Cass. civ., sez. II 29-11-2006, n. 25240 POSSESSO – AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO – REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO- Compravendita delle erbe – Oggetto – Affitto di fondo rustico – Distinzione – Detenzione del fondo finalizzata all’acquisto delle erbe

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

In Fatto e Diritto

Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Trento 31 ottobre 2005 nel proc. pen. n. 6852 – con la quale è stata confermata l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Trento 26 settembre 2005, che le aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere – D. M. W. ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. violazione dell’art. 275 c.p.p., che per quanto riguarda la presunzione di pericolosità fa riferimento solo al reato previsto dall’art. 416 bis c.p. e non a quello previsto dall’art. 74 D.P.R. n. 309/90;

2. violazione dell’art. 125 c.p.p. in ordine alla mancata concessione degli arresti domiciliari, malgrado la comprovata mancanza di pericolo di fuga e l’assenza di qualsiasi contatto con i coindagati;

3. violazione dell’art. 125 c.p.p. in ordine alla permanenza del rapporto associativo malgrado il periodo di un anno di carcerazione, subita a Montpellier, in Francia, e il decorso del tempo;

4. violazione degli artt. 274 e 125 c.p.p. in ordine alla mancanza di attitudine a delinquere, dimostrata dall’indagata per il periodo di un anno;

5. mancanza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo, perché dai due episodi di trasporto avvenuti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro non si può dedurre la prova che l’indagata fosse a conoscenza dell’esistenza dell’associazione.

Motivi aggiunti

1. nullità assoluta dell’ordinanza di custodia cautelare per difetto di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, rispetto ai quali si rinvia al materiale di p.g.;

2. illogicità della motivazione dell’ordinanza riguardo al fondamento della carcerazione degli indagati;

3. illegittimità del rinvio alle risultanze dell’attività di p.g.;

4. nullità assoluta rilevabile d’ufficio, in ordine alla quale il Tribunale del riesame non ha potere integrativo.

L’impugnazione è inammissibile.

Riguardo al primo motivo si osserva che il provvedimento impugnato ha ritenuto la sussistenza delle esigenze cautelari e, in particolare, del pericolo di reiterazione, sulla base di un giudizio prognostico formulato con riferimento sia alla gravità del reato, sia alla personalità dell’indagata. Tali valutazioni hanno portato il Tribunale a ritenere che la durata della condotta, i molteplici contatti con gli altri indagati e le cessioni di ingenti quantità di sostanza stupefacente, risultanti dai sequestri eseguiti nei confronti della W., avevano rivelato l’esistenza di una rete di distribuzione articolata su contatti personali, che consentirebbe all’indagata, se rimessa in libertà, di avviare nuovamente, anche in difetto di attività lavorative lecite, la condotta delittuosa.

La presunzione cui l’ordinanza impugnata si richiama, sia pure non del tutto propriamente, non è quella posta dall’art. 275 c.p.p., che riguarda la scelta della misura cautelare, ma riguarda il particolare rilievo che assume il decorso del tempo in relazione ad un reato permanente, qual è ogni reato associativo e non solamente quello di associazione di tipo mafioso, in cui il protrarsi della condotta tipica comporta la permanenza degli indizi fino alla prova del recesso dall’associazione. Il riferimento è all’argomentazione difensiva fondata sull’anno di permanenza in libertà dell’indagata, dal 21 ottobre 2004 all’11 ottobre 2005, in pendenza del processo e sull’anno di carcerazione da lei subito a Montpellier, argomentazione che il Tribunale ha conflitato considerando la gravità dei fatti e, in particolare, del coinvolgimento della W. e ritenendo che il tempo trascorso in carcere e in libertà non incide sulla permanenza, in fatto e in diritto, del rapporto associativo.

Pertanto la violazione dell’art. 275 c.p.p., lamentata col primo motivo di ricorso è palesemente priva di fondamento e, di conseguenza, lo stesso vale poi il secondo il terzo e il quarto motivo, in quanto appare adeguatamente e correttamente motivata la valutazione per cui la custodia in carcere risulta l’unica misura idonea a rescindere in via definitiva i contatti con i coindagati e a progettare ulteriori attività delittuose anche con soggetti rimasti ignoti.

Il quinto motivo è anch’esso inammissibile perché deduce una censura in fatto – peraltro smentita dai Giudici di merito nella sua stessa prospettazione concreta – fondata su una valutazione alternativa delle prove, sottratta per sua natura al sindacato di legittimità.

Quanto ai motivi aggiunti si osserva che nella motivazione dell’ordinanza di custodia cautelare il rinvio alle schede personali predisposte dalla P.G. è accompagnato dalla precisazione che esse sono e devono essere considerate parti integranti dell’ordinanza stessa. Tale motivazione, che si riferisce a documenti posti a disposizione del destinatario dell’ordinanza, per orientamento giurisprudenziale costante sono del tutto legittime, per cui la nullità eccepita è palesemente insussistente.

Si deve, peraltro, tener conto dell’indirizzo interpretativo per cui, atteso l’effetto interamente devolutivo che caratterizza il riesame delle ordinanze applicative di misure cautelari, deve ritenersi che il tribunale del riesame, cui è conferito il potere dl annullare, riformare o confermare il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle in esso indicate, possa sanare, con la propria motivazione, le carenze argomentative di detto provvedimento, pur quando esse siano tali da dar luogo alle nullità, rilevabili d’ufficio, previste dall’art. 292, comma secondo, lett. c) e c bis), c.p.p. (Cass., Sez. 6,16 gennaio 2006 n. 8590, ric. Pupuleku).

I motivi suddetti, fondati tutti sulla medesima questione, risultano, di conseguenza, tutti manifestamente infondati.

Il ricorso dev’essere perciò dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di E. 1.000,00 alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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