590/2007 laddove fanno carico al professionista di assumere l’iniziativa per una soluzione negoziata del procedimento, attesa la difformità rispetto alla legge che, invece, demanderebbe all’AGCM l’interpello del professionista a tale fine.
Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost., degli artt. 1 e 3 l. 241/1990, sotto altro profilo, degli artt. 18 e ss. codice del consumo, della direttiva 2005/29/CE. Eccesso di potere per motivazione illogica, carente e contraddittoria, per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, per difetto di istruttoria.
La ricorrente non avrebbe posto in essere alcuna pratica contraria alla "diligenza professionale" che i consumatori normalmente si attendono da un professionista, atteso che, come accertato dall’Istituto per l’Autodisciplina Pubblicitaria, non avrebbe avuto un ruolo diretto nella definizione dei contenuti della campagna pubblicitaria
L’assenza di responsabilità in capo a I.M., quanto ai contenuti del messaggio promozionale, risulterebbe altresì dall’accordo di collaborazione commerciale stipulato il 15 novembre 2007 con DR Motor, nel quale è tra l’altro indicato che i due soggetti avrebbero avuto ruoli e responsabilità distinti e, in particolare, che DR Motor avrebbe dovuto curare gli aspetti operativi della commercializzazione di autovetture DR5.
Lo stesso provvedimento impugnato confermerebbe che si tratta del "messaggio pubblicitario promosso dalla D.M.C. S.p.a.", sicché sarebbe contraddittorio che l’Autorità abbia poi indicato la ricorrente come committente, al pari di DR Motor, della campagna promozionale del veicolo DR5.
I.M. si sarebbe limitata a mettere a disposizione la propria rete di punti vendita, mentre sarebbe stata la sola DR Motor a gestire in autonomia l’intera parte commerciale dell’operazione.
La ricorrente, comunque, non avrebbe attuato alcuna pratica commerciale idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dei consumatori in quanto la condotta valutata come scorretta consisterebbe nella pubblicazione sulle edizioni del 27 e del 28 dicembre 2007 del Giornale di Brescia di un messaggio pubblicitario, nel quale non sarebbero state puntualmente rappresentate le caratteristiche del veicolo DR5 disponibile presso la rete commerciale di I.M.; tale messaggio pubblicitario, peraltro, non potrebbe considerarsi ingannevole, perlomeno in relazione al prezzo di vendita del veicolo.
Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost., degli artt. 1, 3 e 11 e ss. l. 689/1981. Eccesso di potere per motivazione illogica, carente e contraddittoria, per sproporzione, per difetto di istruttoria. Violazione delle norme di cui all’art. 11 l. 689/1981, all’art. 27 l. 206/2005 e all’art. 133 c.p. Disparità di trattamento.
Il provvedimento sarebbe illegittimo anche in relazione alla quantificazione della sanzione.
In particolare, l’Istituto per l’Autodisciplina Pubblicitaria non avrebbe adottato alcun provvedimento verso I.M. ed il Giornale di Brescia sarebbe un giornale a diffusione solo locale. Inoltre, rileverebbero la compartecipazione ai fatti del presunto autore ed il comportamento successivo dallo stesso serbato.
Sia la gravità che la durata della violazione sarebbero aspetti di scarsissimo spessore nel caso di specie.
Sebbene I.M. non abbia avuto un ruolo diretto nella definizione dei contenuti dei messaggi pubblicitari relativi al veicolo DR5, la Società sarebbe sanzionata nella stessa misura di DR Motor.
L’Avvocatura Generale dello Stato ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 6 luglio 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione
1. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell’adunanza del 19 febbraio 2009, ha deliberato, tra l’altro, che:
c) la pratica commerciale descritta al punto II del provvedimento, posta in essere dalla società I.M. S.p.a., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20 e 22, co. 1 e 2, d.lgs. 206/2005, come modificato dal d.lgs. 146/2007, e ne ha vietato l’ulteriore diffusione;
d) alla società I.M. S.p.a. sia irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 60.000 (sessantamila).
