Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 23 gennaio 2003 T.A.M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brescia, R. C., M.A. e P.G..
L’attrice esponeva di essere stata istituita erede da Te.
F., deceduta all’età di 87 anni il 4 gennaio 2002, con un testamento olografo del 2 novembre 1999. Riferiva che il 29 aprile 2002 era stato pubblicato un altro testamento olografo della Fo., con il quale quest’ultima nominava eredi la C., il M. e la P.. Chiedeva pertanto la declaratoria di inesistenza del testamento successivamente pubblicato, contestandone i requisiti di olografia, e in subordine esperiva azione di nullità per incapacità di intendere e di volere della testatrice al momento della redazione del testamento.
I convenuti si costituivano e contestavano la domanda dell’attrice chiedendone il rigetto.
Espletate due consulenze tecniche d’ufficio, l’adito Tribunale riteneva che il testamento contestato fosse olografo e rigettava quindi la domanda principale; accoglieva invece quella subordinata, ritenendo che la testatrice, al momento della redazione dell’atto, fosse affetta da grave scompenso delle facoltà cognitive spaziotemporali e versasse quindi in stato di incapacità naturale;
annullava pertanto il testamento.
M.A. e P.G. proponevano appello avverso tale sentenza; resisteva la T., la quale proponeva appello incidentale per ottenere la riforma della sentenza nella parte in cui era stata rigettata la domanda di inesistenza o nullità del testamento per mancanza totale di autografia. Si costituiva altresì la C., aderendo alle conclusioni degli appellanti.
L’adita Corte d’appello di Brescia, con sentenza depositata il 7 maggio 2009, rigettava l’appello incidentale e il primo motivo dell’appello principale; accoglieva il secondo e il terzo motivo dell’appello principale, concernenti l’accoglimento della domanda subordinata di dichiarazione della incapacità di intendere di volere della de cuius.
La Corte rilevava che il ragionamento del Tribunale partiva dalla constatazione che la consulenza tecnica grafologica avesse evidenziato visibili indici grafici significativi di una probabile incapacità di intendere e di volere fondato su turbe grafiche e turbe paragrafiche; rilevava altresì che secondo il Tribunale la consulenza tecnica medica, pur non avendo evidenziato in termini clinici la presenza di una patologia psichica alla data di redazione del testamento, neppure avrebbe escluso che a tale momento vi fosse uno stato di alterazione delle facoltà cognitive della de cuius, tale da comportare la sua incapacità naturale; rilevava infine che secondo il Tribunale la scheda testamentaria avrebbe avuto un contenuto irragionevole e illogico e sarebbe stata sicuramente redatta in luogo differente da quello apparente.
La Corte osservava quindi che, tenuto conto oltre che dello stato di salute anche della età e del grado di scolarizzazione della de cuius, le turbe grafiche individuate dal Tribunale trovavano una loro logica potendo essere riferite al tremore della mano e alla grave ipoacusia. Evidenziava poi che il consulente medico legale aveva affermato che il decadimento cognitivo in un contesto senile arteriosclerotico non documentava elementi psicopatologici certi, tali da ritenere la de cuius incapace di intendere di volere ovvero atti a dimostrare che tali capacità fossero significativamente compromesse. In particolare il consulente medico non aveva riscontrato alla data del testamento alcuna patologia tra quelle che normalmente determinano uno stato di incapacità. La Corte bresciana riteneva infine che il contenuto della scheda testamentaria non potesse essere definito, in termini assoluti, irragionevole e illogico, individuando per ciascuna delle anomalie rappresentate dal consulente grafico una diversa possibile giustificazione compatibile con uno stato di non incapacità di intendere e di volere.
In sostanza la Corte d’appello faceva applicazione del principio secondo cui al fine dell’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore, non basta una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive, ma è necessario che a cagione di una infermità, transitoria o permanente, o di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, nel momento della redazione del testamento, della coscienza dei propri atti oppure della capacità di autodeterminarsi. E poichè lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a colui che impugna il testamento di mostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso spetta a chi vuole avvalersi del testamento dimostrare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo.
Per la cassazione di questa sentenza T.A.M. ha proposto ricorso sulla base di due motivi; hanno resistito con distinti controricorsi M.A. e P.G., nonchè C.R..
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione in forma semplificata.
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia.
