Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Il presente procedimento, qui giunto al controllo di legittimità, si riferisce ad una sanguinosa rapina e reati connessi, fatti perpetrati in Pula il 09.10.2007.- Con sentenza in data 12.02.2010 la Corte d’assise d’appello di Cagliari, in parziale riforma della pronuncia di primo grado resa in esito a rito abbreviato, riduceva le pene agli imputati nei seguenti termini: C.A. P. e Ca.Gi., anni 30 di reclusione e libertà vigilata per anni 3 ciascuno; No.Ra., anni 17 di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge.- Con la stessa sentenza tutti i predetti imputati venivano anche condannati al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, più spese di lite, in favore delle costituite parti civili.- C., Ca. e N. venivano così ritenuti colpevoli, da entrambi i giudici del merito, dei reati loro rispettivamente ascritti nei seguenti termini: 1) tutti tra loro in concorso: a) tentato omicidio plurimo di quattro carabinieri; b) omicidio consumato per aberratio del complice B.S.; c) rapina all’Ufficio postale; d) violenza privata; e) detenzione e porto illegali di tre pistole, un fucile a pompa ed una bomba a mano; f) detenzione e porto di armi clandestine; g e g bis, riuniti) ricettazione delle armi; h) furto aggravato di un furgone Fiorino, in tal senso qualificato il fatto originariamente contestato come ricettazione dello stesso; h bis) danneggiamento; 2) C. e Ca., in concorso, anche : i) rapina di un autocarro Nissan; 3) il solo C., anche: l) sequestro di persona; m) violazione di domicilio; n) minaccia; 49 il solo N., anche: o) porto ingiustificato di un coltello.- La suddette pene erano determinate dalla Corte territoriale previo riconoscimento, per tutti, del vincolo della continuazione tra i reati a ciascuno ascritti e previa riduzione per il rito abbreviato ex art. 442 c.p.p., nonchè concedendo al solo N. attenuanti generiche equivalenti ad aggravanti e recidiva, infine apportando per tutti gli imputati minore aumento, rispetto al primo grado, a titolo di continuazione.- In fatto, la vicenda era stata ricostruita nei seguenti termini, in estrema sintesi: – tre rapinatori travisati e con giubbotto antiproiettile (gli odierni ricorrenti), armati di pistole ed una bomba a mano, entravano nell’ufficio postale di Pula, passando dalla finestra del bagno, prima dell’arrivo dei dipendenti; al sopraggiungere di costoro, si facevano consegnare denari, poi si ponevano in attesa di altra impiegata, che aveva le chiavi della cassaforte, che doveva ancora arrivare; così facevano apporre all’esterno un cartello di chiusura dell’ufficio fino alle 9,30; nel frattempo una pattuglia di Carabinieri, a bordo di un’auto di copertura (Mitsubishi Pajero blindata) si era posizionata di fronte all’Ufficio postale, davanti ad un furgone Fiorino; – ad un certo punto, però, uno dei rapinatori riceveva una notizia al cellulare ed i tre uscivano, pistole in pugno, portando con sè due impiegati; – dal vano posteriore del Fiorino era allora uscito un quarto complice, il B., con giubbotto antiproiettile ed armato di un fucile a pompa; – seguiva una sparatoria con i Carabinieri, secondo i giudici del merito iniziata dai rapinatori (primo colpo esploso dal B.);
