Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – Con atto di citazione notificato il 2 agosto 1999, O. N. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Genova il nipote, B.G., figlio di una sorella premorta, per sentire dichiarare l’annullamento del testamento pubblico del proprio fratello O.A., ricevuto dal notaio Porcile di Genova in data 11 agosto 1998, per incapacità di intendere e di volere del testatore al momento dell’atto, con conseguente validità di altro, precedente testamento, con il quale l’ O. aveva istituito erede essa attrice ed il nipote, con esclusione di quest’ultimo dalla successione ereditaria per indegnità; in subordine, l’attrice chiese la dichiarazione di nullità del testamento pubblico perchè non sottoscritto da O.A..
Si costituì il convenuto, resistendo.
Il Tribunale di Genova rigettò le domande.
Il primo giudice, in punto di nullità del testamento per mancata osservanza da parte del notaio del disposto dell’art. 603 cod. civ. e della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 51, n. 10, e art. 58, n. 4 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), formulata in sede di precisazione delle conclusioni, superata la questione procedurale, ritenne non sufficientemente provata la grave difficoltà del testatore nella sottoscrizione, che impone al notaio la relativa menzione.
Quanto alla capacità o meno di testare nell’ottobre 1996, il Tribunale affermò che, in presenza di un disturbo intermittente emerso dalle prove testimoniali, l’onere della prova dell’incapacità al momento del compimento dell’atto gravava su chi l’aveva dedotta, e che comunque nel caso di specie vi era la prova positiva della capacità sulla base della deposizione testimoniale del notaio.
2. – La Corte d’appello di Genova, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 20 aprile 2010, ha rigettato il gravame.
2.1. – La Corte territoriale ha confermato il mancato raggiungimento della prova dell’esistenza di una grave difficoltà del testatore nella sottoscrizione, ed ha pertanto escluso il dovere del notaio di farne menzione della dichiarazione nell’atto. Nè sarebbe significativo – secondo la Corte d’appello – l’aiuto dato al testatore nell’esecuzione del gesto grafico: "l’aiuto può essere variamente graduato e non necessariamente implica una sostituzione nella scrittura, nel senso del totale annullamento della persona del sottoscrittore. Si pensi ad esempio ad una persona anziana affetta, come accade frequentemente, da tremori alle mani. L’aiuto consistente nel tenere fermo il polso, in modo da ridurre quel tremore che rende difficile all’anziano la sottoscrizione, non comporta assolutamente che la firma cosi apposta possa dirsi estranea all’anziano stesso. La gravita, pertanto, non emerge dal semplice aiuto, ma richiede un aiuto particolarmente incisivo nell’esecuzione dei segni grafici".
Del resto – ha proseguito la Corte territoriale – la stessa O.N. non solo non ha eccepito la falsità della sottoscrizione, ed ha anzi dichiarato che l’azione proposta non integra querela di falso, ma anche precisato che da un accertamento tecnico eseguito al di fuori del processo è risultato che la firma del de culus è autografa, benchè aiutata.
La Corte del gravame – all’esito dell’esame delle risultanze probatorie e delle indagini tecniche – ha poi rilevato che il testamento in questione "esprime chiaramente il sentimento del suo autore ed è pertanto coerente con quanto risposto ai carabinieri dall’ O. all’esplicita domanda se andasse d’accordo con la sorella N. e la sua famiglia". Ed ha sottolineato che "per quanto riguarda l’ipotesi di un disturbo intermittente, la motivazione del giudice in ordine alla prova positiva della capacità d’intendere e di volere al momento della redazione dell’atto non è stata contrastata dall’appellante con violazione del principio di specificità e conseguente inammissibilità dell’appello sul punto". 3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno proposto ricorso R. e M.M., in qualità di eredi beneficiate di O.N., sulla base di due motivi.