La pratica commerciale consiste in un messaggio pubblicitario, promosso dalla D.M.C. S.p.a., volto a promuovere l’autoveicolo "SUV DR5". In particolare, i messaggi proponevano un’autovettura DR5 acquistabile in tutti i punti vendita I.M. con motore italiano powertrain commonrail di ultima generazione, elettronica Bosh e design italiano al prezzo di 15.900 euro, mentre il consumatore, recandosi presso i punti vendita I.M., poteva acquistare esclusivamente una versione DR5 con motore a benzina prodotto in Cina dalla casa automobilistica "Chery" ad un prezzo pari a 19.900 euro.
Le doglianze proposte dalla Società ricorrente attengono alla fase procedimentale e, in particolare, all’omesso invito a presentare gli impegni di cui all’art. 27, co. 7, del codice del consumo, alla individuazione della sua responsabilità soggettiva ed alla quantificazione della sanzione.
2. Le censure di carattere procedimentale sono infondate.
L’art. 27, co. 7, d.lgs. 206/2005 (codice del consumo) prevede che, ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale, l’Autorità può ottenere dal professionista responsabile l’assunzione dell’impegno di porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità; in tali ipotesi, l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può renderli obbligatori per il professionista e definire il procedimento senza procedere all’accertamento dell’infrazione.
Il subprocedimento volto alla presentazione ed alla valutazione degli impegni è ad istanza di parte, per cui non comporta alcun onere per l’amministrazione procedente di avvisare il destinatario della comunicazione di avvio del procedimento di tale facoltà, specificamente prevista dalla legge.
Né tale opzione interpretativa può essere efficacemente contestata con riferimento alla dizione letterale della norma, la quale fa riferimento all’ipotesi che "… l’Autorità può ottenere dal professionista responsabile…", atteso che ciò non implica affatto che sia l’AGCM a dover informare l’impresa, ma solo che l’amministrazione procedente può interrompere il procedimento senza accertare l’infrazione ed irrogare la sanzione ove ricorrano i presupposti previsti dalla norma.
D’altra parte, la facoltà di presentare gli impegni è stabilita da una norma di legge, sicché il soggetto interessato, ove lo ritenga, può senz’altro esercitare tale facoltà senza alcuna necessità che l’Autorità gli rammenti tale possibilità.
Occorre inoltre considerare che, in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza, in cui la ratio dell’istituto è esattamente la stessa, vale a dire il consentire alle imprese attraverso tale strumento di evitare che il procedimento si concluda con l’accertamento dell’illecito ed il conseguente esercito dei poteri interdittivi e sanzionatori, è specificamente previsto, dall’art. 14 ter l. 287/1990, che, entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione degli artt. 2 o 3 della stessa legge o degli artt. 81 o 82 del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria nonché, con dizione sostanzialmente identica a quella del codice del consumo, che l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione.
In conclusione, l’onere di attivazione del subprocedimento in discorso grava sul soggetto che ha ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento, mentre, per l’amministrazione procedente non vi è alcun obbligo di richiamare l’attenzione su tale possibilità, bensì quello di valutare gli impegni eventualmente presentati.
Ciò determina l’infondatezza delle censure con cui è stata contestata, oltre che l’omessa informazione da parte dell’Autorità della possibilità di presentare gli impegni, l’illegittimità delle specifiche norme regolamentari, che, a differenza di quanto prospettato dalla ricorrente, sono coerenti e non in difformità della norma di legge primaria, la quale a sua volta è di matrice comunitaria.
3. Si rivela altresì infondata la tesi secondo cui il provvedimento sanzionatorio sarebbe contraddittorio nella parte in cui ha vietato una pratica commerciale che ha cessato di essere portata a compimento in quanto riconosciuta dalla stessa Autorità come di carattere episodico e strettamente contingente.
Se l’illecito ha carattere istantaneo o comunque durata limitata nel tempo ed è già cessato al momento in cui l’Autorità esercita il suo potere di accertamento, di inibizione e sanzionatorio, non per questo il relativo potere deve ritenersi medio tempore venuto meno.