– in tale frangente il medesimo B. era raggiunto a morte da due colpi, uno sparato dalla pistola del Ca., e l’altro dal fucile del carabiniere M.; – il N., a quel punto, si arrendeva; – il Ca. ed il C. si davano alla fuga, inseguiti dai militari, proseguendo la sparatoria; – i predetti rapinavano un furgone Nissan; – il Ca., raggiunto ad una gamba, veniva arrestato; il C., proseguendo la fuga, entrava in un’abitazione sequestrando i presenti, quindi si arrendeva dopo tre ore di trattativa.- Tale ricostruzione era ritenuta complessivamente certa in relazione non solo alle conformi ed attendibili relazioni di servizio e dichiarazioni dei Carabinieri intervenuti, ma anche con riferimento a tutte le altre convergenti risultanze (altre deposizioni testimoniali, accertamenti balistici, ecc.).- Di contro le difformi dichiarazioni degli imputati erano largamente contrastanti anche con dati certi non discutibili.- Tale complesso probatorio consentiva di affermare che sicuramente i rapinatori avevano sparato per primi; che il Ca. aveva esploso 12 colpi di pistola contro l’auto Pajero dei Carabinieri; il B. un colpo di fucile contro il parabrezza; il N. un colpo di pistola che aveva raggiunto il Carabiniere Mo. alla mano; il C. un colpo che aveva raggiunto il fucile del Carabiniere M..- Quanto all’uccisione del B., lo stesso si era trovato nella linea di fuoco incrociato del Ca. e del carabiniere M.. Il rapinatore era stato raggiunto da un proiettile singolo, sparato dal Ca., che lo aveva colpito, da retro, in regione occipito nucale destra, e da proiettili sparati dal M. con il fucile in dotazione, che lo avevano raggiunto frontalmente al collo, appena sopra il giubbetto antiproiettile, e che erano penetrati nei polmoni e nel cuore. Entrambi tali colpi erano stati autonomamente mortali Peraltro dati balistici e medico legali, nonchè la posizione della vittima prima e dopo gli spari, imponevano di ritenere che il colpo sparato dal Ca. fosse stato il primo e che i colpi sparati dal M. lo avessero raggiunto solo quando stava cadendo in avanti dopo essere stato raggiunto dal proiettile amico. Infine l’autonoma sufficienza delle cause rendeva comunque colpevole il C.. I tre rapinatori dovevano dunque rispondere di concorso pieno non solo nel tentato omicidio plurimo dei Carabinieri, ma anche dell’omicidio consumato del B., per aberratio ictus, e non di concorso anomalo, essendo tutti armati e tutti avendo sparato contro le forze dell’ordine.- Tale essendo il quadro ricostruttivo sulla base delle coerenti prove raccolte, venivano respinte dalla Corte territoriale tutte le proposte tesi difensive, così escludendo sia l’attenuante della provocazione (il fuoco era stato iniziato dai rapinatori), sia la prospettata inidoneità dell’azione del tentato omicidio (invocata a cagione la blindatura della vettura dei Carabinieri), sia le subordinate dell’omicidio preterintenzionale o colposo, sia le attenuanti del concorso anomalo e della minima partecipazione (richiesta dal C.), sia l’assorbimento della violenza privata, successiva alla rapina propria già consumata, nella rapina stessa.
Infine la Corte territoriale respingeva le ulteriori deduzioni difensive dei tre imputati appellanti in ordine ai restanti reati ed in merito alle chieste generi che ( C. e Ca.) ed alla prevalenza delle stesse ( N.).- Ridotti, infine – come detto – gli apporti per la continuazione, le pene finali erano irrogate nei termini sopra già indicati.- 2. Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione i tre predetti imputati che motivavano le rispettive impugnazioni svolgendo le seguenti deduzioni:
2.1 – il C.: a) vizio di motivazione incongrua per travisamento dei dati raccolti e per errata valutazione dei dati indiziari; i Carabinieri dovevano avere avuto notizia precisa di quella progettata rapina e ciò solo induce almeno il dubbio su chi abbia sparato per primo; incongrua ricostruzione delle reciproche posizioni M. – B.; vi era stato uso eccessivo delle armi da parte dei Carabinieri; non rilevate contraddizioni nelle dichiarazioni dei Carabinieri stessi; dunque il primo sparo era stato del C.re Mo.;
