Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-02-2012, n. 2999 Caparra Recesso Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 2 settembre 2008 la Corte di appello di Ancona, premesso: 1) S.F. e Sc.Ma. avevano promesso in vendita, con preliminare del febbraio 1996, un immobile per il quale i promissari acquirenti avevano versato L. 100 milioni a titolo di caparra confirmatoria; 2) non avendo questi rispettato le scadenze per il pagamento del saldo – giugno 1996 – e avendo rifiutato la stipula del definitivo, i promittenti venditori li avevano, dopo vari solleciti, diffidati nel novembre 1996 ad adempiere entro 15 giorni, rappresentando in difetto di volersi avvalere della risoluzione di diritto di cui all’art. 1454 c.c., con incameramento della caparra; 3) scaduto il termine concesso S.F. e Sc.Ma. nel dicembre 1996 li avevano citati dinanzi al Tribunale di Fermo chiedendo di accertare la gravità dell’inadempimento dei promissari acquirenti a norma dell’art. 1455 c.c., e di dichiarare che il contratto si era risolto per effetto della diffida ad adempiere ai sensi del precitato art. 1454 c.c., con conseguente diritto a ritenere la caparra confirmatoria, satisfattiva dei danni da inadempimento; 4) i promissari acquirenti avevano chiesto in via riconvenzionale l’annullamento del contratto per errore o per gravi difetti dell’immobile incidenti sulla statica di esso e la condanna degli attori alla restituzione della caparra e al risarcimento degli ulteriori danni sostenendo che costoro non avevano diritto a trattenere la caparra non avendo esercitato il diritto di recesso ed avendo agito per la risoluzione contrattuale ai sensi dell’art. 1455 c.c.; 5) il Tribunale di Fermo, respinte le domande riconvenzionali sulla base della C.T.U., aveva accolto le domande principali di accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto per effetto della diffida ad adempiere e del diritto a ritenere la caparra a titolo di liquidazione convenzionale del danno – e perciò non era stata esercitata un’azione di risoluzione costitutiva a norma dell’art. 1453 c.c., con condanna ai danni derivatine, come consentito secondo l’opzione di cui all’art. 1385 c.c. – e aveva dichiarato il diritto dei promittenti venditori all’incameramento della caparra a titolo di liquidazione forfetaria del danno.

La Corte di appello di Ancona, in accoglimento parziale dell’appello proposto da M.G. e R.B., ha condannato S.F. e Sc.Ma. a restituire la caparra di 100 milioni di lire, oltre agli interessi legali dalla domanda, sulle seguenti considerazioni: 1) in base alla C.T.U. dovevano escludersi sia l’errore dei promissari acquirenti sulle qualità essenziali dell’immobile, sia l’inidoneità all’uso o la diminuzione apprezzabile del valore di esso per esser stato costruito ad un metro sopra la testa di fondazione rispetto al progetto iniziale, variazione pienamente condonata, non determinante nè le fessurazioni, dovute invece a dilatazione termica, nè movimenti franosi in itinere perchè le lesioni all’immobile attiguo riscontrate nel 1979 erano state riparate con lavori di rinforzo e contenimento del terreno, mentre sull’immobile promesso in vendita nulla si era verificato; 2) non sussisteva il diritto dei promissari acquirenti ai danni per le spese effettuate in previsione del contratto definitivo, mancando l’inadempienza dei promittenti venditori; 3) avendo i promittenti venditori chiesto l’accertamento della risoluzione di diritto per mancata conclusione del definitivo nel termine assegnato con, diffida ad adempiere ed il risarcimento dei danni, e non avendo esercitato il potere di recesso dal contratto con ritenzione della caparra confirmatoria a titolo di danni, forfettizzati, avevano l’onere di provarli nell’an e nel quantum; 4) in difetto di tale prova e risultando che avevano venduto a terzi l’immobile al medesimo prezzo indicato nel preliminare, dovevano restituire la caparra trattenuta a garanzia, con gli interessi legali dalla domanda. Ricorrono in via principale S.F. e Sc.Ma. cui resistono M.G. e R.B., che hanno altresì proposto ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1.- I ricorrenti principali con il primo motivo deducono: "Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, punto 3, per falsa ed errata applicazione di norme in ordine al diritto negato agli S., di ritenere la caparra confirmatoria dopo aver spedito alle controparti una diffida ad adempiere come da conclusioni dinanzi al Tribunale e concludono con il seguente quesito di diritto: "Dica il Supremo collegio se, pur avendo gli attori, adempiuto al preliminare, diffidato preventivamente i promissari acquirenti ad adempiere, con avvertenza che, in difetto, il contratto si sarebbe risolto, la loro successiva domanda finalizzata a sentir dichiarato il loro diritto a trattenere la somma incamerata quale caparra confirmatoria, possa utilmente qualificarsi esercizio del diritto di recesso, dovendo la volontà della parte interpretarsi anche in relazione al fatto che gli attori non avevano chiesto al giudicante la condanna di controparte al risarcimento di un maggiore danno, nè la risoluzione giudiziale del rapporto, essendosi limitati a chiedere la legittimità del diritto a trattenere la somma che era stata incamerata come caparra confirmatoria e pertanto ritenere validamente proposta una domanda ex art. 1385 c.c., comma 2, invece della ritenuta domanda ex art. 1385 c.c., comma 3". 1.2- Con il secondo motivo deducono: "Violazione dell’art. 360, comma 1, punto 5 per omessa ed insufficiente motivazione su fatto controverso, decisivo per il giudizio" ai fini dell’esercizio del diritto di recesso in conseguenza dell’acclarato inadempimento di controparte, constatato nella diffida ad adempiere entro 15 giorni, preannunciando che in caso di mancanza di atteggiamenti concreti il contratto preliminare era da intendersi risolto ai sensi dell’art. 1454 c.c., con diritto ad incamerare la somma di lire 100 milioni a titolo di caparra confirmatoria, e nelle conclusioni di primo grado con cui chiedevano al Tribunale, accertata la grave inadempienza di controparte ex art. 1455 c.c., di dichiarare il contratto risolto in virtù della diffida ad adempiere, con diritto degli attori a trattenere la somma di lire 100 milioni, incamerata quale caparra confirmatoria, da considerarsi satisfattiva ai fini della liquidazione del danno da inadempimento.

