Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-02-2012, n. 2477 Garanzia per i vizi della cosa venduta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.A. agiva in risoluzione contrattuale nei confronti della Ceredil s.r.l. da cui aveva acquistato una partita di marmo; a sua volta detta società chiamava in garanzia impropria la C.I.S. di Giuseppe Baldini & C. s.n.c., fornitrice del materiale. Il Tribunale di Ravenna accoglieva sia la domanda di risoluzione, condannando altresì la Ceredil s.r.l. al risarcimento dei danni, sia la domanda di garanzia impropria verso la C.I.S..

Tale sentenza era ribaltata dalla Corte d’appello di Bologna, che in accoglimento dell’impugnazione proposta alla Ceredil s.r.l. dichiarava prescritta l’azione di garanzia propria, ai sensi dell’art. 1495 c.c., osservando che a) la Ceredil, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, non aveva riconosciuto i vizi della res vendita, in quanto il dedotto tentativo di eliminare i difetti era stato posto in essere dalla C.I.S., e non già dalla Ceredil, che si era limitata alla mera constatazione dei lamentati fori nel marmo, senza tuttavia assumersene la responsabilità; e b) ad ogni modo era maturato un nuovo termine annuale di prescrizione, essendo rimasto a lungo inerte il M. anche dopo il vano intervento degli stuccatori.

Avverso tale sentenza M.A. ricorre per cassazione, formulando un solo motivo d’annullamento.

La Ceredil resiste con controricorso.

Attivata il procedimento camerale, ai sensi degli artt. 380-bis e 375 c.p.c., nel quale le suddette parti hanno depositato memoria, la causa è stata rimessa in pubblica udienza.

La C.I.S. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo d’annullamento parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 1495 c.c., nonchè l’omessa, contraddittoria e comunque insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Sostiene, al riguardo, che la Corte d’appello non ha applicato correttamente l’art. 1495 c.c. secondo l’interpretazione costantemente fornitane dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare, Cass. S.U. n. 13294/05 e 8284/97), secondo cui il riconoscimento dei vizi della res vendita non dà vita ad una nuova obbligazione di garanzia, ma consente al compratore di non soggiacere più ai termini di decadenza e alle condizioni previste dalla citata norma per l’esercizio delle azioni cd. edilizie, che restano soggette alla prescrizione ordinaria decennale.

Contesta, inoltre, l’opinione espressa dalla Corte felsinea, la quale ha ritenuto che l’intervento a più riprese per eliminare i vizi non costituisce riconoscimento nell’accezione della suddetta norma sostanziale, sia perchè, osserva il ricorrente, il riconoscimento è a forma libera, sia in quanto la constatazione del vizio e l’informazione datane al proprio fornitore costituiscono inequivocabilmente riconoscimento del vizio stesso, quanto meno per facta concludentia.

Conclude, pertanto, il motivo con il seguente quesito di diritto: "La constatazione del difetto lamentato da parte del venditore ed il conseguente intervento riparatore di un suo mandatario costituisce riconoscimento ex art. 1495 c.c., comma 2 e determina il venir meno del termine prescrizionale di un anno previsto da detta norma?". 2. – Il ricorso è infondato.

L’interrogativo posto dal motivo d’impugnazione, che censura sostanzialmente entrambe le rationes decidendi della sentenza d’appello, riguarda non solo l’ammissibilità di un riconoscimento del vizio della res vendita effettuato per facta concludenza, e l’effetto che da esso deriva in ordine al regime di prescrizione, con sostituzione del termine di un anno previsto dall’art. 1495 c.c., comma 3 con quello ordinario ex art. 2946 c.c., quesiti cui la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente fornito risposte affermative (cfr. per tutte e da ultimo, Cass. n. 7301/10); ma anche la diversa questione se l’intervento in riparazione effettuato da un mandatario del venditore sia assimilabile ad un riconoscimento tacito.

