T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 04-11-2011, n. 5135 Motivazione dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il gravame in epigrafe la società A. s.r.l. lamenta che le sia stato opposto diniego sulla istanza per il rilascio di concessione edilizia per la realizzazione di un impianto di lombricoltura in località Melaro o San Martino del Comune di Nola, motivato dalla amministrazione con riferimento ad una pretesa incompatibilità dell’intervento, qualificato come a carattere industriale, con la destinazione agricola del suolo.

Il ricorso è affidato alle seguenti censure:

– difetto di motivazione, eccesso di potere per erroneità dei presupposti, travisamento: si sarebbe presunta la natura industriale della attività di lombricoltura, che per contro ha caratteristiche legate alla conduzione agricola del fondo ed è volta alla produzione di un fertilizzante organico secondo un processo totalmente ecologico;

– identiche censure, difetto di istruttoria, violazione del giusto procedimento: il Comune non indica le ragioni per le quali ha ritenuto l’attività classificabile tra le industrie insalubri, e non ha controdedotto alle articolate note tecniche introdotte dalla ricorrente nella istruttoria procedimentale;

– violazione art. 10 bis legge 241/90 non avendo l’amministrazione risposto esaurientemente alle controdeduzioni procedimentali depositate.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale, contestando la fondatezza della domanda nel merito.

Alla publica udienza del 20 ottobre 2011 il ricorso è stato ritenuto in decisione.

Motivi della decisione

Giusta quanto anticipato in narrativa, il presente ricorso verte sulla legittimità del diniego di concessione edilizia per la realizzazione di un impianto di lombricoltura in località agricola del Comune di Nola, motivato dalla amministrazione con riferimento ad una pretesa incompatibilità dell’intervento con la destinazione agricola del suolo in oggetto: l’ufficio ha invero qualificato l’intervento tra quelli a carattere industriale, non localizzabile in zona agricola.

Parte ricorrente contesta il diniego,adducendo la sussumibilità dell’ attività di lombricoltura tra quelle rientranti nella conduzione del fondo agricolo, atteso che è diretta alla produzione di fertilizzante biologico attraverso il naturale nutrimento dei lombrichi.

L’amministrazione avrebbe errato nel qualificare l’impianto come iniziativa a carattere industriale, in quanto ciò deriverebbe non dalla intrinseca natura della attività, ma da una apodittica assimilazione alle attività produttive del concreto funzionamento dell’impianto, presuntivamente ritenuto diretto alla trasformazione indotta di un prodotto in un altro avente caratteristiche diverse (nella specie, da frazione umida dei RSU a vermicompost).

Si sarebbe inoltre presunta una lavorazione di rifiuti nello stabilimento, con trasformazione di fatto del fondo in una discarica per lo stoccaggio e compostaggio di rifiuti organici, travisando gli elementi del progetto che non prevedono affatto la lavorazione del rifiuto, ma la mera nutrizione dei lombrichi attraverso la frazione umida dei rifiuti urbani.

La stessa comunicazione di preavviso di diniego erra nel qualificare l’attività come insalubre a carattere inquinante dell’ambiente e del sottosuolo.

Le censure esposte meritano favorevole considerazione, non avendo l’ente apportato significativi elementi della istruttoria compiuta idonei a suffragare l’avversato diniego.

Va premesso che la lombricoltura in sé non può qualificarsi come attività a carattere industriale, essendo legata ad un uso agricolo del suolo, e non al trattamento dei rifiuti in senso industriale.

Ed infatti la stessa amministrazione ha dedotto elementi ostativi che attengono più alla fase posteriore di concreto funzionamento dell’impianto, che non alla valutazione ex ante degli elementi del proposto progetto, in riferimento alla compatibilità urbanistica dell’intervento con la destinazione di zona.

Gli elementi ritenuti ostativi, in quanto presumono una lavorazione di rifiuti in situ, ovvero l’esercizio di un" attività insalubre, non costituiscono un adeguato substrato motivazionale del gravato diniego, come autorevolmente ritenuto in fattispecie analoga dal Consiglio di Stato.

Il giudice di appello ha affermato (CdS sez. IV 7 ottobre 2009 n. 6117, peraltro con riferimento ad un impianto più complesso in quanto destinato alla produzione di energia elettrica con il biogas) che non si tratta affatto di impianti che smaltiscano o trattino in qualche modo rifiuti: "…… si tratta,invece, di impianti che producono energia, mediante quel particolare procedimento che si concreta nel cosiddetto biogas, per cui vengono inizialmente introdotti elementi organici che procedono ad un’attività riproduttiva rispetto alle sostanze immesse, donde la caratteristica relativamente alla quale i residui in parola non sono utilizzati per essere smaltiti o in qualche modo trattati, ma servono solo per iniziare l’attività di decomposizione delle sostanze immesse, ai fini della produzione energetica.

Il fatto che inizialmente, all’atto dell’avvio dell’impianto, vi fosse l’immissione di sostanze organiche, rifiuti animali in senso lato, non determina solo per questo la classificazione dell’impianto fra quelli afferenti il trattamento dei rifiuti, in quanto le sostanze organiche suddette, lungi dall’essere l’oggetto del trattamento, ne sono invece uno strumento operativo, con il quale l’impianto funziona, alla stregua di un meccanismo di messa in moto.

Né rientrano gli impianti medesimi nell’ambito delle industrie insalubri, non essendo i medesimi menzionati fra quelli e non potendo peraltro operare l’analogia nella materia della elencazione degli impianti che rientrano nella insalubrità, nelle varie classi di cui essa consiste."

Dette argomentazioni (riferibili specularmente all’impianto di lombricoltura in cui i lombrichi trasformano i rifiuti organici in fertilizzante attraverso la naturale attività di decomposizione, come documentato da parte ricorrente nelle note tecniche del prof. D’Errico prodotte nella istruttoria procedimentale), che il Collegio condivide pienamente, comportano la illegittimità del gravato diniego per difetto di motivazione.

Va invece respintala domanda risarcitoria, non avendo parte ricorrente adeguatamente provato natura ed entità del danno patito per effetto del diniego in questione, in quanto le passività aziendali – pur documentate attraverso la produzione di copia dei bilanci societari- non sono casualmente orientate come effetto diretto e immediato del mancato esercizio del progettato impianto,specie in presenza di un ente avente oggetto sociale molto ampio come quello della ricorrente.

Sussistono giusti motivi per dichiarare integralmente compensate le spese di lite tra le parti, ad eccezione del contributo unificato che dovrà essere rimborsato alla ricorrente dall’amministrazione intimata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,accoglie la domanda e per l’effetto:

annulla il provvedimento del Comune di Nola n. 002273 del 09/06/2010, di diniego del permesso di costruire.

Spese compensate. Contributo unificato a carico di parte resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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