I motivi, congiunti, sono fondati.

Ed infatti questa Corte a Sezioni Unite – S.U. 553 del 2009 – ribadito il principio secondo cui "il diritto di recesso è una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l’inadempimento gravemente colpevole,… e quindi imputabile (ex art. 1218 c.c., e art. 1256 c.c.) e di non scarsa importanza (ex art. 1455 c.c.) della controparte, avente i medesimi caratteri dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale.." e che ".. la caparra costituisce (almeno in uno dei suoi polifoni aspetti funzionali) liquidazione anticipata, convenzionale, forfetaria del risarcimento del danno., "con conseguente necessità per il giudice di indagare se ed a chi spetti il diritto di recesso.. valutando comparativamente il comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto..", hanno affermato che "le domande di risoluzione e di recesso.. non hanno, in realtà, al di là di aspetti formalistico/speculativi, autonoma rilevanza giuridica sostanziale: una domanda (principale) di risoluzione legale, correlata ad una richiesta risarcitoria contenuta nei limiti della caparra… non è altro che una domanda di accertamento dell’avvenuto recesso (e della conseguente risoluzione legale del contratto).. essendo il recesso un’altra forma di risoluzione ex lege…" ed evidenziato che una delle ragioni per cui "non è possibile trasformare l’azione di risoluzione avente natura costitutiva in azione di recesso nel corso del giudizio è che lascerebbe in astratto aperta la strada (da ritenersi, invece, ormai preclusa) ad una eventuale, successiva pretesa (stragiudiziale) di ritenzione della caparra" così come non è possibile trasformare "l’azione di risoluzione "dichiarativa" in domanda giudiziale di recesso poichè, pur partecipando della stessa natura strutturale.. la trasformazione dell’una nell’altra comporterebbe l’inconveniente di cui al punto che precede..". Dunque, dando seguito ai principi affermati dalla precitata sentenza a Sezioni Unite, se la domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto per inadempimento del promittente compratore nel termine assegnato a norma dell’art. 1454 c.c. – che non elimina la necessità, ai sensi dell’art. 1455 c.c., dell’accertamento giudiziale della gravità di tale inadempimento, da effettuare secondo un criterio che tenga conto sia dell’elemento oggettivo della mancata prestazione nel quadro dell’economia generale del negozio, sia degli aspetti soggettivi rilevabili tramite una indagine unitaria sul comportamento del debitore e sull’interesse del creditore all’esatto adempimento (Cass. 5407 del 2006, 9314 del 2007, 18266 del 2011) – non è accompagnata dall’istanza di risarcimento del danno integrale ai sensi dell’art. 1453 c.c., e comma 3, dell’art. 1385 c.c., non è precluso alla parte adempiente di instare per la ritenzione della caparra come azione risarcitoria semplificata rispetto a quella che consegue all’azione di risarcimento integrale giudiziale per la risoluzione costitutiva (Cass. 21838 del 2010), essendo potere – dovere del giudice di qualificare l’azione esercitata secondo la vicenda sostanziale e cioè come accertamento della legittimità del recesso già esercitato e contestato e non già risoluzione giudiziale, tanto più che il contraente adempiente non chiede di conseguire un maggiore risarcimento rispetto all’ammontare della caparra, ma dichiara invece di limitare il risarcimento nella corrispondente misura, affermare l’impossibilità dello ius retinendi della caparra in base al rilievo che l’art. 1385 c.c., comma 2, disciplina l’esercizio stragiudiziale del diritto di recesso e non la risoluzione giudiziale, ancorchè dichiarativa e di diritto, con conseguente onere, aleatorio, di dimostrare an e quantum del danno a norma dell’art. 1385 c.c., comma 3, significa attribuire al nomen risoluzione un significato esasperatamente formale.