In tal modo, infatti, si perverrebbe alla paradossale e non accettabile conclusione che la cessazione di ogni pratica commerciale prima della conclusione del procedimento determina l’impossibilità del suo accertamento e della sua inibizione, nonché dell’irrogazione di una sanzione, per cui la pratica stessa potrebbe, in ipotesi, essere periodicamente rinnovata ed interrotta prima della fine di ogni procedimento avviato dall’Autorità.
Diversamente, il potere attribuito all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha anche e soprattutto una finalità di deterrenza, con la conseguenza che, anche a fronte di un comportamento già cessato, il potere di accertamento ha la funzione di qualificare la pratica come illecita, il potere di inibizione ha la funzione di vietare per il futuro la reiterazione della condotta illecita ed il potere sanzionatorio ha la funzione di indurre il professionista a non compiere ulteriori infrazioni.
4. Le censure relative all’accertamento della responsabilità della Società ricorrente non sono persuasive.
L’art. 18, co. 1, lett. b), d.lgs. 206/2005 definisce professionista qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali de quibus, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista.
Nel caso di specie, il provvedimento dà puntualmente conto del fatto che destinatari del provvedimento devono ritenersi la Società D.M.C. S.p.A. e la società I.M. S.p.A. entrambi in qualità di professionisti ex articolo 18 comma 1 lettera b), atteso che, dalle risultanze istruttorie e dalla documentazione pervenuta, emerge che entrambe le Società risultano committenti della campagna pubblicitaria di lancio dell’autovettura, realizzata dall’agenzia pubblicitaria F. S.r.l., e conseguentemente parimenti responsabili della veridicità ed attendibilità dei contenuti della stessa.
In proposito, occorre specificare che, in data 9 gennaio 2008, la Società ricorrente ha stipulato con F. S.r.l. un accordo avente ad oggetto l’incarico da parte di quest’ultima di studiare, progettare, coordinare e controllare per conto della I.M. S.p.a. una campagna di comunicazione pubblicitaria nazionale a mezzo stampa (quotidiana e periodica) e affissione relativa al lancio del prodotto "DR5", oltre al restyling del punto vendita, per cui la qualità di committente della ricorrente può già in tal modo dirsi oggettivamente accertata.
Per altro verso, l’autovettura pubblicizzata era disponibile presso i 26 punti vendita della I.M..
Di talché, l’Autorità ha proceduto ad un riscontro della sussistenza dei due elementi essenziali che valgono a qualificare la figura del professionista, vale a dire la responsabilità editoriale ed il vantaggio economico (ex multis: T.A.R. Lazio, I, 20 novembre 2008, n. 10465).
Infatti, da un lato, ha dato conto che anche la I.M. è committente della campagna pubblicitaria di lancio dell’autovettura, ed in questo è individuabile la sua responsabilità editoriale, dall’altro, ha evidenziato che il modello di autovettura è disponibile presso i 26 punti vendita della ricorrente, ed in questo è individuabile il suo vantaggio economico.
Peraltro, anche ove dovesse accedersi alla tesi della I.M., secondo cui la stessa si sarebbe limitata a mettere a disposizione la propria rete di punti vendita, mentre sarebbe stata la sola DR Motor a gestire in autonomia l’intera parte commerciale dell’operazione, la responsabilità della ricorrente non potrebbe comunque venire meno.
Il Collegio è dell’avviso che, se non è possibile ritenere che l’immanente obbligo di diligenza gravante su coloro che dalla pratica commerciale traggono comunque dei benefici sia in termini economici che pubblicitari determina sempre e comunque una loro responsabilità editoriale per pratica commerciale scorretta, un’omissione rilevante ai fini della ascrizione di una responsabilità a titolo soggettivo sussiste allorquando l’operatore economico non dimostri di avere posto in essere un sistema di monitoraggio effettivo sui contenuti delle iniziative promopubblicitarie realizzate e diffuse da soggetti terzi, anch’essi interessati alla pratica commerciale, non essendo sufficiente ad escludere la responsabilità da omesso controllo la circostanza che il soggetto terzo non abbia preventivamente sottoposto la campagna che intende diffondere, ove un sistema di controllo preventivo non sia stato posto in essere.
