Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-01-2011, n. 1145 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 8.2/20.4.2006 la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede che rigettava la domanda proposta da P.C. per l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli dalla Scoccimarro spa il 22.9.2000.

Osservava in sintesi la corte territoriale, nel convalidare la legittimità del licenziamento impugnato, che gli esiti dell’istruttoria davano atto di una condotta del lavoratore poco trasparente nella gestione della cassa, che, proprio in ragione delle mansioni svolte, non poteva che minare la fiducia del datore di lavoro.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso P.C. con due motivi.

Resiste con controricorso la Scoccimarro spa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, osservando che la corte territoriale, disattendendo il principio di specificità ed immutabilità della contestazione, aveva qualificato come circostanza legittimante il licenziamento il fatto che l’azienda avesse in passato avviato procedimenti disciplinari nei confronti del dipendente per comportamenti similari a quelli contestati, e conclusisi con il mero rimprovero, laddove la contestazione aveva riguardato ben diverse circostanze, e precisamente l’emissione di uno scontrino dietro versamento di una somma di importo superiore, l’esistenza di eccedenze di cassa, la violazione della regola aziendale che imponeva l’immediata digitazione dello scontrino e il successivo incasso del denaro.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c. e L. n. 300 del 1970, art. 7, ed, in proposito, osserva che la Corte Territoriale, con motivazione contraddittoria e perplessa, aveva omesso di valutare la proporzionalità della sanzione ai fatti contestati, nonchè la effettiva lesione arrecata dagli stessi al vincolo fiduciario.

Il primo motivo è infondato.

Risulta dalla sentenza impugnata che la corte territoriale ha ritenuto che gli esiti dell’istruttoria, analiticamente ricostruiti, anche con riferimento alle giustificazioni, "obiettivamente contraddittorie", progressivamente fornite dal lavoratore, confermando il complesso dei fatti addebitati (emissione di uno scontrino dietro versamento di una somma di importo superiore, esistenza di eccedenze di cassa, violazione delle regole aziendali che imponevano l’immediata digitazione dello scontrino e il successivo incasso del denaro), davano riscontro ad "una condotta poco trasparente nella gestione della cassa", che risultava di per sè idonea, in ragione delle mansioni svolte, a pregiudicare il vincolo fiduciario col datore di lavoro.

Ha osservato, peraltro, la corte napoletana che il fatto "che l’azienda in passato avesse avviato procedimenti disciplinari nei confronti del P. per comportamenti simili a quello tenuto, sfociati in un mero rimprovero, non appariva argomento idoneo a fondare la tesi di una sproporzione tra il comportamento tenuto dal lavoratore e la sanzione intimata", confermando, anzi, pure tali circostanze la inaffidabilità del dipendente e l’incompatibilità del suo comportamento con le mansioni svolte.

Ne deriva che del tutto infondata appare la censura di violazione del principio di immutabilità della contestazione, non senza rammentare, comunque, che tale principio se preclude di valutare, ai fini del licenziamento, motivi diversi da quelli contestati, non vieta di considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore a due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, si da apprezzare la complessiva gravità, anche sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e la proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio del datore di lavoro (cfr. ad es. Cass. n. 21795/2009; Cass. n. 7734/2003).

Inammissibile è, invece, il secondo motivo, per mancata osservanza dell’art. 366 bis c.p.c..

A norma, infatti, dell’art. 366 bis c.p.c., deve ritenersi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione in cui il quesito di diritto si risolve in una enunciazione di carattere generale ed astratto, inidonea a individualizzare l’errore di diritto ascritto alla sentenza impugnata e a costituire, al tempo stesso, una regula iuris suscettibile di trovare applicazione anche in casi ulteriori a quello deciso dalla sentenza impugnata (v. SU. n. 26020/2008; SU n. 26014/2008).

Per come è di tutta evidenza nella fattispecie, se si considera che il quesito formulato ("L’interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale è assoggettabile al controllo di legittimità che concerne la valutazione della logicità e congruità della motivazione in relazione ai fatti oggetto di contestazione") si risolve in un quesito, del tutto astratto, sui criteri che presiedono al controllo di legittimità sulla base del vizio di motivazione, in difetto di alcuna connessione con le norme stesse che si prospettano violate e con le relative circostanze fattuali di riferimento.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 24,00 per esborsi ed in Euro 3000,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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