T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 20-09-2011, n. 7457

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La ricorrente ha presentato in data 23 novembre 2009 istanza al Comune di Roma – Municipio III per ottenere il rilascio dell’autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande ai sensi della legge regionale n. 21/06.

Con determinazione dirigenziale del 5 marzo 2010 è stato alla stessa comunicato il diniego della chiesta autorizzazione in attesa della definizione degli indirizzi della Regione, di cui all’articolo 4 della richiamata legge regionale e della determinazione dei criteri dei Comuni di cui all’articolo 5.

Avverso detto provvedimento veniva proposto ricorso al T.A.R. Lazio il quale con sentenza 11325/2010 accoglieva il ricorso e annullava il provvedimento impugnato.

Successivamente, a seguito della approvazione della delibera del Consiglio Comunale n.35/2010 recante i ricordati criteri, il Comune di Roma ha riaperto l’istruttoria relativa all’istanza proposta dalla ricorrente richiedendo con nota del 5 luglio 2010 documentazione ulteriore che tuttavia non è stata fornita. A fronte di detta richiesta di integrazione documentale, la società ricorrente ha rilevato che l’amministrazione comunale non avrebbe dovuto applicare alla sua istanza la delibera n.35/2010 e non avrebbe potuto richiedere il rispetto di ulteriori requisiti e criteri, che peraltro la stessa ricorrente non sarebbe stata in grado di soddisfare per la oggettiva impossibilità dei locali di cui aveva acquisito la disponibilità.

Il Comune invece, sempre secondo quanto affermato dalla ricorrente, in seguito all’annullamento da parte del Tar del precedente provvedimento, avrebbe dovuto riesaminare l’originale domanda alla luce della disciplina vigente al momento della domanda stessa, presentata in data 23 novembre 2009.

Con determinazione del 3 settembre 2010, il Comune di Roma, non avendo la ricorrente presentato la documentazione richiesta, ha negato il rilascio della chiesta autorizzazione rilevando che "il procedimento era ancora in itinere al momento dell’entrata in vigore dello ius superveniens e visto che il d. lgs. 59/2010 nel recepire la direttiva comunitaria ha disposto che i comuni possono adottare provvedimenti limitativi all’apertura di nuove autorizzazioni di somministrazione al fine di garantire la sostenibilità ambientale, sociale e di vivibilità nelle zone già fortemente gravate dalla presenza di forte concentrazione di attività commerciali ed elevati livelli di pressione antropica; che pertanto la comunicazione di inizio attività presentata il 13 agosto 2010 deve considerarsi nulla tenuto conto che la Società F.D.P. S.r.l. non ha prodotto la documentazione prevista dall’articolo 15 comma 3 della determinazione C.C. n. 35/2010 richiesta".

Avverso detta ultima determinazione è proposto il presente ricorso a sostegno del quale si deduce:

1) violazione del principio di legalità e del principio "tempus regit actum", violazione dell’art. 15 d. lgs. n. 59 del 2010. Illogicità manifesta. Contraddittorietà. Omessa comparazione dell’interesse pubblico con quello privato. Violazione del principio di divieto di aggravamento del procedimento. Carenza di motivazione.

Secondo la ricorrente il principio di legalità impone l’esplicazione della funzione amministrativa secondo la normativa vigente al tempo in cui la funzione si esplica (tempus regit actum).

Il diniego impugnato è stato emesso in data 3 settembre 2010 e comunicato in data 15 settembre 2010: poiché entrambe le date sono successive all’entrata in vigore del D. Lgs. 26032010 n. 59 (attuativo della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno) e l’articolo 15 del citato decreto prevede che le condizioni cui può essere subordinato l’accesso e l’esercizio delle attività devono essere rese pubbliche preventivamente, ne consegue che nel procedimento in esame, introdotto con istanza del 23 novembre 2009 non andavano applicate le disposizioni sopravvenute con l’introduzione della delibera n. 35/2010, e che la domanda della ricorrente intesa ad ottenere la autorizzazione andava valutata con riferimento alle norme vigenti al momento della sua presentazione.