2.1. – In materia di garanzia della vendita, la giurisprudenza di questa Corte non è del tutto univoca, poichè in alcuni casi si è distinto fra riconoscimento e mera constatazione del vizio, il primo avente natura negoziale ed implicante l’ammissione da parte del venditore della propria responsabilità, la seconda consistente in una dichiarazione di scienza relativa alla sussistenza della situazione obbiettiva lamentata dall’acquirente (cfr. Cass. n. 4968/04), e che rende soltanto superflua la denunzia del compratore (Cass. nn. 381/95 e 5460/86); mentre in altre pronunce si attribuisce al riconoscimento natura di dichiarazione di scienza avente ad oggetto un fatto produttivo di conseguenze giuridiche negative per il dichiarante (cfr. Cass. nn. 4893/03), senza tuttavia alcuna necessità che ad esso si accompagni l’ammissione di una responsabilità o l’assunzione di obblighi (v. Cass. nn. 4464/97, 6073/95 e 6641/91). Ma nell’un caso come nell’altro occorre pur sempre che il riconoscimento espresso o concludente – tipico in quest’ultimo caso l’intervento volto ed eliminare il vizio – derivi da un’attività propria del venditore.

Infine, accertare se una data condotta integri gli estremi del riconoscimento espresso o per fatti concludenti, costituisce oggetto di un apprezzamento di fatto, che compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da motivazione adeguata e immune da errori sul piano logico e giuridico (v. Cass. nn. 10288/02, 7589/94, 4817/87, 6326/86 e 990/74).

2.1.1. – Nello specifico, la Corte territoriale ha accertato – con motivazione in parte qua non oggetto di censura quanto all’iter logico che la sostiene (la doglianza ex art. 360 c.p.c., n. 5 si riferisce, infatti, all’apprezzamento dei fatti accertati, vale a dire alla ritenuta non idoneità di essi a configurare un riconoscimento ex art. 1495 c.c.) – che la Ceredil, verificata l’esistenza di fori nel marmo, nulla riconobbe circa le relative cause, nè assunse alcun impegno a porvi rimedio, ma si limitò a riferirne alla C.I.S., impresa fornitrice, che poi inviò dei propri stuccatori ("…non può desumersi alcun riconoscimento da parte Ceredil, potendosi al più affermare una tempestiva denuncia nei confronti della stessa, che verificò l’esistenza dei fori, ma nulla riconobbe circa le cause e, a maggior ragione, nessun impegno assunse per porvi rimedio; infatti dalla stessa formulazione del capitolo di prova emerge una mera constatazione ed un impegno ad avvertire chi le aveva venduto il marmo e null’altro. Fu poi la C.I.S. che inviò gli stuccatori, ma il tentativo non riuscì": pag. 8 sentenza impugnata).

Il giudice di merito, dunque, da un lato ha positivamente escluso un riconoscimento diretto ed espresso del venditore, e dall’altro non ha accertato affatto che la C.I.S. abbia agito quale mandataria della Ceredil, sicchè la riferibilità a quest’ultima dell’intervento volto a porre rimedio al vizio della merce non trova riscontro nei fatti così come incensurabilmente ricostruiti dalla Corte d’appello.

2.1.2. – In senso opposto non è sufficiente l’osservazione di parte ricorrente, secondo la quale il solo fatto di aver constatato l’esistenza dei lamentati difetti e di aver detto al cliente che ne avrebbe informato la C.I.S. costituisce inequivocabile riconoscimento dell’esistenza del vizio.

Atteso che, per i principi innanzi premessi, la mera constatazione non equivale a riconoscimento del vizio della res vendita, e che, pertanto, per integrare l’uno nell’altro occorre una non scontata attività di correlazione tra i fatti – ben potendo, nella specie, l’intervento della C.I.S. essere stato effettuato in totale autonomia per mantenere buoni rapporti con la propria clientela -, va osservato che la tesi del ricorrente implica un apprezzamento di puro merito, che come tale è sottratto al sindacato di questa Corte non ravvisandosene aspetti d’incongruenza o illogicità. 3. – In conclusione il ricorso va respinto.

4. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 1.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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