La censura della ricorrente si appunta sul fatto che la Corte d’appello ha giustificato la erronea indicazione del luogo di redazione del testamento ritenendo che la de cuius si fosse appena trasferita da (OMISSIS), mentre dalla documentazione in atti e dalle altre risultanze istruttorie emergeva che la testatrice risiedeva a (OMISSIS) ormai da un anno. La motivazione alla Corte d’appello prenderebbe quindi le mosse da un fatto non veritiero e sarebbe cosi inficiata in un suo punto essenziale: la confusione spaziale della de cuius non poteva essere giustificata, come ha fatto la Corte d’appello, con la consuetudine, posto che la stessa viveva a Chiari da lungo tempo e ben doveva essere cosciente di tale fatto.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione in relazione alle risultanze peritali. Si duole del fatto che la Corte d’appello avrebbe sostanzialmente ignorato la perizia grafica nella parte in cui confermava l’incapacità della testatrice all’atto della redazione del testamento, sostituendo al giudizio tecnico della consulente tecnica proprie immotivate presunzioni circa quelle che avrebbero potuto essere o sarebbero state le condizioni psichiche e fisiche della testatrice al momento della stesura della scheda. In particolare nella consulenza grafica si rilevava che erano emersi indici grafici che consentivano di formulare un giudizio di incapacità di intendere e di volere, essendo state rilevate turbe grafiche, paragrafiche ed extragrafiche che sembravano essere l’effetto di significativi deficit nei parametri dell’attenzione, senso-percezione, memoria, volontà e ragionamento. La Corte d’appello non avrebbe neanche tenuto conto del fatto che, secondo la consulente grafica, l’ipotesi più verosimile per poter spiegare le contraddizioni tra una grafia e un testo destrutturati e la contemporanea presenza di indici di controllo, era quella della presenza, durante la stesura del testamento, di una persona la quale, pur non avendo guidato la mano della scrivente, aveva molto probabilmente consentito un minimo di controllo della scrittura, sia nella formulazione del testo, sia nella sua esecuzione grafica.
Inidoneo a giustificare la decisione sarebbe poi il rilievo contenuto nella sentenza impugnata che alcuni indici tra quelli evidenziati dalla consulente grafica si rinvenivano anche nella precedente scheda testamentaria redatta dalla Fo. il 2 novembre 1999. In sostanza, assume la ricorrente la Corte d’appello avrebbe disatteso l’esame obiettivo del testamento formulato dalla consulente tecnica, per sostituirlo con un giudizio proprio, formato da presunzioni che, peraltro, prendono le mosse da fatti, la cui falsità risulta provata agli atti.
La Corte d’appello non avrebbe poi adeguatamente valutato la relazione del consulente tecnico medico ponendola nella necessaria relazione con gli indici desumibili dalla consulenza grafica; in ogni caso il consulente medico non. aveva affatto escluso che la testatrice al momento della redazione del testamento fosse in realtà incapace.
Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366-bis.
Invero, il provvedimento impugnato è stato depositato il 7 maggio 2009, sicchè trova piena applicazione il disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., recante una specifica disciplina circa la formulazione dei motivi di ricorso per cassazione.
Con riferimento, in particolare, ai motivi di ricorso con i quali si denuncia vizio di motivazione, si deve rilevare che le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare che l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., S.U., n. 20603 R.G. n. 9124 del 2010 del 2007). In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., n. 16002 del 2007).
In sostanza, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass. n. 27680 del 2009).
Nella specie i motivi di ricorso, formulati ex art. 360 c.p.c., n. 5, sono totalmente privi di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione dei motivi.
Si deve solo aggiungere che non rileva la circostanza che il ricorso sia stato notificato quando la L. 18 giugno 2009, n. 69, che ha abrogato l’art. 366-bis cod. proc. civ., era già stata pubblicata ed entrata in vigore.
Infatti, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5 in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass. n. 22578 del 2009; Cass. n. 7119 del 2010).
Da ultimo, è opportuno rilevare che entrambi i motivi di ricorso sollecitano nuovo apprezzamento delle risultanze istruttorie, diverso da quello effettuato dal giudice del merito senza evidenziare vizi logici o contraddittorietà della motivazione tali da non consentire di individuare chiaramente quale sia stata la ratio decidendo della sentenza impugnata. Le censure inoltre vengono prospettate senza tener conto del fatto che dalle risultanze della consulenza tecnica medica non emerge, secondo quanto riferito nella sentenza impugnata, una patologia idonea a determinare una condizione di incapacità di intendere e di volere e senza considerare che proprio su tale presupposto la Corte d’appello ha correttamente fatto applicazione dei principi individuati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di ripartizione dell’onere della prova allorquando venga impugnato un testamento adducendo una condizione di incapacità naturale.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso ; condanna la ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano, per ciascuna parte controricorrente, in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
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