2) Violazione e falsa applicazione della legge 682006, n. 248, art. 3, comma 1 (c.d. decreto Bersani). Disparità di trattamento. Contrasto con il diritto dell’unione europea in tema di libera concorrenza, libertà di accesso al mercato e di iniziativa economica. Contraddittorietà, irragionevolezza e ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione.

Afferma la ricorrente che la delibera 35/2010, sulla quale è fondata la determinazione dirigenziale di diniego, imponendo requisiti strutturali e criteri di qualità solo per le nuove autorizzazioni, crea ingiustificate condizioni di privilegio per gli operatori economici preesistenti e rende gravoso l’accesso al mercato di nuovi operatori.

In tal senso, i provvedimenti impugnati palesano una evidente irragionevolezza e manifesta ingiustizia in favore degli esercizi preesistenti nonché disparità di trattamento rispetto a questi ultimi.

La ricorrente poi contesta anche la scelta operata con la delibera n. 35/2010, con la quale si dispone l’attribuzione di punteggi più restrittivi per le zone più sviluppate dal punto di vista economico commerciale ove l’offerta è maggiore e punteggi meno restrittivi alle zone meno sviluppate, scelta che finisce illegittimamente con l’incidere sull’equilibrio tra domanda e offerta.

3) violazione dell’articolo 15 lettera "a", "b", "c", "e," "g" dell’articolo 11, lettera "e", dell’articolo 64 e dell’articolo 71 del d. lgs. n. 59/2010.

Con la delibera n. 35/2010, la quale si porrebbe in contrasto con detta disciplina nazionale sotto molteplici aspetti, il Comune di Roma ha inteso "contemperare l’interesse dell’imprenditore al libero esercizio dell’attività e quello della collettività ad un servizio commerciale adeguato, nonché garantire la migliore e capillare localizzazione delle attività stesse, tale da rispondere alle necessità del territorio del Comune di Roma, salvaguardando le zone di pregio artistico, storico, architettonico, archeologico ed ambientale". Afferma la ricorrente che le misure in concreto adottate dal Comune di Roma non rispondono all’intento di raggiungere detti obiettivi, non perseguono alcuna di tali finalità ed in particolare non garantiscono affatto l’interesse dell’imprenditore al libero esercizio dell’attività né quello della collettività inteso come fruizione di un servizio adeguato.

In primo luogo perché le misure introdotte palesano una evidente irragionevolezza e manifesta ingiustizia in favore degli operatori economici preesistenti, per i quali non è introdotto nessuno stimolo di miglioramento della qualità, neppure in ipotesi di subingresso.

Ad avviso della ricorrente, la delibera n. 35/2010 richiede per i locali per i quali è stata chiesta l’autorizzazione, siti in via Catania n. 79/81, requisiti oggettivamente (invero mai specificati) impossibili da conseguire, prevedendo un sostanziale diniego del libero accesso al mercato non conforme alla normativa sopra citata e a totale favore degli esercizi esistenti, esonerati da detti requisiti. Infine. si afferma la violazione dell’art. 71 del d.lgs. n. 59 del 2010 in quanto il potere di determinare i requisiti soggettivi di esercizio di una qualsiasi attività commerciale è riservato allo Stato.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale affermando l’infondatezza del proposto ricorso e chiedendo che questo venga respinto.

Alla pubblica udienza del 14 luglio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

La questione principale all’esame del Collegio è quella dell’applicabilità alla procedura de qua dello ius superveniens costituito dalla delibera di consiglio comunale n. 35 del 2010 recante i criteri che impedirebbero alla ricorrente di conseguire l’autorizzazione. In altri termini, si sostiene, l’istanza della ricorrente avrebbe dovuto essere valutata con riferimento alle norme vigenti al momento della sua presentazione. Orbene, l’istanza è del 23 novembre 2009; con determina dirigenziale del 5 marzo 2010 è stato adottato un primo diniego; con sentenza del 14 maggio 2010 detto primo diniego è stato annullato; la detta sentenza è stata comunicata in data 18 maggio 2010; a seguito del disposto annullamento il procedimento è stato riattivato dal Comune di Roma con nota del 5 luglio 2010 ed infine definito con il diniego, in questa sede avversato, del 3 settembre 2010. La delibera consiliare recante lo ius superveniens di cui è questione è del 16 marzo 2010, dunque antecedente la comunicazione al Comune della sentenza n. 11325/2010.

