Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
S.S., partecipante al condominio di C.so (OMISSIS), agiva in giudizio, innanzi al locale Tribunale, nei confronti di L.G., amministratore del condominio, chiedendone la condanna alla consegna di copia fotostatica di due verbali di altrettante assemblee condominiali, essendogliene state trasmesse copie dattiloscritte. Il convenuto resisteva alla domanda, chiedendone il rigetto. Alla prima udienza lo stesso attore dichiarava di aver ottenuto dal L. le copie fotostatiche richieste e instava, pertanto, affinchè fosse dichiarata cessata la materia del contendere, con vittoria di spese.
Il Tribunale, dichiarata cessata la materia del contendere, condannava il convenuto alle spese.
Tale decisione era riformata con sentenza depositata il 28.9.2007 dalla Corte d’appello di Catania, adita dal L., che condannava lo S. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
La Corte etnea osservava – per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità – che il codice civile non prevede alcuna forma speciale per la redazione del verbale delle assemblee condominiali, e pertanto deve ritenersi che l’amministratore, il quale abbia regolarmente redatto il verbale e poi, per consentirne una facile lettura, ne abbia dattiloscritto il contenuto, non abbia anche l’obbligo di trasmettere ai condomini una fotocopia dell’originale redatto a penna. Quest’ultimo deve essere considerato a stregua della documentazione che il condomino ha diritto di conoscere nei limiti e nei modi enucleati dalla giurisprudenza, e cioè senza creare intralci all’amministrazione del condominio, nel rispetto del principio di correttezza e con l’onere di pagare gli eventuali costi occorrenti. Pertanto, concludeva sul punto, la domanda avrebbe dovuto essere rigettata, avendo il condomino diritto unicamente a conoscere quanto avvenuto in assemblea e non anche ad ottenere la trasmissione del verbale originale.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre S.S., con tre motivi d’annullamento.
Attivato il procedimento camerale ai sensi degli artt. 380 bis e 375 c.p.c., e depositata la relazione, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.
La parte intimata non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., e degli artt. 1710 e 1713 c.c., in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c., nonchè l’omessa o incongrua motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Sostiene, al riguardo, che la Corte territoriale, rettamente premessi e formulati i principi di diritto in materia, ha però inopinatamente concluso nel senso della soccombenza virtuale dell’attore, mostrando in tal modo di aver equivocato l’oggetto della domanda, intesa non già a censurare la modalità di informazione del condomino assente all’assemblea, ma il solo fatto che l’amministratore del condominio, che deve ritenersi mandatario dei condomini, abbia disatteso la richiesta dello S. (successiva alla prima, esaudita con l’invio della copia dattiloscritta) di avere copia (intendi, fotocopia: n.d.r.) del verbale originale.
Conclude il motivo formulando il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c.: "Dichiari la Corte, enunciando il relativo principio di diritto, se vi sia stata violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c., per avere il Giudice d’appello disconosciuto il diritto del condomino a ricevere copia del verbale originale dell’assemblea condominiale a seguito di apposita richiesta". 1.1. – Il motivo è inammissibile per svariate ragioni.
Esso è corredato da un quesito non coerente all’esposizione della censura, la quale lamenta – semmai – un’errata interpretazione della domanda, di cui il ricorrente non riproduce l’esatta e compiuta formulazione letterale, contravvenendo, così, anche al principio di autosufficienza del ricorso.
Inoltre, il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, a pena di improcedibilità del ricorso – di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso (Cass. n. 2966/11). In altri termini, la regolare acquisizione nel giudizio di cassazione degli atti e dei documenti su cui si fonda l’atto propositivo dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, consta di due oneri entrambi necessari: il primo, coevo alla redazione del ricorso, è dato dall’indicazione in esso dell’atto o del documento (o del fascicolo, di parte o d’ufficio, in cui l’uno e/o l’altro sono inseriti) quale oggetto di specifica produzione; il secondo, successivo, consiste nell’attività di effettivo deposito dell’atto o del documento, attività presidiata dalla sanzione di improcedibilità ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Nello specifico, è stato assolto solo il secondo onere, non anche il primo, poichè nel ricorso non è indicata nè la produzione della citazione di primo grado o del fascicolo di parte che lo contiene, nè la richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio di primo grado, che deve contenerne una copia, di guisa che è irrilevante che si rinvenga comunque agli atti tale atto. Esaminando, ad ogni modo, il quale, non risulta affatto che la domanda primigenia fosse quella che sostiene oggi parte ricorrente e di cui lamenta, senza alcun fondamento, l’erronea interpretazione.