b) erronea affermazione circa l’idoneità del tentativo, in presenza della blindatura dell’auto dei militari; c) irrilevanza dello sparo attribuito ad esso C.; conseguente mancanza di dolo e, comunque, errata esclusione della diminuente ex art. 116 c.p.; d) quanto all’omicidio del B., errata ricostruzione del fatto;
doveva ritenersi che il primo colpo fosse stato sparato dal Carabiniere M., con esiti immediatamente mortali, perchè lo raggiunse in piedi, mentre il colpo sparato dal Ca. lo aveva attinto quando già era in caduta, tanto che frammenti del vetro infranto del Fiorino vengono trovati sopra il cadavere; comunque sussiste sul punto almeno il ragionevole dubbio, originato da risultanze almeno controverse, che non consente la condanna; e) ingiustificato diniego delle generiche pur in presenza di molti elementi positivi.- 2.2 – il Ca.: a) quanto al tentato omicidio plurimo, errata considerazione circa la negata preconoscenza da parte dei Carabinieri ed il conseguente apprestamento di un dispiegato apparato antirapina;
per primo aveva sparato il C.re Mo.; non rilevate contraddizioni sul punto; b) la morte del B. era stata causata dalla fucilata al petto del M., che aveva colpito la vittima che era in piedi ed ancora viva, altrimenti non vi poteva essere la massiva emorragia interna, se costui fosse stato già ucciso dal colpo di pistola di esso Ca.; violazione della regola del ragionevole dubbio nel contrasto tra periti e consulenti; c) contrasto di dichiarazioni sulla bomba a mano ritrovata all’interno dell’Ufficio postale, da ritenere non persa accidentalmente, ma volontariamente lasciata, quale elemento di minore pericolosità per ogni conseguente valutazione; d) doversi ritenere il tentato omicidio plurimo assorbito nell’aberratio ictus plurilesiva, o ritenere l’omicidio preterintenzionale; e) mancanza di autonomia della violenza privata e dell’aggravante teleologica nel delitto di omicidio, assorbiti dalla rapina; f) errato diniego, e vizio di motivazione sul punto, della riapertura dell’istruttoria per escutere il teste Ch.
A. sulle sue dichiarazioni a giornalisti; g) uso eccessivo delle armi da parte dei Carabinieri il che avrebbe giustificato l’attenuante della provocazione e positiva valutazione ai fini delle attenuanti generiche; h) inidoneità dell’azione nel tentativo di omicidio dei Carabinieri per la blindatura dell’auto dietro alla quale gli stessi si riparavano; i) mancanza dell’elemento psicologico, posto che i rapinatori si erano resi conto che l’auto dei militari era blindata; l) vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.- 2.3 – il N.: a) incertezza del dato che i tre rapinatori, all’uscita, abbiano scarrellato le pistole per armarle, non essendo stati trovati bossoli; b) l’intento non era quello di attentare ai Carabinieri, ma di fermare il mezzo dell’Arma, quindi dolo eventuale incompatibile con il tentativo; c) il dolo eventuale non poteva sorreggere l’aberratio ictus; d) esso N. si era subito arreso, gettando la pistola, e quindi poteva rispondere solo ex art. 116 c.p.; e) doversi escludere la responsabilità per il reato di danneggi amento cui non ha partecipato.
2.4 In data 12.05.2011 la difesa del Ca. depositava memoria difensiva in tema di rapina (propria ed impropria) e circa la sostenuta non applicabilità dell’aggravante del nesso teleologico all’omicidio.
3. I ricorsi, tutti infondati in ogni loro deduzione, devono essere rigettati con tutte le dovute conseguenze di legge.
3.1- Ragioni di opportunità espositiva impongono di trattare dapprima le questioni proposte, in termini analoghi, da più imputati.- A. – L’argomento della preconoscenza dell’azione criminosa in capo ai Carabinieri, e quindi del loro previo appostamento di fronte all’ufficio postale – sul quale tanto hanno insistito le difese dal C. e del Ca. – risulta, in definitiva, irrilevante.