Ciò posto, ritiene il Collegio che la questione vada risolta nel senso dell’applicabilità alla procedura de qua del regolamento (e con esso dei criteri) recati dalla delibera consiliare n. 35 del 2010. Si tratta, infatti, della medesima procedura attivata su istanza di parte della quale va rinnovato (a seguito dell’annullamento del primo diniego) l’autonomo segmento rappresentato dalla valutazione e determinazione finale dell’amministrazione procedente. Al segmento di procedura da riattivarsi a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale del primo provvedimento vanno dunque applicate le disposizioni ratione temporis applicabili, ivi compreso, come nella specie, eventuale ius superveniens, proprio in applicazione del principio tempus regit actum. Come ha osservato condivisibile giurisprudenza, infatti, la inapplicabilità delle disposizioni normative sopravvenute alle procedure in itinere alla data della loro entrata in vigore non concerne le sequenze procedimentali composte di atti dotati di propria autonomia funzionale (cfr. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 10 maggio 2011, n. 458 che ha appunto ritenuto che la procedura concorsuale di selezione, proprio perché contrassegnata dal carattere di unitarietà, è interamente disciplinata dalle norme vigenti al momento in cui essa ha inizio). La esposta conclusione è in linea con la ripetuta affermazione per cui il procedimento amministrativo è regolato dal principio tempus regit actum, con la conseguenza che la sua legittimità va valutata con riferimento alle norme vigenti al tempo in cui è stato adottato (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 29 marzo 2011, n. 1900).

Invero è la stessa parte ricorrente ad invocare l’applicazione del principio tempus regit actum al fine di affermare l’applicabilità al caso di specie del decreto legislativo n. 59 del 2010, attuativo della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, e segnatamente del suo articolo 15, a mente del quale le condizioni cui può essere subordinato l’accesso e l’esercizio delle attività prevede che tali condizioni siano rese pubbliche preventivamente, e cioè prima della presentazione della domanda da parte dell’operatore, così fondando una censura di illegittimità del diniego in questa sede avversato. Ma proprio quanto innanzi rilevato in ordine alla regola tempus regit actum consente di osservare che, anche se il citato decreto legislativo è anteriore all’adozione del diniego impugnato, la disposizione di cui si assume la violazione concerne fase della procedura già consumata, quella cioè della proposizione della domanda, conseguendo all’annullamento del primo diniego non già il rinnovo dell’intera procedura ma solamente il rinnovo dell’attività istruttoria e delle finali determinazioni dell’amministrazione, ferma restando l’istanza del privato (ed a maggior ragione ciò che cronologicamente dovrebbe precedere detta istanza).

Con altra articolata censura la ricorrente afferma poi un sostanziale contrasto tra la delibera consiliare n. 35 del 2010, sulla cui scorta è comunque adottato il diniego avversato ed i principi recati dal decreto legislativo n. 59 del 2010.

La censura non è ammissibile.

Devesi ricordare che il diniego avversato non è fondato sulla mancanza di un dato requisito piuttosto che di un altro, quali previsti dal regolamento adottato con la citata delibera consiliare, ma molto più semplicemente sulla circostanza per cui non è stata prodotta la documentazione integrativa prevista dalla citata delibera ed oggetto di puntuale richiesta operata con nota del Comune di 5 luglio 2010. In altri termini, la censura che investe l’asserito contrasto tra regolamento comunale e normativa nazionale di recepimento della direttiva comunitaria – in difetto della specificazione di quali requisiti e/o condizioni richiesti dal regolamento comunale e del caso non posseduti dalla ricorrente sarebbero da ritenersi illegittimamente richiesti dall’amministrazione – appare rivolta ad una generica ed inammissibile tutela della legittimità disancorata dalla titolarità di una posizione differenziata che deve riscontrarsi in capo a chi agisce. Posizione che non può dirsi, nella specie, sussistente solo perché la ricorrente ha visto una sua istanza denegata, necessitando del riscontro (con adeguato principio di prova) di specifici profili di illegittimità, questi direttamente interessanti la posizione della ricorrente.

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il Collegio respinge il ricorso in esame poiché infondato.

Sussistono tuttavia giuste ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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