Ancora, in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su una domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiestale; nel caso in cui venga invece in considerazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (Cass. n. 20373/08). Nella specie, genericamente denunciato il vizio di "omessa o incongrua motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio", la critica mossa alla sentenza si esaurisce nella postulazione che la domanda avrebbe avuto un senso diverso da quello considerato dai giudici d’appello, e si traduce, pertanto – assente ogni critica intrinseca alla trama motivazionale – nella sostanziale sollecitazione di un potere di sindacato di merito inammissibile in questa sede.
Infine, a seguito della modifica apportata dal D.Lgs. n. 40 del 2006 al n. 5, dell’art. 360 c.p.c., il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (Cass. n. 2805/11). E tale non è il contenuto della domanda giudiziale, che costituisce "fatto" in senso (non sostanziale, ma) processuale.
2. – Anche il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., e degli artt. 1710 e 1713 c.c., in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c., nonchè l’omessa o incongrua motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ma per aver omesso la sentenza impugnata di delibare la pretesa alla luce delle disposizioni del vigente regolamento di condominio, che prevedono per l’amministratore l’obbligo sia di esibire i libri contabili, a richiesta dei condomini, sia di rilasciarne copia conforme entro quindici giorni dalla richiesta.
Parte ricorrente conclude il motivo con la formulazione del seguente quesito: "Dichiari la Corte, enunciando il relativo principio di diritto, se vi sia stata violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c., per non avere il Giudice d’appello applicato, ritenendole valide ed efficaci, le disposizioni del regolamento di condominio che riconoscono al condomino il diritto di visionare e richiedere copia del libro dei verbali dell’assemblea condominiale". 2.1. – Il motivo è inammissibile per novità della relativa questione, che non risulta essere stata nè trattata, nè (re)introdotta nel giudizio d’appello, non avendone la parte ricorrente dimostrata l’allegazione nel giudizio di secondo grado, con specifica indicazione del "luogo processuale" (comparsa, memoria, verbale ecc.) in cui ciò sia avvenuto (sull’inammissibilità di questioni nuove in sede di ricorso per cassazione, cfr. e pluribus e per tutte, Cass. n. 25546/06).
3. – Con il terzo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., nonchè l’omessa o incongrua motivazione. Vi si sostiene che la sentenza è viziata "per aver posto le spese di primo e secondo grado a carico del ricorrente, anzichè della controparte, erroneamente dichiarata vittoriosa, di talchè il capo di sentenza in parola è inficiato per violazione dell’art. 91 c.p.c. e comunque per omessa o incongrua motivazione sul punto". Quindi, il ricorrente formula il seguente quesito di diritto:
"Dichiari la Corte, enunciando il relativo principio di diritto, se vi sia stata violazione dell’art. 91 c.p.c., per aver il Giudice di merito posto interamente a carico dell’odierno ricorrente le spese del primo e del secondo grado di giudizio". 3.1. – Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Inammissibile, quanto alla dedotta violazione dell’art. 91 c.p.c., trattandosi di censura apparente, che in realtà si limita a contestare il regolamento delle spese come riflesso della contestata decisione di merito; infondata, perchè è solo la compensazione delle spese, e non già l’applicazione della regola della soccombenza, cui il giudice si sia uniformato, a dover essere sorretta da motivazione. Ove ipotizzato, infatti, il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e perciò non costituenti punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella adottata (cfr.
Cass. nn. 1868/79 e 1432/68).
4. – In conclusione il ricorso va respinto.
5. – Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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