Premesso che, sul punto, la ricostruzione in fatto consegnata dai giudici del merito appare logica e coerente e, quindi, non censurabile in questa sede, va comunque affermato che tale tesi difensiva non consentirebbe in ogni modo di trame la prospettata conseguenza (che è il risultato cui siffatta tesi mira) che i Carabinieri abbiano sparato per primi. Ed invero è del tutto evidente che la dinamica della sparatoria ha seguito le contingenti evenienze, non un piano prestabilito (di cui proprio non c’è traccia), e che – anche in via generale – i militi dell’Arma avevano l’esigenza di controllare la situazione al fine di intervenire nel modo più opportuno e conveniente (oltre che in termini di legalità), ad esempio bloccare i rapinatori appena tutti fossero entrati nel Fiorino, e non potevano di certo avere la sconsideratezza, illogica e controproducente, di provocare una sparatoria anche da parte dei rapinatori, in risposta, sulla pubblica via, in un momento inopportuno anche dal loro punto di vista. In definitiva l’anzidetta tesi non consente, già in via logica, di ritenere che l’eventuale previo appostamento equivalga a priorità nella sparatoria, affermazione che peraltro è del tutto implausibile – oltre che in base ai dati di causa esaminati nelle precedenti sedi – anche alla stregua delle rilevate argomentazioni. Vi è, semmai, in proposito, un valido argomento contrario, e cioè l’avviso fatto a mezzo del cellulare dal B., che era nel Fiorino, ai complici (che erano all’interno dell’ufficio postale) che determinò i tre rapinatori ad uscire precipitosamente: dunque erano costoro ad avere avuto la davvero preoccupante notizia che li attendeva una pattuglia, di tal che erano loro che avevano la necessità di aprirsi la via per la fuga con ogni mezzo.- Si tratta – in definitiva – di tesi contraria alle risultanze, irrilevante sul piano meramente logico ed anche del tutto implausibile in termini di ragionevole alternativa.- Consegue che debba essere respinto anche il motivo di ricorso che denuncia il diniego della chiesta riapertura dell’istruttoria al fine di escutere un teste su una questione (appunto il previo appostamento da parte dei carabinieri) che, come appena motivato, risulta irrilevante ai fini del decidere.
B. – In merito alla morte del B., ogni deduzione dei ricorrenti è destituita di fondamento.- Deve essere qui ribadita la correttezza della soluzione data alla questione dall’impugnata sentenza. Non può, invero, essere posto in discussione che il colpo sparato dal Ca., che ebbe ad attingere il sodale alla nuca, penetrando e devastando l’encefalo (in particolare procurando la sezione del bulbo del tronco), sia stato di per sè sufficiente a cagionare la morte della vittima. Si tratta di conclusione scientifica certa e – in sè – non contrastata dagli imputati. Ciò posto, va positivamente ripercorso lo schema decisorio sul punto, del tutto corretto: 1. risulta irrilevante, in concreto, individuare chi abbia sparato per primo (il carabiniere o il Ca.) posto che entrambi i colpi siano stati, ognuno, potenzialmente mortali, ed attesa la loro sostanziale contestualtà; si determina così un concorso di cause pressochè simultanee che non interrompe, per ciascuno, il nesso causale, ex art. 41 c.p., comma 1; 2. la bontà del ragionamento è avvalorata dall’improponibilità della tesi falsificatrice: nessuno ha potuto ragionevolmente sostenere che la morte del B. sia stata causata esclusivamente dal colpo esploso dal carabiniere M. fino a rendere irrilevante quello sparato dal Ca.; interviene quindi il dettato dell’art. 41 c.p., comma 2, atteso che la causa sopravvenuta (il secondo colpo) potrebbe escludere il nesso causale del primo solo ove si potesse prescindere dai suoi effetti già in atto, ex se mortali, il che nella fattispecie non è sostenibile; 3. è peraltro provato – e va qui condiviso – che il colpo sparato per primo, sia pur con non più di qualche attimo di priorità, sia stato quello del Ca. sul duplice, insuperabile, rilievo: a) la caduta in avanti del B., con modalità e posizione direttamente discendente dalla tetraparesi flaccida immediatamente provocata dalla sezione del bulbo encefalico e secondo la linea di forza di un colpo proveniente da retro (ove, di contro, fosse stato attinto per primo dalla fucilata del M. avrebbe avuto torsione e caduta verso