In definitiva, tenendo conto degli indubbi benefici economici derivanti dalla pratica commerciale, il professionista è tenuto a predisporre degli appositi ed adeguati piani di controllo delle iniziative promopubblicitarie eventualmente realizzate nei propri locali e diffuse da soggetti terzi, sicché la responsabilità della ricorrente non potrebbe dirsi in alcun caso attribuita a titolo di responsabilità oggettiva o per fatto altrui, ma sarebbe stata comunque attribuita per l’omissione dei dovuti controlli e, quindi, per fatto proprio.
5. Parimenti infondate sono le doglianze con cui la ricorrente ha dedotto che non avrebbe attuato alcuna pratica commerciale idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dei consumatori.
In primo luogo, occorre rilevare che il provvedimento ha posto compiutamente in rilievo come le caratteristiche ed il prezzo pubblicizzato nel messaggio diffuso sul quotidiano "Giornale di Brescia" si riferivano ad una versione con motorizzazione diesel non ancora in produzione, laddove una comunicazione commerciale deve indicare le caratteristiche ed il prezzo del prodotto in maniera idonea a diffondere la consapevolezza nel consumatore della possibilità o meno di acquistare immediatamente a certe condizioni.
Le modalità della comunicazione pubblicitaria, quindi, sono idonee ad alterare il comportamento economico dei consumatori in quanto, a fronte di una pubblicità che, come nella fattispecie, non specifica la circostanza per cui l’autovettura indicata nel messaggio con quelle specifiche caratteristiche tecniche verrà prodotta e commercializzata dopo alcuni mesi, il consumatore può attendersi che la stessa autovettura sia già disponibile presso il produttore e possa essere consegnata dopo un lasso di tempo ragionevole.
Né può assumere rilievo per escludere la scorrettezza della pratica commerciale la circostanza che, come emerso nel corso dell’istruttoria, il prezzo indicato corrispondeva al modello commercializzato presso i centri I. ovvero 16.900 euro a cui doveva applicarsi uno sconto di 1.000 euro, atteso che l’indicazione nella comunicazione pubblicitaria di un modello di un’autovettura in cui è omessa l’informazione che il modello pubblicizzato è ancora in fase di lancio sul mercato costituisce comunque una violazione dell’art. 22 d.lgs. 206/2005.
In altri termini, come correttamente evidenziato nel parere reso dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il messaggio, per i suoi contenuti oggettivi, appare in grado di orientare indebitamente le scelte economiche dei consumatori che, sulla base di informazioni non veritiere relative ad elementi essenziali della decisione di acquisto di un’autovettura, quale il prezzo e la motorizzazione, sono indotti a recarsi, come nel caso di specie, presso i punti vendita I. e/o ad entrare in contatto con D.M.C. per vedersi proporre un prodotto diverso o per vedersi sottoporre una proposta di prenotazione.
Insomma, il messaggio pubblicitario, prospettando le caratteristiche ed un prezzo appetibile di un’autovettura non ancora disponibile, è in grado di produrre un effetto "aggancio" dei consumatori con uno o entrambi i professionisti che prescinde dal bene che costituisce lo specifico oggetto della comunicazione e che non può ancora essere commercializzato.
La circostanza poi che la pratica commerciale abbia avuto una durata molto contenuta non esclude il perfezionamento della fattispecie illecita, ma influisce sulla quantificazione della relativa sanzione.
Il corpus normativo in materia, infatti, non subordina l’intervento dell’AGCM alla continuità della condotta per un significativo arco temporale.
6. Le censure sulla quantificazione della sanzione, invece, sono fondate nei limiti di quanto di seguito evidenziato.
L’art. 27, co. 9, d.lgs. 206/2005 prevede che, con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 500.000 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione.
