Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 23.9.1999 B.M., vedova di S.G., chiedeva di essere reintegrata nel possesso del fondo rustico, sito in (OMISSIS), esteso ha. 6,84, del quale era stata spogliata, il 30.6.99, ad opera di S.O. e C.C. avendo gli stessi arato il fondo.
A fondamento del ricorso esponeva:
detto fondo, di proprietà della Fondazione "Emma e Decio Ripandelli", era stato condotto in affitto, sin dal 1945, da C.G. e da questi sublocato al di lui nipote, S. G., marito della B.; a seguito del decesso del C., nel (OMISSIS), il S. aveva proseguito in proprio la coltivazione del terreno in questione ed, alla morte del S., avvenuta il 30.7, 1996, era a lui succeduta nella coltivazione del fondo, la B., avente la qualità di coltivatrice diretta, corrispondendo alla Fondazione il relativo canone d’affitto;
i coniugi S. – B. erano da considerarsi quali affittuari "ope legis" della Fondazione Ripandelli, stante la mancata promozione delle azioni previste dalla L. n. 203 del 1982, art. 21, in tema di divieto di subaffitto di fondo rustico; Resistevano al ricorso i coniugi S. – C. negando l’esistenza di un rapporto d’affitto agrario tra la B. e la Fondazione e di un legame contrattuale tra il preteso dante causa della ricorrente e la fondazione stessa. Esteso il contraddittorio alla Fondazione Ripandelli, chiamata in causa dai resistenti, con ordinanza 27.1.2001 (confermata in sede di reclamo) veniva ordinato ai C. – S. di reintegrare la B. nel possesso delle porzioni di terreno oggetto di spoglio. Con sentenza 11.1.2005 il Tribunale di Foggia, espletata la prova testimoniale, rigettava la domanda di reintegra possessoria, revocando l’ordinanza interdettale e ordinava la restituzione, in favore di C.C., della porzione di fondo estesa circa Ha. 6,84,00, compensando fra le parti le spese processuali.
Avverso tale decisione B.M. proponeva appello cui resistevano gli appellati S. – C., chiedendo, con appello incidentale, la condanna della B. al pagamento delle spese di lite del giudizio di primo grado e delle somme anticipate per il raccolto del 2001. Si costituiva anche la Fondazione Emma e Dacio Ripandelli, rimettendosi alle determinazioni della Corte. Con sentenza depositata il 7.9.2010 la Corte d’Appello di Bari rigettava l’appello principale e quello incidentale compensando integralmente tra le parti le spese del grado. Osservava la Corte di merito che dalle prove testimoniali e dalla documentazione prodotta dalla ricorrente non erano emersi elementi sufficienti per "inferire l’esistenza di un titolo di detenzione legittimante la tutela possessoria"; che, con deliberazione del Consiglio di Amministrazione n. 16/1993, la Fondazione Ripandelli aveva deliberato di restituire ai S. – B. i canoni indebitamente versati, non riconoscendoli come conduttori, ritenendo che legittima affittuaria fosse C.C., erede di C.G.. Tale decisione è impugnata da B.M. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Gli intimati non hanno svolto alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
La ricorrente deduce:
1) violazione dell’art. 116 c.p.c. in ordine alla valutazione delle prove secondo i criteri del prudente apprezzamento del giudice e della ragionevolezza del giudizio; interpretazione delle risultanze testimoniali secondo un significato contrario al senso comune; in particolare, in contrasto con le affermazioni letterali dei testi e col senso comune da attribuirsi a tali affermazioni, la motivazione della sentenza impugnata era stata fondata sulla sola circostanza che i testi stessi non avevano mai visto i S. – B. pagare il subaffitto ai C.; i giudici di appello avevano, inoltre, erroneamente interpretato le risultanze testimoniali ritenendo che "la conduzione dei fondi", nella specie, era da intendersi come mera esecuzione di lavori agricoli sotto la direzione di altro soggetto, anzichè come autonoma coltivazione dei terreni per farne propri i frutti;
2) violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 116 c.p.c. e della L. n. 203 del 1982, art. 21, per erronea valutazione delle prove documentali sulla base di una motivazione affetta da vizi logici e giuridici; omessa valutazione, "incidenter tantum", della sussistenza di un rapporto agrario tra i S. – B. e la Fondazione Ripandelli; al riguardo il giudice di appello aveva ignorato che la Delib. n. 16 del 1993 (con cui la Fondazione aveva deciso di restituire i canoni pagati) era intervenuta ben sette anni dopo la morte dell’affittuario C., in data 28.10.1986 e che, in tale lasso di tempo, la Fondazione Ripandelli aveva accettato dai S. – B. i canoni annui di fitto, senza alcuna riserva o contestazione; tanto avrebbe richiesto una valutazione della Corte barese sulla sussistenza di un rapporto agrario, "costituitosi ipso iure" tra la fondazione Ripandelli ed i S. – B.;
3) violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 1168 c.c., comma 2 e mancato accertamento "incidenter tantum" di un rapporto di affitto tra i S. – B. e la Fondazione Ripandelli; la Corte di merito aveva omesso di valorizzare la circostanza che, dopo la morte del C. si era, in ogni caso, costituito tra la Fondazione ed i S. – B. un rapporto agrario "per facta concludenza", avuto riguardo al fatto che gli stessi nei sette anni successivi a detto decesso, avevano continuato a coltivare il fondo, facendone propri i frutti e pagando i canoni annuali alla Fondazione; doveva, quindi, ritenersi sussistente il requisito della detenzione qualificata ai fini della tutela prevista dall’art. 1168 c.c., comma 2.
Il ricorso è infondato.
Dette censure, pur se titolate come violazione di norme di diritto e come vizi di motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa in ordine all’apprezzamento di fatti nonchè delle prove testimoniali e documentali acquisite.
Trattasi di valutazioni riservate al giudice di merito, la cui motivazione al riguardo sfugge al sindacato di legittimità allorchè, come avvenuto nella specie, è esente da vizi logici ed errori di diritto e consente di individuare le ragioni della decisione.
Spetta, infatti, al giudice del merito valutare le prove, individuare tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a provare i fatti in discussione, senza che egli sia tenuto ad esaminare tutte le risultanze istruttorie o a confutare tutte le argomentazioni delle parti incompatibili con la decisione adottata.
Nel caso in esame il giudice di appello ha proceduto alla disamina di tutti gli elementi probatori acquisiti al processo e, sulla base di una loro corretta interpretazione, ha disatteso la tesi della B. circa l’avvenuta costituzione di un rapporto di subaffitto tra C.G. ed il nipote S.G., tenuto conto che il teste F.M. aveva riferito che, quando il C. era in vita, il S. si era limitato ad aiutarlo nella ricerca di lavoratori agricoli per conto terzi; che il teste P. aveva dichiarato che, dopo la morte del C., anche i figli erano occupati della coltivazione del fondo.
In ogni caso il giudice di appello ha evidenziato che la B. non aveva offerto alcuna prova documentale del presunto contratto di affitto o subaffitto, non potendo, peraltro, essere idonee a tal fine, le ricevute di pagamento degli estagli, prodotte dalla B. stessa e che l’Ente Ripandelli aveva deliberato di restituire in quanto indebitamente versati, avendo riconosciuto come legittimo affittuario C.C., erede di C. G.. Alla luce di tali corretti rilievi ed accertamenti in fatto, del tutto infondata è la doglianza sub 3) della ricorrente in ordine alla propria qualifica di detentrice qualificata del fondo, presupposto della tutela prevista dall’art. 1168 c.c., comma 2, posto che, come affermato nella sentenza impugnata, i fatti da cui si vorrebbe desumere la sussistenza di detta qualifica della B., non erano sufficienti a provarne la asserita detenzione qualificata legittimante la tutela possessoria, una volta escluso, sulla base di accertamenti in fatto riservati al giudice di merito, la sussistenza del preteso rapporto di subaffitto(Cfr. Cass. n. 10816/2000).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato. Nulla per le spese processuali stante il difetto di attività difensiva da parte degli intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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