altra direzione); b) la traiettoria intracorporea dei colpi del M. che presuppongono che il B. fosse fortemente inclinato in avanti (e dunque già in caduta dopo essere stato colpito dallo sparo del Ca.). Si tratta di considerazioni assolutamente logiche e coerenti con i dati di causa, non superabili in base alle deduzioni dei ricorrenti, su aspetti veramente marginali. Peraltro – e la considerazione è decisiva – posti i parametri normativi ex art. 41 c.p., ogni deduzione difensiva risulta del tutto irrilevante se non si dimostra (perchè solo un tanto risulterebbe salvifico per gli imputati) che il Ca. non solo abbia sparato per secondo, ma abbia colpito un soggetto ormai già cadavere, il che neppure i consulenti di parte giungono a sostenere, ciò essendo contrario all’oggettiva realtà. Ed invero è comunque pacifico che il Ca., anche nella impostazione difensiva, abbia colpito il B. quando costui – pur eventualmente, in tesi, già attinto dalla fucilata avversa – era ancora in piedi, di tal che, certo essendo un margine di sopravvivenza anche per chi sia colpito al petto, ma ancora non è a terra, risulta indefettibile che la tesi defensionale non può giovare agli imputati, non potendo dimostrare l’irrilevanza causale, rispetto al decesso del B., anche di un colpo sparato per secondo contro un soggetto ancora in vita.- In definitiva (riassumendo per chiarezza): a) la sostanziale simultaneità funzionale dei colpi induce responsabilità degli imputati ex art. 41 c.p., comma 1; b) l’accertata priorità del colpo del Ca., per questione di attimi, non esclude il nesso causale, posto che la sufficienza autonoma della causa sopravvenuta, ex art. 41 c.p., comma 2, debba essere intesa nel concreto e non in astratto, e nel concreto il B. stava già morendo per il colpo del Ca.; c) comunque non è provata, e deve anzi essere di certo esclusa, l’autosufficienza letifera – nella situazione concreta – del colpo del carabiniere M., ove pure si dovesse ritenere che il Ca. abbia sparato per secondo, non potendosi affermare che (in tale situazione sostenuta dalle difese) egli abbia colpito un soggetto già morto.- Tanto ritenuto e ribadito, è di tutta evidenza come le varie argomentazioni spese dai ricorrenti in ordine ai particolari delle posizioni dei soggetti coinvolti, nonchè in ordine ad elementi asseritamene utili per stabilire la priorità degli spari, finiscano per rivelarsi assolutamente ininfluenti.
C. – La tesi dell’inidoneità del tentativo, proposta (dai ricorrenti C. e Ca.) in funzione della blindatura del mezzo del carabinieri, è patimenti priva di pregio. E’ del tutto corretta, invero, sullo specifico punto, la motivazione dell’impugnata sentenza (v. ff. 83 e segg.) che qui deve dunque essere convalidata. Da un lato si deve rilevare, in fatto, che alcuni colpi raggiunsero anche gli obbiettivi umani (il C.re Mo. colpito alla mano, il fucile del M. raggiunto da altro proiettile) a dimostrazione concreta che la blindatura del mezzo non poteva dare copertura totale (anche perchè i carabinieri dovevano necessariamente sporgersi per rispondere al fuoco), dall’altro si deve rammentare la pacifica giurisprudenza sul punto per cui l’inidoneità degli atti, nel tentativo, pur tenendo conto delle concrete circostanze, deve essere assoluta e non affidata a incerti criteri di probabilità. E’ dunque del tutto evidente come l’azione congiunta dei tre imputati (e dapprima del B.) contro l’auto dell’Arma, nella quantità, direzione e potenza di fuoco sopra rievocate, non possa in alcun modo dirsi essere stata in assoluto inidonea a procurare l’evento maggiore ai danni dei carabinieri.- Tale conclusione deve indurre l’irrilevanza anche del profilo soggettivo di siffatta tesi, da un lato perchè in concreto gli imputati continuarono a sparare (pur dopo la constatazione dell’esito del primo colpo esploso dal B.), dunque nella prospettiva di poter comunque raggiungere lo scopo, dall’altro in quanto essi non potevano avere effettiva conoscenza delle reali possibilità di resistenza (a fronte della potenza delle loro armi) dell’auto in questione.- D. – Deve essere altresì respinto il motivo di ricorso (proposto da C. e N.) che intende censurare il diniego della chiesta diminuente del concorso anomalo, ex art. 116 c.p.. Su tale punto risulta ineccepibile la motivazione dell’impugnata sentenza (v. ff.