Al fine di garantire l’efficacia deterrente della sanzione pecuniaria, il provvedimento ha preso in considerazione la dimensione economica dei professionisti (la ricorrente è società attiva nel commercio al dettaglio di generi vari, con un fatturato, nell’anno 2007, pari a 1.665 milioni di euro ed una perdita d’esercizio pari a 11,2 milioni di euro) e, con riguardo alla gravità della violazione, ha posto in rilievo che, nel caso di specie, l’obbligo di completezza e chiarezza delle informazioni veicolate si presenta particolarmente stringente, anche in considerazione del fatto che la concorrenza nel settore della vendita di automobili si svolge principalmente intorno alla variabile prezzo ed in rapporto alle caratteristiche dell’autovettura e del luogo di progettazione e fabbricazione della componentistica fondamentale.
Inoltre, nonostante la breve durata del messaggio, la fattispecie avrebbe avuto un considerevole impatto sul bacino di utenza nel quale i giornali sono stati diffusi, ovvero nelle province di Milano, Verona, Bergamo, Varese, Brescia e Como, anche in ragione della particolare convenienza dell’offerta promossa in un settore, come quello automobilistico, in forte competizione.
Sulla base di tali elementi, l’Autorità ha quantificato nei confronti della I.M. una sanzione pari ad Euro 80.000, con una riduzione di Euro 20.000 in ragione della perdita di esercizio rilevata nel 2007, sicché ha irrogato una sanzione pari ad Euro 60.000.
Le censure proposte meritano accoglimento laddove hanno dedotto la sproporzione della sanzione in ragione della scarsa durata dell’illecito e della minore gravità dello stesso rispetto a quanto evidenziato nel provvedimento.
In particolare, l’Autorità ha fatto riferimento al considerevole impatto sul bacino di utenza nel quale i giornali sono stati diffusi, ovvero nelle province di Milano, Verona, Bergamo, Varese, Brescia e Como.
Tuttavia, nelle valutazioni conclusive, l’Autorità ha evidenziato che i profili di scorrettezza oggetto di contestazione concernono le caratteristiche ed il prezzo di vendita di un’autovettura pubblicizzata sulle edizioni del Giornale di Brescia di giovedì 27 e venerdì 28 dicembre 2007 ed anche nella descrizione della pratica commerciale di cui al punto II del provvedimento e nella comunicazione di avvio del procedimento è fatto riferimento alla diffusione del messaggio sulle edizioni del Giornale di Brescia del 27 e 28 dicembre 2007.
Ne consegue che il riferimento, nella quantificazione della sanzione, ad un bacino di utenza individuato nelle province di Milano, Verona, Bergamo, Varese, Brescia e Como, appare sproporzionato rispetto all’effettiva capacità di penetrazione del messaggio pubblicitario in quanto diffuso per soli due giorni su un quotidiano a carattere essenzialmente locale.
Ne consegue che, in considerazione di una più attenuata gravità della violazione e della sua breve durata, la sanzione pecuniaria irrogata deve ritenersi eccessiva in quanto l’Autorità ha determinato una sanzione base oggettivamente consistente.
Il Collegio, nell’esercizio del potere giurisdizionale di merito previsto dall’art. 134, lett. c), del codice del processo amministrativo, ritiene equa l’irrogazione alla ricorrente di una sanzione pecuniaria base di Euro 40.000 (quarantamila/00) e, in ragione della perdita di esercizio rilevata nel 2007, ritiene di irrogare alla Società ricorrente una sanzione di Euro 30.000 (trentamila/00) in luogo della sanzione di Euro 60.000 (sessantamila/00) irrogata dall’Autorità con il provvedimento impugnato.
In definitiva, il ricorso va accolto in parte, nei sensi e nei limiti indicati, e, per l’effetto, deve essere riformato il punto d) della delibera impugnata e fissata in Euro 30.000 (trentamila/00) la sanzione amministrativa pecuniaria da irrogare alla Società ricorrente.
7. Le spese del giudizio, considerata la parziale reciproca soccombenza, devono essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
accoglie in parte, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, riforma il punto d) della delibera impugnata fissando in Euro 30.000 (trentamila/00) la sanzione amministrativa pecuniaria da irrogare alla Società ricorrente.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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