Perciò, non avendo i promittenti venditori, secondo l’interpretazione della domanda effettuata dal giudice di primo grado, narrata nella sentenza impugnata, chiesto di pronunciare la risoluzione del contratto, bensì di accertare che essa si era già stragiudizialmente verificata per effetto dell’art. 1454 c.c. – in linea con l’orientamento di legittimità risalente a Cass. 7079 del 1983, ribadito da Cass. 4535 del 1987, consolidato al momento di proposizione della domanda, secondo cui era necessario mediante la stessa valorizzare l’effetto solutorio derivato dalla diffida ad adempiere e dalla sopravvenuta inutile scadenza del termine e avendola perciò assimilata, quoad ad effectum, all’esercizio del diritto di recesso legale disciplinato dall’art. 1385 c.c., comma 2 – a cui è accomunata dal diritto potestativo di una parte di modificare il rapporto giuridico costituito per il verificarsi del presupposto legalmente previsto e cioè la gravità ed imputabilità dell’inadempimento dell’altra parte, da accertare giudizialmente se contestato – ha conseguentemente ritenuto proponibile la domanda degli stessi di accertare il loro diritto alla ritenzione della caparra come conseguenza della legittimità del loro recesso (Cass. 21838 del 2010), stragiudizialmente già esercitato, derivata dall’inadempimento imputabile e grave della controparte, di cui hanno rigettato la contrapposta domanda riconvenzionale escludendo ogni inadempimento dei promittenti venditori. Nè in tal modo risulta pregiudicato l’interesse della parte diffidata perchè, senza essere esposta ad una reviviscenza del contratto ormai risolto, è soggetta a sopportare l’incameramento della caparra nella misura che aveva anticipatamente concordato per il risarcimento forfetizzato del danno in caso di inadempimento (Cass. 11356 del 2006, cit.).

2.- Con il ricorso incidentale M.G. e R.B. deducono: "Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, punto 5, per omessa ed insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio" sul rigetto in appello della loro domanda di risoluzione del preliminare per vizio del consenso – errore su qualità essenziali dell’immobile – e subordinatamente per vizi del medesimo ed indicano come "punto decisivo le caratteristiche del terreno, anche se non più attuali, incidenti sul valore di mercato del bene, e degli interventi di consolidamento eseguiti sulla volontà a contrarre dei promissari acquirenti".

Il motivo è inammissibile per carenza di indicazione sintetica, evidente ed autonoma, non potendo esser rinvenute nell’esposizione complessiva del motivo, delle ragioni, contrapposte a quelle contenute nella sentenza impugnata – punto 1 della narrativa – che la rendono inidonea a giustificare la decisione.

Concludendo la sentenza impugnata va cassata in relazione al ricorso principale mentre va confermata in relazione al ricorso incidentale e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può esser decisa nel merito dichiarando il diritto di S. F. e Sc.Ma. di ritenere la caparra ricevuta.

Considerate le alterne vicende di merito della causa e la complessità delle questioni giuridiche risolte dalle Sezioni Unite successivamente all’introduzione del giudizio, si compensano le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte pronunciando sui ricorsi riuniti accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa in relazione la sentenza impugnata e decidendo nel merito dichiara il diritto di S.F. e Sc.Ma. di ritenere la caparra ricevuta. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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