123-125) che esclude la configurabilità in fatto, avendo entrambi sparato contro i carabinieri, e comunque alla stregua della consolidata giurisprudenza in materia, trattandosi di ipotesi di scuola in cui, per la predisposizione di un apparato armato da parte dei rapinatori, l’evento omicidiario non può dirsi eccezionale ed imprevedibile, onde tutti ne rispondono a titolo di concorso pieno e non anomalo (cfr., ex pluribus, Cass. Pen. Sez. 6, n. 18489 in data 13.01.2010, Rv. 246914, P.G. in proc. Rubino; ecc.). Ciò posto, risultano del tutto irrilevanti le deduzioni proposte dai predetti ricorrenti con argomenti (la dedotta irrilevanza dello sparo per il C., la questione dello scarrellamento della pistola per il N., la sua resa, ma dopo avere sparato) che non possono incidere in alcun modo su tale insuperabile quadro fattuale e giuridico.- E. – E’ del tutto infondato il motivo di ricorso (comune al C. ed al Ca.) che, al fine di sostenere la richiesta dell’attenuante della provocazione ed una positiva valutazione per la concessione delle generiche, si duole della mancata considerazione dell’uso eccessivo delle armi da parte dei carabinieri.- Si tratta di tesi totalmente infondata.- Il diniego delle generiche è stato motivato sul complesso assolutamente negativo della globale valutazione, per entrambi i predetti imputati, della rilevante gravità dei fatti commessi e delle personalità non meritevoli, di tal che l’entità del (peraltro legittimo) fuoco di contrasto risulta a tal fine ininfluente. La considerazione in fatto che a sparare per primi furono i rapinatori (il B.) e la stessa azione criminosa della rapina appena compiuta escludono in radice la giuridica possibilità di concepire, in modo corretto, la concreta configurabilità dell’attenuante ex art. 62 c.p., n. 2, avendo essi dato causa alla legittima reazione dei Carabinieri.- Ancora più a monte, peraltro, la tesi di fondo, di un uso eccessivo delle armi da parte dei carabinieri, che si trovarono di fronte quattro rapinatori che sparavano, è destituita di fondamento in fatto e non sorretta, peraltro, negli atti di ricorso, che da soggettive ed apodittiche affermazioni di parte.- Infine – a conclusione sul punto – l’anzidetta tesi difensiva, che invoca anche principi internazionali sulla proporzione dell’azione da parte delle forze dell’ordine e la necessità di qualificarsi prima di agire, dimentica: a) che i rapinatori ben si erano resi conto che avevano a che fare con carabinieri, posto che il B. aveva avvertito via cellulare i complici ancora dentro l’ufficio postale, e rilevato che costui aveva sparato per primo; b) che a fronte di rapinatori che sparano, nella pubblica via, contro i tutori dell’ordine, costoro non hanno altro mezzo che rispondere al fuoco (a difendere la collettività, non solo se stessi), secondo criteri di proporzionalità indotti dalle circostanze che, però, non possono essere in definitiva pressochè azzerati come nell’errata proposizione dei ricorrenti.- F. – Le correlate tesi (del Ca. e del N.) che insistono, sub specie vizi di legittimità, sul mancato accoglimento delle prospettazioni difensive del delitto preterintenzionale, della incompatibilità del dolo eventuale con il tentativo e dell’assorbimento di quest’ultimo nell’aberratio plurioffensiva, non hanno pregio.- Su tutte tali impostazioni assolutamente corretta è stata, invero, la valutazione della Corte territoriale.