Il B. ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza le ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 603 cod. civ., della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 51, n. 10, e art. 58, n. 4, e dell’art. 606 cod. civ., nonchè insufficiente, omessa e contraddittoria motivazione. Premesso che nella specie il testatore non sottoscrisse il testamento con autonomo gesto grafico e che di tale fatto e della difficoltà che aveva determinato l’impedimento non vi è traccia nel testamento pubblico, avrebbe errato la Corte d’appello a discettare sul se l’aiuto nell’esecuzione del gesto grafico integrasse o meno una "grave difficoltà", perchè ciò che rileva è il dato oggettivo della mancata, autonoma sottoscrizione e della mancata esposizione e trascrizione delle ragioni che detta carenza avevano, in quel momento, determinato. Si sostiene che il testamento pubblico conterrebbe un vizio di forma – omessa dichiarazione delle ragioni dell’impossibilità di autonoma sottoscrizione e omessa trascrizione delle stesse – che ne comportano autonomamente la nullità, senza che assumano rilevanza le cause che detta impossibilità avevano determinato.
1.1. – Il motivo è infondato.
L’obbligo del notaio di menzionare, prima della lettura del testamento pubblico, ai sensi dell’art. 603 cod. civ., comma 3, e delle connesse disposizioni della legge n. 89 del 1913, la dichiarazione del testatore che si trovi in grave difficoltà di firmare l’atto, sussiste solamente nell’ipotesi che il testatore non sottoscriva il documento e non già anche nel caso in cui, sia pure con grave difficoltà, egli apponga effettivamente la sua firma (Cass., Sez. 2^, 4 luglio 1953, n. 2123).
La formalità della dichiarazione e della menzione costituisce infatti un equipollente della sottoscrizione mancante: l’osservanza di essa è prescritta per attestare che l’impedimento dichiarato, e realmente esistente, è l’unica causa per cui non si sottoscrive, e ad evitare che la mancanza di firma possa essere intesa come rifiuto di assumere la paternità del contenuto dell’atto.
Poichè nella specie è pacifico che il testatore ha apposto effettivamente la sua firma, e con ciò ha operato una ricognizione di quanto stilato dal notaio dandone definitiva conferma con un’attestazione del perseverare della volontà espressa, la formalità della dichiarazione del de cuius e della menzione del notaio non era necessaria, e ciò assorbe ogni indagine sul se la difficoltà nell’esecuzione della sottoscrizione sussistesse e se essa fosse connotata dal requisito della gravità.
Correttamente, pertanto, la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, ha escluso la denunciata nullità del testamento.
Ogni altra questione adombrata non può trovare ingresso in questa sede, non essendo stato proposto l’apposito rimedio della querela di falso per contestare l’autenticità della sottoscrizione, ed avendo in ogni caso il giudice del merito escluso, con congruo apprezzamento delle risultanze di causa, che l’aiuto meramente meccanico del terzo, di cui il testatore si è servito per vergare con maggiore chiarezza la propria firma, abbia alterato la forza impressa al segno dal de cuius o abbia trasformato quest’ultimo in un inerte strumento di scritturazione, guidato da altri.
2. – Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 591 cod. civ. e dell’art. 61 cod. proc. civ., e segg., e omessa, insufficiente e contradditoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La sentenza impugnata avrebbe riesumato la consulenza di primo grado che non aveva convinto la Corte territoriale quanto alle risultanze, tanto da determinare il giudice del gravame a disporre, con ordinanza collegiale, la rinnovazione dell’accertamento peritale. Avrebbe errato la Corte d’appello a disattendere la seconda c.t.u., che, convergente con la consulenza del pubblico ministero e del perito grafologo, aveva concluso affermando che il testatore era affetto da demenza senile (malattia degenerativa e irreversibile) sin dal 1992. E gli accertamenti medico scientifici avrebbero dovuto essere considerati prevalenti sulle opinioni personali di soggetti (il notaio ed il maresciallo dei carabinieri) a tal fine non qualificati.
2.1. – La doglianza è inammissibile.
La Corte territoriale ha rilevato che la motivazione del primo giudice in ordine alla prova positiva della capacità di intendere e di volere al momento della redazione dell’atto non è stata contrastata dall’appellante con censure specifiche ed ha pertanto dichiarato inammissibile l’appello sul punto.
Questa ratio deciderteli – di per sè sufficiente a confermare il rigetto della domanda di annullamento del testamento per incapacità di intendere e di volere del testatore – non è stata autonomamente e specificamente impugnata dalle ricorrenti, e ciò comporta una preclusione allo scrutinio del fondo del motivo.
3. – Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna, le ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
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