- L’omicidio preterintenzionale va escluso in radice, posto che, nel quadro circostanziale anzidetto, quale consegnato dai giudici del merito dopo logica e coerente analisi delle risultanze, ed in base alla stessa potenzialità delle armi usate dagli imputati, deve del tutto escludersi che loro intenzione fosse solo quella minore di cagionare mere lesioni. Del resto il limite applicativo della fattispecie di cui all’art. 584 c.p. è la previsione del decesso della vittima sorretta da dolo almeno alternativo, il che già introduce nell’area dell’art. 575 c.p..- Quanto al tentativo, il dolo eventuale è stato escluso dai giudici del merito, con affermazione coerente e corrispondente alla consolidata giurisprudenza, ritenendo, appunto, nel concreto, essere l’azione sorretta almeno da dolo alternativo, di tal che non sussiste la qui prospettata incompatibilità.- Infine, sul tema dell’assorbimento del tentato omicidio nel delitto aberrante plurilesivo, occorre rilevare che la Corte cagliaritana ben ha operato nella determinazione concreta della pena, in realtà (al di là delle questioni accademiche sulla definizione del reato aberrante, ed a prescindere della qualificazione del fatto come tentato omicidio plurimo dei carabinieri) agendo ex art. 82 c.p., comma 2, ed in tal senso apportando aumento di pena (un anno di reclusione) nei limiti di tale norma e dichiaratamente ad essa rifacendosi. La proposta questione è, quindi, del tutto irrilevante.- Si passa ora a vagliare i motivi proposti unicamente dai singoli ricorrenti.- 3.2 – Quanto all’ulteriore questione proposta dal ricorso del C.. relativa alle negate generiche, parimenti se ne deve rilevare l’infondatezza.- Ed invero il diniego delle chieste attenuanti ex art. 62 bis c.p. è stato motivato dalla Corte territoriale (v. ff. 140-143), così come in modo conforme dal primo giudice, con davvero ampio e coerente apparato giustificativo che da un lato sottolinea la rilevante, non comune, obbiettiva gravità delle condotte (da costui proseguite oltre la sparatoria, fino all’arroccamento nella casa di cittadini inermi) e la notevole capacità criminale dimostrata, dall’altro il difetto di evidenti segni di resipiscenza. Trattasi di corretto esercizio della ragionevole discrezionalità nella docimasia sanzionatoria che il legislatore riserva al giudice del merito e che ove – come nella fattispecie – adeguatamente motivata in coerenza ai dati di causa, risulta incensurabile nella presente sede di legittimità. Gli argomenti del ricorrente sul punto, del resto, ribadiscono i propri assunti, già esaminati nelle precedenti sedi, chiedendone rivalutazione, con chiara inammissibilità sullo specifico punto.- 3.3 – Altrettanto è a dire, in termini di infondatezza, in ordine alle residue doglianze proposte nel ricorso del Ca..- A. – Un primo argomento riguarda la bomba a mano tipo ananas rinvenuta all’interno dell’ufficio postale della quale si rivendica il volontario abbandono, quale elemento di minore pericolosità, anzichè l’accidentale perdita (come ritenuto in sentenza).- Siffatta tesi – vera o no che sia in fatto – è davvero singolare, per non dire sconcertante. In sostanza essa si identifica nella consapevole rinuncia ad una possibile strage di carabinieri prospettata quale elemento di merito da parte di soggetti che, disponendo comunque di un fucile e di pistole, non hanno poi esitato a crivellare l’auto dell’Arma ed a sparare contro i militari. Non costituisce merito avere "rinunciato" ad una strage, reato dei più gravi, essendo già abbastanza demerito – ad ogni fine, penalistico e di valutazione complessiva – avere portato una bomba a mano dentro un ufficio postale ove normalmente sussiste concorso di persone.- B. – Anche i motivi di ricorso relativi alla violenza privata ed all’aggravante del nesso teleologia) nell’omicidio, che si vorrebbe assorbiti nel delitto di rapina, non sono fondati. Sul punto, in risposta agli argomenti degli appellanti, qui in sostanza ripetuti, già la Corte territoriale ha speso (v. ff. 126 e segg.) corretta motivazione. La violenza privata (nel caso in esame contro la S. ed il Ma. per farsene scudo), che si aggiunga ad un reato di rapina già consumato in ogni sua specifica componente, costituisce pacificamente reato autonomo non assorbito, in quanto integra un quid plurìs non strettamente necessario, rispetto a violenza e minaccia già comunque esercitate, e quindi si impone anche l’aggravante ex art. 61 c.p., n. 2 per la chiara finalità strumentale (tentare di ottenere l’impunità); sul punto la giurisprudenza è concorde nel ritenere l’assorbimento solo ove – caso qui non ricorrente – la violenza sia immediatamente e funzionalmente ricollegarle alla sottrazione, non successiva e legata ad altra finalità (tentare di salvarsi dall’arresto).- Per lo stesso principio – perchè la rapina era ormai esaurita in ogni sua componente essenziale e perchè la finalità non era più quella di usare violenza per realizzare l’impossessamento, ma tentare di sottrarsi alle forze dell’ordine – è parimenti destituita di fondamento la stessa tesi (assorbimento) prospettata in relazione all’aggravante teleologia ritenuta per i reati omicidiari, che dunque, al pari della violenza privata, correttamente è stata ritenuta sussistente dai giudici del merito.- C. – Nessun positivo apprezzamento merita poi la doglianza relativa al diniego delle chieste attenuanti generiche. Anche per questo imputato occorre rilevare come la Corte territoriale, a conferma del primo giudice e pure con rimando a quelle argomentazioni, abbia esplicato ampia e corretta motivazione (v. ff. 143-146), a concreta giustificazione del proprio negativo convincimento basato sui due pilastri valutativi della rilevante e non comune gravità della complessiva condotta, oggettivamente considerata, e della non positiva personalità (è lui che dirigeva i complici all’interno della Posta; è lui che aveva la bomba a mano; è lui che ha sparato il maggior numero di colpi contro i carabinieri; è lui che materialmente ha ucciso il B.; anche lui, come il C., ha proseguito l’azione criminosa commettendo anche la rapina sub I ai danni del L.).- Trattasi, poi, di soggetto gravato da recidiva reiterata specifica, a conferma della propensione a consimili azioni delittuose.- A fronte di tali imponenti considerazioni, le doglianze qui proposte, peraltro ripetitive di argomenti già prospettati e già correttamente respinti dai giudici del merito, non possono avere ingresso.- 3.4 – Anche il residuo motivo di ricorso del N., relativo ai danneggi amenti, non può essere accolto, ed anzi risulta inammissibile.- Ed invero emerge dal testo dell’impugnata sentenza che questo imputato non aveva proposto specifici motivi d’appello contro la condanna di prime cure per tale reato (v. ff. 53-57) di tal che già, sul punto, la Corte territoriale aveva rilevato (v. ff. 129- 130) l’inammissibilità del generico gravame in funzione assolutoria.
Nè possono valere le deduzioni oggi spese in termini di intenzioni da leggere nel senso complessivo dell’impugnazione, stante la necessità che i motivi dell’impugnazione siano specifici. Peraltro la doglianza di estraneità non è comunque fondata in relazione ai veicoli, di cui alla contestazione, colpiti nel conflitto a fuoco davanti all’Ufficio postale, cui anche il N. ha partecipato.- 3.5 – In definitiva tutti i ricorsi, infondati, impongono rigetto.
Alla completa reiezione delle impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna degli imputati ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti C.A.P., Ca.Gi. e N.R. al pagamento delle spese processuali.
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